Satana, è vero. È
la sua ora - L'heure de Satan, come l'ha ben vista e indicata, in Francia,
il nostro amico Paul Scortesco - e non perché ogni ora non sia la «sua»,
non perché egli, l'Avversario, dal giorno che diede ad Eva il cibo amaro,
abbia mai lasciato di andare in giro quaerens quem devoret, di pervagare con
tutti i suoi ad perditionem animarum; ma perché mai, forse, come in
questa, ha potuto scorrazzar libero, secondato da chi doveva contrastarlo, aiutato
da chi doveva combatterlo.
Secondato e aiutato, anzitutto, con l'accreditare per cosa vera la sua più
astuta menzogna, favorendolo, cioè, come scrisse il Papini, «nel suo
diabolico tentativo di far dimenticare la sua esistenza».
«La plus belle ruse du Diable», aveva già detto il Baudelaire,
«est de nous persuader qu'il n'existe pas» (ciò che, per i nostri
giorni, ripeterà, ai nostri giorni, il vescovo di Sion monsignor Adam: «L'habileté
de Satan est d'être là, en faisant croire le contraire»), e la
fortuna più impensabile, aggiungiamo noi, per lui è di aver convinto,
di aver reso persuasi e persuasori di questo coloro che hanno o che ebbero per ministero
di scacciarlo, attuando, dietro il suo esempio, le parole di Gesù: «In
nomine meo Daemonia eiicient».
Negar che Satana esista è logicamente più dannoso, più diabolico,
che agire come s'egli non esistesse, venendosi così a togliere ogni remora
o ripensamento al male o dal male agire, ogni ragione di guardarsene, di temerlo,
di rivolgere a Dio l'ultima delle invocazioni dettate da Gesù nel suo sic
orabitis, a negar, quale redentore, Gesù stesso, non avendo più
fondamento il memorare del poeta alla Vergine: «Ricorditi che fece il peccar
nostro - Prender Dio, per scamparne, - Umana carne al tuo virginal chiostro».
L'abolizione dell'esorcistato - una delle tante immolazioni sull'altare della Riforma
- rappresenta, in tal senso, una significativa vittoria, una solenne rivincita di
chi dovette, in Cafarnao, sottostare all'intimazione di Quello: «Taci e vattene:
Obmutesce et exi!»
Così, come il picciol cornuto diavolo della chiesa polentana, Satana
guarda e subsanna, allegro, ai battesimi (ritardati, com'egli gode, in nome
del comunitarismo, contro la legge che li vuole solleciti perché la grazia
scenda quanto prima in un'anima e ne fruisca con essa tutta la Chiesa; legge richiamata
pur di recente dal Papa dicendo «ai genitori degni del nome»: «Raccomandiamo,
con l'intensità degli interessi superiori dell'umana e cristiana sollecitudine,
di inserire subito i vostri bambini venuti alla luce nella famiglia immortale, che
è la Chiesa, col santo Battesimo»): guarda e gongola, Satana, sbirciando
in mano ai sacerdoti i nuovi rituali, riformati, epurati di quegl'imperiosi esorcismi;
riformati con un'arte, un'astuzia così fine, così sua da ottenerne
col minimo mezzo l'effetto massimo da lui cercato: far credere che non questo o quel
prete o vescovo, non questo o quel Balducci o Bugnini, ma la Chiesa, approvando,
legittimando quei loro testi, riconosca la sua non esistenza, a confusione di Chi,
come or ora s'è visto, la riconfermava ricordando ciò che, lui insciente,
s'era per l'appunto abolito: «Ricordiamo gli esorcismi del Battesimo»,
e accennando di nuovo ai varchi, «le fessure attraverso le quali il Maligno
può facilmente penetrate ed alterare l'umana mentalità». L'astuzia,
la «ruse du Diable», al fine di persuaderci ch'egli non esiste, ch'egli
è solo un nome, nome comune e non proprio, non di persona ma di un simbolo
- il simbolo del male, di ciò che si è chiamato un tempo «il
peccato» e la «nuova teologia», proletaria, chiama pur anche ma
non conoscendone che uno, il «peccato sociale» - è consistita,
nulla di più semplice, nella maniera di scriverlo, questo nome, l'iniziale
di questo nome, non più maiuscola, come si è fatto con tutti gli altri
nomi propri scritti nel testo, ma minuscola, come minus ens o non ens affatto:
«Rinunciate a satana?» E che cosa sia, che cosa si debba intender per
«satana», è significato dalla seconda domanda: «Rinunciate
alle seduzioni del male ... ?» (Per chi non vedesse, in questo, altro che una
licenza ortografica o una distrazione, valga sapere ciò che un vescovo, durante
il Concilio, confidava a chi scrive: che si eran dovuti mettere dei sorveglianti
alla tipografia vaticana per impedire certi ritocchi ai testi votati in San Pietro:
ritocchi clandestinamente, astutamente operati ai loro fini, sulle bozze, da progressisti
consapevoli dell'importanza di una pur semplice virgola tolta o aggiunta o spostata
nel corpo del documento).
