NEL FUMO DI SATANA
VERSO L'ULTIMO SCONTRO
Follia in San Pietro

«Il jet respinge il martellatore».
Così, nel decimo anniversario di quel 7 marzo che né da quella finestra né da altri amboni si è in alcun modo celebrato), mi avvien di leggere in un giornale romano, a capo di una notizia che mi ha fermato e colpito ricordandomi, appunto, per simbolica analogia, tale data.
«Il comandante del jet», cosìil quotidiano, «che avrebbe dovuto trasportare a Sidney il martellatore della Pietà, ha rifiutato di ospitare a bordo il poco gradito ospite... Così il volo 256 della Compagnia di bandiera australiana è stato effettuato, con sensibile ritardo sull'orario previsto, senza LazIo Toth. Il geologo ungherese sarà ancora, dunque, nostro ospite, a Farfa Sabina, nel locale campo profughi, in attesa di un prossimo imbarco. Il Toth in edizione 1975 non è molto diverso da quello che avemmo la ventura di conoscere il 21 maggio del 1972, allorché, in San Pietro, colto da un improvviso raptus, rabbiosamente, a colpi di martello, infierì contro la commovente opera michelangiolesca. Né, quel che conta, sembra di molto mutato il suo "carattere ": i due anni e mezzo dalla condanna trascorsi nei manicomi giudiziari di Aversa e di Castiglione delle Stiviere non sembrano avere modificato di molto né i suoi umori né le sue idee... Ha ripetuto che nella Vergine egli tentò di colpire la Chiesa Cattolica nel suo insieme. Di diverso c'è soltanto, nelle sue farneticazioni, che Roma " è la città di Satana ": una definizione nella quale potremmo anche concordare, senza arrivare a quelle sue estreme conseguenze... È stato dichiarato indesiderabile dal nostro Paese e dal suo Paese d'origine, l'Ungheria. La sua destinazione ultima è l'Australia. Fra pochi giorni dovrebbe finalmente partire. Incontrarlo, dà una sensazione di pena indecifrabile e, in qualche misura, di sorpresa: come un piccolo uomo, sia pure in preda alla follia, abbia potuto levare la mano contro una creatura gigantesca come la Pietà».

