«Molti protestanti si preoccupano
vedendo quello che accade nella Chiesa Romana».
Cosi, in un suo recente volume, l'anglicano Jacques Loncard, ed è un rilievo,
come da lui fatto da tanti altri, prima e dopo, che dovrebbe far tremare (se ancora
ne son capaci, essi che non potendo abolir quel giorno, hanno abolito, perché
non ci si pensi, il Dies irae) gl'impresari, grossi e piccini, della Riforma,
i curatori, primati e ordinari, della Chiesa, che, affetti dì neomania o veterofobia,
l'hanno alterata, deformata, con trapianti e trasfusioni innaturali alla sua costituzione,
cosìda renderla irriconoscibile, nonché agli estranei, ai suoi propri
figli, e da oggetto d'invidia farne oggetto di compassione: Haeccine est urbs
perfecti decoris...? Questa è la città della perfetta bellezza...?
Quanto ai figli, gli effetti disgregatori della Riforma son da dieci anni sotto i
nostri occhi e nei nostri cuori: chi non ha ceduto alla tentazione staccandosi da
quella che fino a ieri gli fu gioia amare e servite, si consola nella speranza che
tale potrà essergli ancora o potrà essere ai suoi; quanto agli estranei...
auguro all'amico del già mio amico Papini di aderire all'invito pubblico di
Paolo VI: «Aspettiamo sempre Giuseppe Prezzolini», ma comprendo la sua
risposta, il suo «se»: che non sarebbe, ad attrarlo, la Chiesa d'oggi,
tutta protesa a cambiare, a, «rinnovare le strutture, le forme o le formule,
come vogliono i nuovi o arretrati cattolici che farebbero bene a chiamarsi protestanti»;
non sarebbe questa odierna Chiesa tutta impegnata «nella gara dei benefici
sociali e delle forme politiche», curando meno il suo proprio compito, quello
di «fare degli uomini buoni».
Non molto diversamente da lui, Augusto Guerriero, colui che ha cercato e non ha
trovato, conclude un suo lungo studio su certe odierne ricerche d'ordine religioso,
scrivendo: «Non vi sono che due vie: o la teologia con Dio o l'ateismo».
La prima di queste è la tradizionale, cattolica, l'altra è quella dei
«nuovi teologi», sostanzialmente protestanti, che attraverso il modernismo,
più o meno tortuosamente, come vide Pio X, conduce appunto all'ateismo. È
questa finale, questa estrema logica conseguenza della «malattia protestante»,
inoculata nella Chiesa dai bacilli del riformismo, che preoccupa i protestanti, i
sofferenti costituzionali del morbo, desiderosi di guarirne e perciò orientati
già con speranza verso il Cattolicismo. «Ho molta paura che i cattolici
si trasformino in riformati», scrive ancora uno di loro, parlando dei nostri
riformisti; e chi, al contrario, da riformato senza inquietudini, gode di ciò,
avverte i correligionari che non è ancora il momento di stendersi sugli allori,
che c'è ancora da fare, che i cattolici, per quanta strada abbian fatto, col
Concilio e dopo il Concilio, incontro a chi li definì «sciocco bestiame»
e «porci schifosi» (che fu Lutero, se ci è permesso di ricordarlo),
non sono ancora del tutto rinsaviti o decircizzati, non del tutto, tutti, ancora,
riformati, sul loro modello.
«È fuori di dubbio», scriveva su Le Monde (11 ottobre 1972) Roger
Mehl, «che il Concilio Vaticano II, malgrado le resistenze e le esitazioni
che hanno sottolineato l'attuazione delle sue decisioni, ha soddisfatte molte richieste
che erano quelle dei riformatori del sedicesimo secolo». E continua, citando
fra i molti alcuni esempi: «L'aver messo la Bibbia al centro della fede, l'uso
della lingua locale come lingua liturgica, l'accento posto sulla predicazione della
parola, le riforme tendenti a declericalizzare il governo della Chiesa, tutto ciò
è nella linea della Riforma e annulla la Controriforma, a tal punto che certi
oppositori cattolici non esitano a denunciare la protestantizzazione della loro Chiesa».
Prosegue, scusando e non scusando l'inclinazione dei suoi a deporre le armi credendo
di poter issar stilla cupola di San Pietro la bandiera della vittoria: «Si
capisce, in queste condizioni, che teologi protestanti possano fare questo ragionamento:
- L'intenzione della Riforma non era di fondate un'altra Chiesa ma di riformare l'unica
Chiesa. Le Chiese della Riforma non costituiscono dunque un fine a sé, non
hanno da difendere ad ogni costo la loro autonomia. Se Roma s'impegna sulla via della
Riforma, il cómpito delle Chiese della Riforma non ha raggiunto il suo scopo?
- No, egli risponde, d'accordo con un altro, Bernard Reymond, il quale «nota
con perspicacia tutti i segni che annunciano la nascita di un "neo-cattolicesimo";
ma ritiene, da una parte, che non è certo che questo orientamento noto dal
Vaticano Il prevarrà realmente in seno al cattolicesimo e, d'altra parte -
e soprattutto - che "tutte queste riforme, per positive che siano, non rimettono
in causa il dogma fondamentale del cattolicesimo cioè l'infallibilità
della Chiesa", per cui conclude che le Chiese della Riforma conservano oggi
ancora la loro vocazione primaria, non essendo ancora state tutte soddisfatte
le vere richieste della coscienza cristiana: la piena libertà di coscienza,
il diritto all'errore dottrinale, l'abbandono di ogni sacramentalismo, la democratizzazione
della Chiesa, il pluralismo teologico e, per colmare la misura, la fine della Chiesa
istituzionale».
Non ancora, pur se il desiderio fa sembrare quasi raggiunta la meta.
Non ancora, ed è quanto dire che il Montesquieu, nel predire il tempo
«in cui non vi saranno più protestanti perché non vi saran più
cattolici», risulta, almeno per il presente, troppo ottimista.
Noi sappiamo con certezza che quel tempo non verrà mai, anche se l'assottigliarsi
del numero - il numero di coloro la cui divisa, la cui carta d'identità
è pur sempre quella: Christianus mihi nomen, Catholicus cognomen sembra
quasi esiger che ci contiamo.