Ci hanno chiamati anche
così - non con l'intenzion di lodarci! - e, a parte la sproporzion del raffronto,
mai come oggi, in verità, lo abbiamo sentito nostro. Quale che la sua sorte
sia stata - deportato insieme ai suoi in Babilonia o dai suoi lapidato in patria
- mai come oggi ci è parso odierno il grande profeta di cui Michelangelo,
nella Sistina, ha espresso così desolatamente il dolore, di cui, bambini,
c'inteneriva il pianto allorchè Anselmo, il taglialegna, onore del nostro
coro, la sera del Mercoledì Santo, lo faceva suo in quella sua mesta voce:
«Incipit lamentatio Ieremiae prophetae...» Una pausa, quasi un intoppo,
e, lenta, commossa e commovente, la voce continuava: «A-a-a-aleph... Quomodo
sedet sola civitas plena populo...» e: «Beth... Plorans ploravit in nocte
et lacrimae cius in maxillis eius ...» e: «Ghimel ... Migravit Iudas
propter afflictionem ...» e: «Daleth ... Viae Sion lugent eo quod non
sint qui veniant ad solemnitatem...» e: «He... Facti sunt hostes eius
in capite, inimici eius locupletati sunt...» E di lettera in lettera, quasi
di sospiro in sospiro, cosi fino a quell'implorazione finale che si ripeteva di lamentazione
in lamentazione facendosi via via più accorante col progredir delle tenebre:
«Ierusalem, Ierusalem, convertere ad Dominum Deum tuum!»
Chi ci derise dicendo che il nostro cristianesimo, «allattato coi riti antichi»,
rimpiangeva fra l'altre cose (come «le rogazioni, i vespri, la Candelora»)
quelli della Settimana Santa, come «l'ufficio delle tenebre», non pensava
che pur con questo - col suo scherno per ciò che i nuovi assiri han profanato
e distrutto nella nostra santa Gerusalemme - avrebbe dimostrato l'«attualità»
del profeta che fra le rovine di quella «sedette solitario e pianse»,
dolente per lei ben anche di questo: «...i suoi amici l'han disprezzata, le
si sono fatti nemici...»
Amici eius spreverunt eam et facti sunt ei inimici... È lo spettacolo
più triste di quest'ora per tanti versi tristissima: è la Chiesa «contestata»,
accusata, processata, condannata, svillaneggiata, sputacchiata - per il suo passato
di gloria considerato vergogna - dai suoi «cari», ex omnibus caris
eius, i suoi sacerdoti, con una gara e una foga che ha disgustato quasi più
che rallegrato gli «assiri», i suoi tradizionali nemici, cui si è
chiesto «perdono» di averli riconosciuti per tali, d'essercene premuniti
e difesi, di non aver loro «aperto» rimovendo ogni ostacolo al loro ingresso
e alla loro azione intra muros.
Viae Sion lugent... Viderunt eam hostes et deriserunt sabbata eius... È
il giorno del Signore strappato al Signore e assegnato al Mondo, al sollazzo; sono
le voci delle campane fatte tacere perchè non rompano il sonno di chi per
sollazzarsi ne ha sacrificato la sera e deve per sollazzarsi in giornata non sacrificarne
al mattino; sono quelle degli organi che non accompagnan più, nelle chiese,
i Vespri, aboliti onde sia tutto delle macchine, per il mare, per i monti, e sia
pure per l'obitorio, il fragore festivo pomeridiano.
Sacerdotes eius gementes... principes eius velut arietes non invenientes pascua...
Sono i «vecchi» sacerdoti, «vecchi» vescovi che si vedono
disprezzati dai «giovani», che nell'età della saggezza si vedono
additato il ritiro, che costretti a passare di mutazione in azione si chiedono, smarriti,
sgomenti, se ci sia più qualcosa di fermo, di stabile, in cui possan credere,
come fin qui da sempre, su cui poter pascolare, senza dover domani ricredersi.
Vidit gentes ingressas sanctuarium tuum, de quibus praeceperas ne intrarent...
E son gli eretici - i negatori della sua presenza nell'Ostia - ch'entrano, che accedono
coi sacerdoti all'altare, che concelebrano e consacrano insieme, spartendosi,
a quel momento, le parole da dire: parole che rinnovan, per gli uni, che rimemorano
e non altro, per gli altri, e similmente concomunicano, sia il Corpo di Cristo
o sia non altro che pane ciò ch'essi intendono dare e i fedeli ricevere. Sono
gli eretici che congovernano coi sacerdoti chiese di questi ribattezzate «ecumeniche»;
che cooperano da maestri alla formazione degli allievi del Santuario; che senza fede
nei sacramenti, nella Vergine, nei Santi, nei suffragi - per i defunti, collaborano
coi «credenti» a riformare, a rifare i libri del Culto, come altri
a concordare quelli della Fede: a concordare - con chi non pur crede in Gesù
Cristo - la Scrittura, il Vangelo.
