Inversione delle parti?
La domanda che l'estensore confessa d'essersi fatta «a denti stretti»,
definendola «paradossale», è in realtà una di quelle che
affermano, e vale ben oltre la portata di ciò che le ha dato origine come
per l'appunto il divorzio.
Non ch'io neghi - a coloro di cui noi laici, nella battaglia per le are e i fuochi,
abbiamo fatto le parti, mentre quelli, come le stelle di Cronin, stavano, nel miglior
dei casi, a guardare -, non ch'io neghi ai nostri amorosi padri e pastori a buona
intenzione. Pax vobis, e l'intenzione (tanto più chiara, ora che le
due difficili parole ci vengon dette in volgare) era quella: quella, precisamente,
di non infranger la «pace», d'impedire quella frattura, quella «guerra
di religione» che tutti, pur minacciandola, sembravano voler scongiurare come
inevitabile deprecabile conseguenza della sconfitta del divorzio.
Ognuno, infatti, ricorda come questo fosse il grande argomento, come tutti, spurgati
i vecchi podrecchiani catarri contro la Chiesa, esternassero nei suoi riguardi quella
santa preoccupazione: una cosa, diciamo, da strappare per la commozione le lacrime,
intonando il Nunc dimittis, sentire dai più famelici anticleticali
di ieri, quelli che avrebbero mangiato un prete a colazione, un vescovo a pranzo
e il Papa a cena, professioni di rispetto da far loro forse rimpiangere che non portassero
più la tonaca per potergliela pubblicamente baciare. E chi non ha creduto,
ascoltando la Nilde, la Sunamita di Togliatti, ch'essa fosse tornata l'antica figlia
di Maria, da proporsi, oggi che in chiesa offician le donne, per ministra all'altare,
con Fortuna, l'ex-luigino tornato ai prischi fervori, per chierichetto? E il Pajetta?
E il Ferrara? E il Gorresio? e... Non per diminuire il suo merito, il suo diritto
alla «medaglia», ma il Carretto, nel riferire il suo colloquio con Gesù,
il fratello maggiore, a proposito del suo «no», non si è dimostrato
più pio, più attento al bene della Chiesa, più geloso della
pace religiosa in Italia, di loro che con Gesù non erano come lui in rapporti
di parentela o di stato, se non proprio nella condizione del celebre «poeta
roseo» che, come malignò quel suo rivale, «di tutti disse mal
fuor che di Cristo, scusandosi col dir: Non lo conosco».
Conoscenti e non conoscenti - tra i primi la cosiddetta Azione Cattolica, distintasi
per la sua totale inazione, a differenza dell'Università similmente detta
cattolica, il cui magnifico rettor Lazzati si schierava decisamente per il «no»
- tutti, fino alle ore quattordici del lunedì 13 maggio, chiusura dei seggi,
sembravano avere in cima ai loro pensieri la sorte della religione fra noi, e si
spiega cosìla malavoglia dei Vescovi a impegnarsi nella battaglia, così
l'avversione loro alla «conta», così il molle giunco, in luogo
del rigido pastorale, nei confronti dei traditori. Pie saeviens? No, niente,
con essi, severità, né pia, né dura, niente con essi bastone
ma carote, carote, carote, ma «perdon», ma «carità»,
ma «fiducia», nuova e maggior fiducia a chi dimostrò fin troppo
di averne abusato, e così abbiam visto, non senza nausea, a quel nostro Meucci,
delatore in Cina dei cattolici fedeli a Roma,che tanto ha fatto, in Italia, per favorire,
col divorzio, la delinquenza giovanile, la Pontificia Università Gregoriana
spalancar le sue porte perché vi andasse a concionare sul problema dei minorenni,
accusando «la società» con domande come queste: «Chi è
il delinquente che finisce in carcere? Da dove provengono i dodicimila minori che
ogni anno entrano in carcere?» - senza che nessuno abbia risposto, additandolo,
alla sua impudenza. Stessi riguardi, identica stima per il compagno Raniero, compagno
in Asia pro-Mao come da noi pro-divorzio, che delle relative fatiche sta riposandosi
nella magnifica villa che i soldi episcopali di direttore dell'Avvenire d'Italia
gli hanno permesso di regalarsi a Camaldoli vicino ai frati dell'eremo, i quali,
Abate compreso, hanno in lui il maestro e guida, l'Ipse dixit, capace d'insegnare
al Papa, con un sorriso alla Balducci, ciò che va fatto e non va fatto perché...
perché non si veda, per esempio, in Italia ciò che, in fatto di liturgia,
quei due han visto «in quella chiesa là di Pechino».