Persuasi, com'egli è riuscito a renderli, della sua non esistenza, i nuovi
duci della Chiesa hanno logicamente abolito le difese, lasciando così agli
spiriti maligni libero il campo, e sembra ne sia un effetto visibile il moltiplicarsi
delle ossessioni diaboliche, paragonabile a quello delle vipere nei nostri boschi
in conseguenza della scomparsa dei loro naturali nemici, i rapaci uccisi nella sua
stoltezza dall'uomo... Ci han riferito che nella lotta fra un esorcista - un vecchio
santo sacerdote cui si è lasciata la facoltà - e il maligno spirito
insediato in una creatura, al ministro di Dio che gli ricordava col rituale le sue
sconfitte, questo rispondeva, con una risata sardonica, contrapponendogli come una
sua recente grande vittoria la cessazione, nelle chiese, di quell'appello a san Michele
con cui papa Leone aveva voluto si concludesse e quasi si presidiasse la Messa.
L'aveva composta e imposta, il grande Pontefice, al sèguito di una terrificante
visione che gli premostrava, circa l'opera, le vittorie del Diavolo nei non lontani
tempi a venire, ciò che la Madonna avrebbe poi rivelato a Fatima («Satana
riuscirà a introdursi fino alla sommità della Chiesa»), ciò
che Paolo VI avrebbe confermato in San Pietro parlando di «fumo di Satana»,
sollecitandoci a guardarci dal «perfido ed astuto incantatore»: non così
astuto che noi non lo vediamo, ormai, nella sua baldanza, quasi allo scoperto e per
cui più che mai ci preoccupa il disarmo in atto, iniziato (nella liturgia
della Messa) già all'avamposto, col ritiro di san Michele dal Confiteor e
continuato, in forza dei decantati «sviluppi della Riforma», nel Messale
e nel Calendario con la radiazione della sua festa.
Inezie, queste, e non astuzie, non vittorie del «perfido astuto», mi
risponderebbe un di quei devoti della Riforma, con tutti i suoi sviluppi e ammodernamenti,
il padre Rotondi, della Compagnia di Gesù, che cosìperentorio rispondeva
negativamente, sul Tempo, a chi per l'appunto gli chiedeva se non credesse
che al satanismo oggi dilagante per tutti i versi nel mondo non avesse aperto le
cateratte «l'abolizione della bellissima preghiera a San Michele Arcangelo
che si recitava un tempo al termine della Santa Messa». «Francamente
no», rispondeva il moderno gesuita - senza riferimento al gesuita moderno
di giobertiana memoria! - e francamente io penso che un ghignetto, una piccola subsannatio
di soddisfazione ci sia stata anche per lui da parte dell'accusato, riconoscente
di una difesa d'ufficio così inattesa e inattendibile da un seguace di sant'Ignazio,
per quanto gli possa esser dispiaciuta l'esaltazione della preghiera, del cui «abbandono»
il pio religioso giustamente si duole attribuendogli «la perdita del "senso
di Dio" al quale subentra inevitabilmente il senso delle cose terrene, il materialismo,
che poi sfocia nella miscredenza e nell'ateismo».