Pena e sorpresa... È ciò che, dopo dieci anni, ancora e di più proviamo per lo strazio che a cominciare da tale data si è fatto e - «gradatamente», martellata dopo martellata - si va facendo della Liturgia: di quel capolavoro cui ha posto mano e cielo e terra, fatto perché gustassimo già in terra il cielo e ce ne invogliassimo: di quell'opera senza autore che s'identifica con la Chiesa, come ben vide nel suo delirio il martellatore volendo appunto, nella Pietà, colpire la Chiesa: la Chiesa di cui la Vergine, la Pulcherrima mulierum, è madre e per cui piange, oggi, e chiama a pianger con lei, quasi quei colpi, quelle martellate rinnovassero in lei la passione patita già sul Calvario: O vos omnes qui transitis per viam, attendite et videte...
O vos omnes... La repulsione del comandante del jet per lo sfregiatore della Vergine, simbolo per lui della Chiesa, il suo rifiuto di portarlo e quello della sua stessa patria di riceverlo può ben simboleggiare l'universalità della riprovazione per lo sfregio fatto alla Chiesa stessa nel suo volto di orante, riprovazione condivisa, non fosse che nel puro amore del bello, da quelli stessi che alla Chiesa non appartengono. Resta per tutti la domanda del giornalista «laico» nei riguardi della Pietà, «come un piccolo uomo», un Bugnini (per dire in uno, il principale, tutta la banda dei guastatori) abbia potuto osare e far tanto; e la risposta, la spiegazione, per il credente va ricercata nel «fumo» detto da Paolo VI: «il fumo di Satana entrato per qualche fessura nel Tempio di Dio».
L'Apocalisse parla di questo «fumo» pullulante su dall'Inferno mentre nel cielo «per medium coeli», passa il grido - «vae! vae! vae!» - premonitore dei grandi mali venturi: «Aprì il pozzo dell'abisso e salì fumo dal pozzo come fumo di gran fornace, e s'oscurò il sole e l'aria per il fumo del pozzo. E dal fumo del pozzo uscirono locuste sulla terra, e fu dato loro un potere, come l'hanno gli scorpioni della terra...» Siamo forse a quei giorni? Sta forse per avverarsi ciò che Pio X deduceva dai «segni del tempo» nel quale egli iniziava il suo pontificato? «... Chi tutto questo considera bene ha ragione di temere che siffatta perversione di menti sia quasi un saggio e forse il cominciamento dei mali che agli estremi tempi son riservati: che già sia nel mondo il figlio di perdizione di cui parla l'Apostolo. Tanta infatti è l'audacia e l'ira con cui si perseguita da per tutto la religione, si combattono i dogmi della fede e ci si adopera sfrontatamente a estirpare, ad annientare ogni rapporto dell'uomo con la Divinità! In quella vece - ciò che appunto, secondo il dire del medesimo Apostolo, è il carattere proprio dell'Anticristo - l'uomo stesso, con infinita temerità, si è posto in luogo di Dio, sollevandosi soprattutto contro ciò che chiamasi Dio: per modo che, quantunque non possa spengere in sé interamente ogni notizia di Dio, pure, manomessa la maestà di Lui, ha fatto dell'universo quasi un tempio a se medesimo per esservi adorato. Si asside nel Tempio di Dio mostrandosi quasi fosse Dio"». Ut in templo Dei sedeat, e a entrarvi gli è giovata quella «fessura», quella piccola crepa in forma di limitata eccezione - «adhiberi licet» - a favore del «pluralismo», aperta nell'unità del pregare: «fessura», crepa, che alle mani dei martellanti riformisti s'è allargata, spalancata via via, dandovi in breve tempo l'accesso a un pluralismo di arbitrî così arbitrari, a un'alluvione di errori e di orrori tali che lo stesso Paolo VI già si chiedeva poco dopo quello «storico» 7 marzo se la liturgia, così ridotta, potesse ancora cosìchiamarsi, «si hoc nomine adhuc appellari potest», ne denunziava le «torbide sorgenti», l'accusava di «demolizione dell'autentico culto cattolico», dicendola infesta «alla stessa religione cristiana», effetto e causa di sovvertimenti dottrinali, disciplinari e pastorali tali da esigerne la condanna «non solo per lo spirito anticanonico e radicale che gratuitamente professa, ma per la disintegrazione religiosa ch'essa fatalmente porta con sé».

Fatalmente, ed era nell'ordine della logica: di quella logica cui il celebre canonista di Magonza richiamava scrivendo, ai primi attacchi dell'eresia riformista: «Si pensa di poter difendere la rocca della Dottrina cedendo la spianata davanti, che è la Liturgia; ma è proprio sulla spianata che si deciderà la battaglia». E un pastore protestante, manifestando a un sacerdote cattolico il suo stupore per un cedimento, da parte nostra, come quello del latino: «una Chiesa che abbandona la sua lingua cultuale abbandona se stessa. Essa sottopone non solo la sua lingua ma anche la sostanza della Fede, di cui questa lingua è l'eccipiente e il veicolo, alle variazioni e ai mutamenti che di continuo implica l'evoluzione linguistica. Il contenuto della Fede non sarà per questo meglio compreso, ma, al contrario, non lo sarà più affatto». Applicando in tutt'altro campo - quello sportivo - un ragionamento del genere, un giornalista della Nazione, Sergio Maldini, scriveva, a proposito delle Olimpiadi di Monaco:
«Quando una liturgia muore, anche una religione muore un po' insieme». Ed è per contribuire a salvare quanto della Liturgia non è morto, è perché la Pietà sia restaurata e difesa dai nuovi accessi della follia, è per questo, è per la Chiesa, che con la Liturgia s'identifica, che occorre resistere allo scoramento e combattere.
Dentro la «rocca», ormai, l'indomani di una battaglia perduta al seguito del cedimento della «spianata», come quella contro il divorzio, rivendicato nel nome di una libertà, di un «pluralismo» nel credere, conseguente alla libertà nel pregare.



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