È un esempio che va citato, e lo citiamo, dal nostro settimanale diocesano,
dove ne parla un sacerdote di qua, monsignor Fatucchi, andato lassù, a Camaldoli,
con altri coetanei di sacerdozio, per ricordare, con una Messa che avesse almeno,
lingua e canti, un poco di quella, la loro Messa novella.
Così hanno chiesto, ma al loro umile, modesto desiderio - un po' di latino,
qualche nota di gregoriano - ha risposto, «immediatamente aggressivo»,
l'Abate Generale: «I canti gregoriani sono dei morti e nessuno deve risuscitarli!»
Non convinto e non atterrito, il sacerdote ha voluto un poco discutere - dopo aver
celebrato senza i morti, come l'Abate irremovibilmente, dittatoriamente imponeva
- circa la di lui affermazione, ma invano: «Invano ho tentato di obbiettate
che l'arte, la musica non muoiono mai, invano ho aggiunto che anche il popolo conosce
il senso di certe parole (Kyrie... Sanctus... Gloria...). Ho anche ricordato
i recenti interventi del Papa in proposito: ma tutto è stato inutile. Alla
mia frase: "Il Papa non vuole cosi" si è risposto: "Il Papa
pensa come me, il Papa vuole quello che voglio io!" aggiungendo che se lui,
il Papa, s'era espresso, a parole, in senso contrario, lo aveva fatto «per
compiacere a qualcuno, ma non pensava a quel modo», e, comunque fosse, comunque
il Papa volesse, ha concluso ancora più aggressivo, «io voglio così,
io sono il superiore e finché io sarò il superiore, all'Eremo si farà
sempre così». L'État c'est moi, diceva quello; il Papa,
dice questo, a Camaldoli sono io, così a me piace, piaccia o non piaccia a
quello di Roma... Non mancava, a questo punto, che lui, e lui, il Raniero, comparve,
«circondato con molto calore da alcuni monaci», lui, il La Valle «che
a Camaldoli respira molto bene, a pieni polmoni», ed è «entrato
nel discorso» risolvendo tutto con un sorriso, ossia «irridendo che ancora
sopravviva qualche retrivo conservatore che osa chiedere il ritorno di pochi canti
in latino». Ne aveva trovati, di questi retrivi conservatori, di questi morti
renitenti a seppellire i loro morti, o illusi di risuscitarli, perfino in Cina, là
dove Mao di conservatori ne aveva, non metaforicamente, seppelliti a milioni, e non
c'era da meravigliarsi, c'era solo da sorridere, che se ne trovassero ancora qua,
dove la rivoluzione culturale era appena in fasce.
Ignoriamo se ai fini e in attesa d'essa rivoluzione il Raniero stia insegnando ai
monaci, a quei monaci suoi calorosi alunni antilatinisti, il cinese (nel dubbio se
non finirà per vincere il russo e a parte il fatto che Mao, vedi un po', pensa
di adottare, per la scrittura, i caratteri latini), ma sappiamo ch'egli, all'uopo,
lavora (col compagno Giampaolo che mai da lui non è e non fia diviso, come
il Paolo dalla Francesca di Dante) quale animatore dei cosiddetti «cattolici
del dissenso» o, come più comunemente detti, «del no», Una
denominazione curiosa, equivalente a cattolici non cattolici, cattolici che, posti
dinanzi al loro dovere di agir come tali, rispondono «no» e agiscono
all'opposto - magari continuando ad andare in chiesa, s'intende dove il latino e
il gregoriano sono ben morti -, si tratti di opporsi al divorzio o ai partiti che
insieme al divorzio, demolitore della famiglia, anelano alla demolizione della Chiesa.