Vittima di quei tali «sviluppi», è superfluo chiedersi chi abbia
fatto fuori la «bellissima preghiera» con cui la Chiesa invocava suo
difensore il Principe della Milizia celeste, né lo chiederemo al padre Rotondi,
che non vedendone l'utilità non ne vede, forse, neanche la bellezza (la vide
bene un poeta come il nostro Giuliotti, che le dedicò una stupenda pagina
del suo libro sulla Messa, Il Ponte sul mondo); ma lasciando chi vibrò
il colpo e guardando a chi lo ispirò, vale per questa ciò che Domenico
Celada scrisse a proposito d'altre vittime della vorace, dell'insaziabile Riforma:
«Chi ha abolito certi esorcismi? Il Papa ha osservato che non sa se la cosa
sia stata opportuna. Allora non l'ha voluta lui. Il sospetto si fa inquietante: chi
può averla voluta se non colui che ha tutto l'interesse a farsi dimenticare?»
Satana, appunto, e per riuscir nell'intento, per predicare con più credibilità
circa la sua non esistenza, egli si è fatto frate, come si dice e s'è
visto, e non frate zoccolante ma dottore e oratore; ma con tutto il suo buon volere,
nonostante tutta la sua astuzia, le sue opere lo tradiscono, le sue emanazioni lo
rivelano, come il fumo tradisce il fuoco in caverna, come il fetore tradisce la fogna
che scoppia.
Scriveva perciò lo stesso Celada (sullo stesso giornale, Il Tempo,
dove vorremmo ancora poter leggete suoi begli elzeviri): «A me sembra che la
presenza del demonio nel mondo contemporaneo sia ben evidente. L'offensiva che si
sta scatenando contro i giovani reca senza dubbio il segno di Satana. La moda indecente
che offusca in essi il primato dello spirito ed esalta l'animalità, la pornografia
che li degrada, la droga che li priva della luce dell'intelligenza, sono mezzi di
cui il demonio si serve per deturpare l'immagine del Creatore, per trasformare il
capolavoro di Dio in una tragica caricatura. E nel mondo delle arti? Oggi vediamo
esporre tubi di scarico, stracci sporchi, lavandini rotti, o addirittura sterco,
come opere d'arte. Giovincelli e ragazzine dalla voce stonata, rauca o nasale, vengono
accolti trionfalmente come fossero Caruso o Gigli. È il culto di tutto ciò
ch'è brutto. Come non vedere in ciò il segno di Satana, eterno sfregiatore
d'ogni bellezza?» E con un avverbio di equivalenza, equivalente a un maggiorativo,
va oltre aggiungendo: «Altrettanto evidente mi sembra la presenza del demonio
nella Chiesa».
Satana era sicuramente in Roma, nel cuore della Chiesa, e rideva di contentezza coi
preti, i frati, le suore che si sbellicavano dalle risa assistendo, poco fa, alla
parodia del Vangelo promossa dal Vicariato. Dal Vicariato, facendo nella più
irritante maniera ciò che l'autorità civile, in forza del Concordato,
è impegnata a impedire: «In considerazione del carattere sacro della
Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico
e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma
tutto ciò che possa essere in contrasto col detto carattere». Dal Vicariato,
dove poi ci si stupirà del «diluvio» dei «no» alla
legge evangelica del «non separare», mentre si accampano le nubi per
quello che vorrà dir «no» al «non ammazzare» (mentre
rileggo queste pagine leggo che in Roma le firme di petizione per l'aborto sono già
144000, promotori fra gli altri un prete e due donne una delle quali monaca e l'altra
riconosciuta «teologa», incitatrice un'altra, una femmina la cui faccia
par garantire il suo personale disinteresse.
