Se non fosse o paresse
troppo crudele far proclamare dal vinto la propria vittoria, il nostro Annibale (Bugnini)
potrebbe celebrare e tramandare così, ai posteri, il suo XXIV Marzo.
Deleto nomine latino. Qualche cosa di simile c'è di fatto nelle parole,
nell'ablativo solenne con cui il vincitore aveva già un mese prima annunziato
la sconfitta di Roma (la vendetta, per condegnamente dire, di Zama): «Chiuso
il capitolo della lingua» (quanto dire: «Messo via per sempre il latino»),
«occorre...» E per chi non avesse inteso, per chi non considerasse abbastanza
il valore di cotal data, è un suo astante, Antonelli, che parla, che commenta,
che giubila: «Con la recita del canone in lingua italiana è l'ultimo
baluardo della celebrazione della Messa in latino che viene a crollare. Si tratta
indubbiamente di una data storica. Da circa 1500 anni, infatti, la grande preghiera
è stata pronunziata in latino e da un millennio e più in silenzio».
Deleto nomine latino, e tale sembra, giustamente, e tanto l'autore vuol che
risalti l'impresa, ch'egli si compiace di rievocarne le asprezze:, «E cammino
non è stato facile ne pacifico. Polemiche, recriminazioni, critiche...»
E ancora: «È stato un cammino progressivo» («progressista»,
voleva dire: perdoniamogli il lapsus), «lento: quattro anni ci son voluti...»
Quattro anni che gli danno il diritto di presentare come giorno ed evento di «perfetta
letizia» la storica data, l'«ingresso solenne e festoso» del volgare
sulle rovine dell'ultimo baluardo crollato, del latino finalmente e definitivamente
distrutto.
Deleto nomine latino, e noi, partigiani del vinto, noi che al vincitore ostacolammo
- quant'era nelle nostre forze - il «cammino», noi vogliamo riconoscere
che la vittoria, il XXIV Marzo, meritava davvero cotanta gloria, considerata l'enormità
dell'impresa, «l'alpestre rocce», saremmo tentati di dire applicando
al difficile cammino del nostro ciò che Dante dell'Annibale cartaginese attraverso
le Cozie. «Da circa 1500 anni...» E non è, questo, dico l'avere
atterrato una tradizione, la Tradizione, forte di tanti secoli, di tanta ammirazione
e di tanto amore, una tradizione invidiata da chi non le apparteneva, rimpianta da
chi le aveva appartenuto, conservata, perciò, e difesa da tutti i Papi e i
Concili contro tutte le oppugnazioni dell'eresia e della setta; non è, questo,
che un titolo del giusto orgoglio bugniniano, una ragione di chiamar «storica»
la data.
«Da un millennio e più in silenzio...» E questo, dico l'abrogazione
di questo, è un altro di quei motivi di legittimo vanto: questo che dà
modo al volgare di farsi sentire, di dir ci sono, di passeggiar rumorosamente, magari
al suono di chitarre e di chitarristi da ballo, sulle macerie del latino anche là
dove il latino, la lingua sacra, taceva, pregava submissa voce, per riverenza
del Mistero Ineffabile.
Deleto nomine latino, e s'incaricherà la storia di dire - mostrando
fra le rovine di questo le rovine del domma, dell'unità, della cattolicità,
della pietà, della concordia fra quelli che avevano pregato, «in bellezza»,
«unanimes uno ore» - s'incaricheranno i fatti di dire per quanti titoli
l'impresa fu «storica», il 24 marzo fu XXIV Marzo. Noi glielo riconosciamo,
ripeto, noi gli sconfitti, gli umiliati, e poichè il parcere subiectis,
massima latina, romana, è buono e bello per tutti, anche per i cartaginesi,
noi imploriamo Annibale, il vittorioso, di risparmiarci l'umiliazione più
triste: quella che fra i cartaginesi rossi si conosce e si pratica come «lavaggio
del cervello» e per cui chi poteva ancora ragionare col proprio si educa a
sragionar con l'altrui, ossia a non ragionare affatto, credendo a ciò che
gli vien detto da chi, non pago di averlo vinto, lo vuole anche «convinto».
La «convinzione» che il nostro Annibale vuole o vorrebbe ficcar nei nostri
cervelli è che, distruggendo pur «l'ultimo baluardo» dell'odiato
latino, ossia bruciando «l'ultima tappa» per la sua totale espulsione
dal regno liturgico, si è agito in conformità del Concilio, si è
applicato la Costituzione liturgica, la quale ordina, chiara e precisa come... stavo
per dire come il parlare latino: «Nei riti latini si conservi il latino»,
e scusatemi se vi sembra fin troppo chiaro. Difatti.
Si distrugga, si conservi... L'impresa di accordar nelle nostre teste due così
discordi discorsi è parsa tale all'impresario che lui stesso, il padre Bugnini
(«un esecutore», come si riconosce senza false modestie, «della
volontà della Chiesa»), ha dovuto tenerne conto ponendosi la domanda:
«Insomma, la Chiesa ha attuato o ha tradito la Costituzione conciliare?»
Se l'aspettava, e prima infatti che noi, coi nostri cervelli ancora da lavaggiare,
rispondessimo in conformità dei medesimi, ci ha risposto lui, iniziando il
lavaggio: «Nessuno si preoccupi. La Costituzione liturgica è salva,
splendente, vivente più che mai, nello spirito e nella lettera». Così
salva, splendente e vivente più che mai così, in altre parole, non
indigens demonstratione che ha dovuto subito aggiungere: «Mi riserbo di
dimostrarlo e documentarlo in altra sede».