Di questi, appunto, si tratta: questi che il 12 maggio hanno risposto «no»
alla Chiesa, «no» al «no» del Vangelo e perfin del Concilio,
di quello che considerano il loro Concilio e che, «se non ci fosse stato»,
infelici noi che dovremmo ancora pregare e cantare come in quella «Chiesa cattolica
che è in Pechino»!
Cattolici del no, ed è, questa loro organizzazione, successiva al 12
maggio, la più beffarda risposta agl'inviti e alle speranze dei Vescovi, alle
loro cortesie e premute per il loro ritorno all'ovile, di cui s'è reso fra
gli altri interprete in Cei il vescovo, dal nome tutto mitezza, monsignor
Abele Conigli, di Teramo, che, come riferisce la cronaca del convegno, «ha
esortato tutti ad estrema pazienza e carità, in particolare con i sacerdoti
che hanno violato la comunione ecclesiale: su tutto prevalga l'amore». Al loro
patetico appello, tutto sul motivo di Torna, deh torna, o figlio, quelli,
come s'è visto, han risposto picche, han risposto «no», facendo
di questo un'istituzione, una divisa e una bandiera, da sventolare in faccia ai Vescovi
e al Papa: un'istituzione (fondata in Roma il 21 giugno, anniversario dell'incoronazione
di Paolo VI) che ha anzitutto posto sotto accusa gli accusatori: i Vescovi, per l'appunto,
«incluse le più alte istanze» ossia l'altissima, il Papa, sia
pur concedendo loro le attenuanti, d'ordine... mentale, in quanto inetti a riconoscere,
nella condanna del divorzio e dei cattolici suoi propugnatori, «il grave ritardo
della Chiesa nella lettura dei disegni dei tempi».
Così il La Valle, il relatore, benigno per questo agli imputati, benigno alla
Chiesa, di cui i cattolici del no possono «capire l'inquietudine profonda,
la percezione angosciata dell'insuccesso che le istanze più alte hanno mostrato
dopo il 12 maggio», ma senza giustificarne la faccia «corrucciata»
nei loro riguardi, senza perdonarle la «facilità a pronunciare condanne,
a dichiarare esclusioni», cosa che per essi ha rappresentato, nel caso, «una
sorpresa ed un trauma».
Una sorpresa e un trauma d'altro genere, e assai più sconvolgente, è
stata per i «cattolici del no», o «compagni credenti», come
li denominano i compagni non credenti, la freddezza di questi a riguardo loro, ossia
a riguardo della loro costituzione in partito, da quelli voluta al fine di proseguire
con questi, viribus unitis, verso gli altri «no», le altre comuni
vittorie da conseguire sotto lo stimolo del grave ritardo storico, ovviabile o tampoco
avviabile con lo storico compromesso proposto dal capo dei non credenti... Non
sic, non così gli stessi compagni, non cosìlo stesso capo dei miscredenti
avevano accolto antecedentemente al 12 maggio l'iniziativa dei credenti per un convegno,
un sodalizio in comune - da tenersi e fondare - come si tenne e si fondò,
a Roma, sempre a ridosso delle alte istanze, il 23 marzo - a vantaggio del «no»,
e la luce della più schietta gioia brillava in volto ai La Valle, ai Mericci,
ai Leonori, ai Macario, ai Carniti, ai Gabaglio, ai Brezzi, ai Pedrassi, ai Prodi,
agli Scoppola, per non nominar che i maggiori, mentre si leggevano fra i battimani
i messaggi del Berlinguer e del De Martino inneggianti alle «decisioni coraggiose
e ferme di quei democratici di fede cristiana che rivendicano la libertà di
coscienza» (così onorata e tutelata, come ognun sa, in quei loro paesi
là di fede marxista).
Or perché dunque, passato il 12 maggio, questo mutato loro contegno? È
un fatto che i compagni non credenti non han gradito, da parte dei credenti, questa
ulteriore loro prova di fedeltà all'asse Roma-Mosca, di indissolubilità
del patto, stavo per dire del matrimonio, contratto in vista del divorzio, e un di
loro, uno dei maggiorenti delle Botteghe Oscure, l'onorevole nientemeno che Natta,
«ha detto chiaramente ai cattolici del no» (come riferisce su un giornale
Giovanni Ricci) «che il Partito Comunista Italiano non vuole che si costituiscano
in partito». Perché?