Egressus est a filia Sion omnis decor eius... Obscuratum est aurum, mutatus est
color optimus... Ed è la «povertà», lo squallore che
i ricchi riformatori impongono alla Sposa di Dio nei suoi riti, nelle sue vesti,
nelle sue dimore, auspicando che le basiliche siano abbattute, che le chiese sian
date per case al «popolo», destinando a Dio le baracche.
Non est lex, et prophetae eius non invenerunt visionem a Domino... Non v'è
più legge, ed è il Custode della Legge, è il gerente di Dio
in terra, che si vede «contestato» e invano richiama; i «profeti»,
i «nuovi teologi» traggono dalla terra, dall'uomo, le loro visioni. Visioni
terrestri, umane, di godimento, di agiato vivere e, a questo preminente scopo, di
«pace».
Prophetae tui viderunt tibi falsa et stulta, nec aperiebant iniquitatem tuam,
ut te ad poenitentiam provocarent... E sono le penitenze proscritte, è
il Sesso esaltato, il Mondo restituito in onore, sono i «diritti dell'uomo»
anteposti e contrapposti a quelli di Dio.
Ma la visione -più sconsolata, le lacrime più copiose e più
calde del profeta di Dio sono per i bambini: i bambini ch'egli vede morir d'inedia...
Defecerunt prae lacrimis oculi mei... «I miei occhi si sono sfatti dal
piangere, le mie viscere sono cadute per terra, alla vista del piccolo, del lattante
che languivano per le piazze della città». Adhaesit lingua lactentis
ad palatum eius: parvuli petierunt panem et non erat qui frangeret eis: «Al
poppante la lingua restò per sete attaccata al palato; i piccini chiesero
il pane e non c'era chi glielo desse». Lo chiedevano, morenti, alle loro madri:
Matribus suis dixerunt: ubi est triticum et vinum...? «Dicevano alle
loro mamme: "Il pappo, il bombo, dov'è?" e reclinavan come trafitti
esalando le loro anime in seno alle loro mamme».
In sinu matrum suarum... Li vediamo anche noi (ricordandoci, chissà
perchè, di «Cecilia») e nostra è pur qui l'angoscia del
profeta, come se anche per noi egli avesse pianto... È il pensiero dell'alimento,
del latte e del pane che si preparano, che si dànno ai nostri bambini, per
la loro sete e la loro fame di figli di Dio, suoi prediletti e speranze della sua
Chiesa... e sono i «nuovi catechismi», ristretti della «nuova teologia»,
che dall'Olanda, infetti d'eresia o privi di sostanza vitale, si propagano via via
per la Chiesa, accolti o non respinti o subiti, per rassegnazione all'arbitrio, da
chi è preposto a sostener la sana dottrina e lascia cosi che i piccoli siano
«scandalizzati», che, intossicati o denutriti, debilitati di fronte al
male, gl'innocenti siano votati a una strage che farà ben più a ragione
pianger Rachele, la madre, la che fu pur detta da lui, per Ieremiam prophetam.
Il quale, se pianse, non disperò: Misericordiae Domini quia non sumus consumpti:
«Misericordia del Signore se non siamo annientati... Mia porzione il Signore,
disse l'anima mia, e non cesserò di aspettarlo... Buono per quelli che confidano
in lui... Buono è aspettar sospirando la salvezza di Dio...» E a invocarla,
a affrettarla, le lamentazioni terminano mestamente in preghiera... Tutto il coro
cantava l'ultima, a quattro voci, l'ultima sera: Recordare, Domine, quid acciderit
nobis... e ancora ce ne intenerisce il ricordo, pur non ,avendo essa allora i
motivi di pianto che ha oggi per noi: «Vedi dunque, Signore, quello ch'è
avvenuto di noi: riguarda e vedi l'obbrobrio in cui siam caduti. Ciò che fu
nostro non è più: le nostre cose sono passate ai forestieri, le nostre
case appartengono a degli estranei. Siamo, rimasti come pupilli, privi del padre...»
E non è che il padre ci manchi: è che il padre è come noi prigioniero,
legato e menato dove altri vuole ed è questa la maggior nostra sventura.
(Aprile 1968)