Un mese è occorso a tanto maestro per cercare e trovar la dimostrazione, ed
eccola. Eccola in sintesi, e riconosciamo che più semplice, più persuasiva
di così non poteva essere: la Costituzione liturgica non è stata tradita
per la lapalissiana ragione che non esiste: non esiste - cioè - in materia
di liturgia, un atto conciliare definitivo e vincolante, ma solo un vago progetto,
un disegno approssimativo, uno schizzo per uso dell'impresario, con facoltà
per lui di farne il conto che vuole, compreso quello di non farne alcun conto e trasformar
magari in un cinema, un «piper», quello che in carta e nell'intenzione
del committente doveva essere una chiesa. Così, ed ecco, perché non
si creda che anch'io faccia alla maniera, le sue precise parole: «La Costituzione
liturgica non è un testo dommatico; è un documento operativo: la programmazione
della riforma. Ognuno sa che un preventivo parte da dati positivi e concreti, ma,
per forza di cose, deve talora basarsi su congetture e previsioni, che, all'atto
pratico, non sempre si verificano». Esempio: «L'architetto che prepara
il piano di una costruzione, traccia le grandi linee, fa assaggi, indugia in calcoli,
prende misure, ma non è raro che nella fase esecutiva imprevisti o cause estranee
obblighino a correggere, qua o là, il piano stabilito, o a modificare dettagli».
Capoverso e conclusione: «Così è avvenuto con la Costruzione
Liturgica Conciliare»; ragion per cui l'articolo «Linguae latinae usus
in Ritibus latinis servetur» si può tradurre, all'atto pratico, come
si è fatto: «L'uso della lingua latina nei riti latini sia abolito»
e la Costituzione liturgica è salva, splendente, vivente eccetera «nello
spirito e nella lettera». Noi sciocchi!
Noi sciocchi, noi che la credevamo una cosa seria, stabile, precettiva, una cosa
- insomma - da starci e da appellarcisi contro i violatori, noi che in calce a questo
(creduto) codice, lunga opera legislativa di circa tremila vescovi adunati in Concilio,
avevamo letto e leggiamo, scritte in grossi caratteri, queste grosse parole: «In
Nomine Sanctissimae et Individuae Trinitatis Patris et Filii et Spiritus Sancti.
Decreta, quae in bac Sancta et Universali Synodo Vaticana Secunda legitime congregata
modo lecta sunt, placuerunt Patribus». Capoverso: «Et Nos, Apostolica
a Christo Nobis tradita protestate, illa, una cum Venerabilibus Patribus, in Spiritu
Sancto approbamus, decernimus ac statuimus, et quae ita synodaliter statuta sunt
ad Dei gloriam promulgari iubemus». Il che significa, fra l'altro, che in Nome
della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, il Papa ha posto
il suo sigillo a un a-sudicio, a una traccia, a un abbozzo, a un «documento
operativo», a una semplice «programmazione» che, affidati agli
esecutori, han servito loro per cacciar di chiesa il latino e accogliervi le «messe
yè yè», le «messe ballate» e simili sconci. Il «canone
in volgare» non è che un'applicazione, e il padre Bugnini - l'«esecutore
della volontà della Chiesa» - ci ha detto che non si fermerà
qui: «Chiuso il capitolo della lingua occorre rivolgere l'attenzione»
(la catapulta, in altre parole) «ai riti: la Messa anzitutto».
*
* *
Senza indugiare e senza
esitare. Quod facis, fac citius: e le vittorie si susseguono senza sosta,
le distruzioni si aggiungono alle distruzioni, con una foga che ha dell'ebbrezza,
con un linguaggio che in odio a tutto ciò che sta sopra, che sa di
regno, di trionfo, fa propri i termini degli anarchici: fra le novità del
nuovo prefazio, preludio al nuovo canone, c'è che in esso, come cinicamente
ci han detto, «saltano i Troni, i Principati e le Potestà». Senza
indugiare e senza esitare. La «data storica» è recente (mentre
rileggo questa pagina) di meno di un anno, ed eccone, fra le tante, un'altra non
meno degna di memoria: le Litanie Maggiori, le grandi Litanie del grande Gregorio
(le «Letane» di Dante), che la Chiesa aveva dichiarato intangibili coi
loro salmi penitenziali, le loro preci, il loro Vexilla e tutto ciò
che le accompagnava nelle stazioni romane ad Martyres, sono del pari saltate,
sono da qualche giorno un ricordo. Le «nuove», le «riformate»,
hanno fatto il loro ingresso a Santa Sabina il mercoledì delle Ceneri, alleggerite,
epurate della Santissima Trinità, sia nelle singole Persone che nella loro
Unità, insieme a «tutti gli ordini degli Spiriti beati», a «tutti
i santi Apostoli ed Evangelisti», a «tutti i santi Innocenti»,
a «tutti i santi Pontefici e Confessori», a «tutti i santi Dottori»,
a «tutti i santi Sacerdoti e Leviti», a «tutti i santi Monaci ed
Eremiti», a «tutte le sante Vergini e Vedove»; e con essi tutte
le suppliche e deprecazioni che potevano non piacere agli «altri», «erranti»
e «nemici della santa Chiesa» come si era osato chiamarli invocando di
quelli il ravvedimento e di questa il trionfo... Non queste sole e una ce n'è,
fra tutte l'altre eliminate, che agli epuratori - operatori e assenzienti - sarebbe
convenuto forse lasciare, per queste e per tutte l'altre epurazioni compiute e in
progetto, per tutte l'altre riforme, fatte e da fare, per tutti i capitoli chiusi
e da chiudere: In die Iudicii, libera nos, Domine.
Dovrà pur chiudersi, un giorno, anche il loro capitolo.
(Aprile 1968)
prossima |