Ci si domanda, sorpresi e traumatizzati anche noi, ci domandiamo giusto il perché,
e lasciando andare ciò che, da napoletano, potrebbe risponder De Martino,
ossia che, avuta la grazia (nel caso, il divorzio), i santi si mandano a buggerare;
lasciando andare che i Quisling, utili e accarezzati finché dura il
bisogno, finiscono, finito questo, disprezzati e schifati dai loro stessi padroni;
lasciando andare questi e altri possibili motivi del genere, la risposta più
attendibile non può esser che quella detta dal medesimo Natta, ossia che «il
Partito Comunista Italiano punta al dialogo con "tutti" cattolici e non
solo con quelli del cosiddetto dissenso; anzi, avverte che costoro, a tempi lunghi,
costituiscono più un ostacolo che un aiuto». Risposta, ossia spiegazione,
sorprendente e traumatica, per i compagni credenti, più dello stesso
veto a costituirsi in partito in quanto li liquida degradandoli da inutili, ormai,
a importuni ausiliari, in vista dei tempi lunghi, stante la loro posizione nei riguardi
delle alte istanze, corrucciate come s'è visto con loro per via del 12 maggio,
e non perché contrarie al «dialogo» ma per quella prudenza nell'avanzare
raccomandata da Ferrer al suo cocchiere: adelante, sì, ma con juicio,
per non arrotare, coi tempi troppo brevi, la folla acclamante.
Va pure aggiunto che di frange, di truppe di complemento, come sarebbero questi cattolici
del no, fratelli uterini dei cristiani per il socialismo, fratelli a loro volta
di poppa di quelli del 7 novembre, cugini carnali dei mazziani dell'Isolotto, il
partito ne ha già troppi, con danno della sua unità ed efficienza in
campo, a cominciare dai brigatisti (rossi) e, senza dimenticare gli aclisti (rosa),
terminare coi nappisti (scarlatti), pur contando quelli del Fuori (Fronte unitario
Omosessuale Italiano) e quelle del PPP (Partito Protezione Prostitute): due nuovi
recenti parti della nostra prolifica democrazia, che noi finanzieremo a gloria e
vantaggio della repubblica fondata anche sul loro lavoro.
Fuori e PPP... Mi perdonino i «cattolici del no» se parlando
di loro siamo arrivati, siamo scivolati a parlar di questi, maschi e femmine d'un
peccato medesmo al mondo lerci... Lungi da me l'idea di associarli, ma penso
che sia carità avvertirli. Non vorrei, infatti, non vorrei, per il loro onore,
che fossero quelli a prender l'iniziativa. Non vorrei, dico, che, a tempi lunghi,
quelli arrivassero a dire a loro: venite con noi che, in un modo o nell'altro, siamo
tutti... anormali.
Su questa strada, a tempi brevissimi, quelli hanno organizzato, a Milano, in una
ex-chiesa, idealmente ridedicata al loro santo apostolo e martire Pasolini, una «festa
omosex» (come han riferito i giornali) «a base di musica, canzoni e proiezioni
di tipo OS», per combattere, han detto, «tutti i perbenisti che ci vogliono
tenere nell'ombra», e si sa che in Francia quelli e quelle han fatto, di una
chiesa non «ex» come la cattedrale di Reims, un Eros center, coi confessionali
per camerini e le cappelle per luoghi di decenza, senza che, da dove si doveva
(e qui non si può più scherzare: qui è il tragico) sia partita
una scomunica, un interdetto, un miramur, che c'impedisca di pensare che il
fumo degl'incensi - all'hascisc o alla marijuana - bruciati con abbondanza in queste
feste di Satana, si sia diffuso dalle chiese alla Chiesa, snervando, addormentando
del tutto, gl'insonnoliti custodi.
Che suono avrà, quando l'ora sarà venuta - e forse non è lontana
- la sveglia di Dio?