San Matteo, come già al Pasolini, ha fornito il copione per questa nuova sacrilega
caricatura. È il suo Vangelo che si è preso a parodiare - come c'informa
chi ha visto - «tutto in chiave grottesca», in un modo che supera qualsiasi
immaginazione». Si stenta difatti a credere e con orrore riportiamo - perché
non ci si stupisca se, come abbiam detto sopra, un domani forse prossimo Iddio si
sveglierà - ciò che il testimone riferisce. «Tra la figura di
Nostro Signore in calzoni a righe colorate e zoccoli con pon-pon rossi, e quella
di Giovanni il Battista in redingote a strisce, e gli altri, sembra di trovarsi dinanzi
ad una gabbia dello zoo con scimmie vestite di stracci colorati che saltano, gesticolano,
urlano, s'arrampicano sulla rete, caprioleggiano e rotolano a terra. Lazzi, frizzi,
schiamazzi, fischi e pernacchi a ritmo di rock sottolineano le ineffabili parabole
di Gesù, schernendone il significato con i commenti...» San Matteo aveva
predescritto la scena - tunc milites illudebant ei... - salvo la veste di
pagliaccio, qui in luogo della porpora, e i discepoli che là non c'erano a
guardare e acclamare. Incredibile, ripetiamo, e tale parve anche a chi non era dei
suoi. Infatti, «sentir pronunciare il santo nome di Gesù da quegli scalmanati,
rivolgendosi ad un pagliaccio, faceva fremere di sdegno laici dal passato burrascoso,
mentre labbra che hanno mormorato preghiere tutta una vita si atteggiavano al sorriso,
e mani che avevano elevato la Santissima Eucaristia nel gesto della Consacrazione,
applaudivano». Le stesse labbra han sorriso, le stesse mani applaudito alla
scena dell'Agonia, «raffigurata dai pagliacci che ronfano ammucchiati agitando
ritmicamente le braccia». Né li atterrisce, attori e spettatori, immemori
di ciò che atterrì i convitati di Baltasar - quelle parole, quel Mane
Tecel Fares scritto da quella mano sulla parete della sala dove si rideva e irrideva
alle cose sacre bevendo nei vasi del Culto presi dal Tempio - immemori del Deus
non irridetur, il pensiero dell'ultima scena, quando Egli verrà in
maiestate sua a giudicare, se anch'essa è stata per quelli oggetto di
caricatura, e valga per il tutto un particolare: «Il saltimbanco interprete
della parte» (del Giudice Divino) «è seduto su una tavola a gambe
divaricate, con lo "scettro" nella mano sinistra rappresentato da una scopa,
e fa entrare gli "agnelli" nel "regno dei cieli" con una pacca
sul sedere di ognuno che, a pecoroni, gli passa tra le gambe belando di contentezza...»
E la gente ride, la gente gode, la gente applaude.
In Roma, questo e il tant'altro, e si domanda, il testimone, «come possa, la
terra impregnata del sangue di tanti martiri, lasciarsi calpestare da questi bestemmiatori,
apostati, sacrileghi, senza sollevarsi in un moto di repulsione».
Come? «È un mistero», egli si risponde, e collegando a queste
altre offese, d'ordine materiale, per cui gemono, minacciati di crollo, gloriosi
edifizi sacri a Dio, alla Vergine, ai Santi, mestamente conclude: «Non è
la circolazione che fa sussultare i monumenti alle fondamenta, non è il tempo
che distrugge. È la mancanza di fede, di rispetto verso il Creatore, che annienta
lo spirito che regge tutte le cose: anche le pietre. Così come il corpo dell'uomo
muore quando l'anima lo abbandona, le costruzioni degli uomini cadono in rovina perché
viene a mancare il sostegno della preghiera. Questo è il segno dei tempi da
noi vissuti... Il tremendo anatema dottrinale - perciò inalienabile - del
Concilio di Trento ci sovrasta. Guai! Guai! Guai! Ma nessuno legge l'Apocalisse,
e tutti corrono a vedere Godspell su invito del Vicariato».