Ce la farò? Me lo
chiedo leggendo su Testimonianze l'articolo che padre Balducci, già
nostro comune amico, dedica alla mia Tunica: articolo che vede in me, tanto
per cominciare, un traviato... Mi viene in mente, chissà come, una
canzone della mia infanzia, nella quale si udivano queste accorate parole: «Quant'era
meglio che non ti avessi amato! Sapevo il Credo e l'ho dimenticato... Sapevo le parole
del Messale, ed ora non so più l'Avemaria...» E concludeva, il meschino:
«Come farò a salvar l'anima mia?» È, visto alla rovescia,
il mio caso, in quanto io rischio, o rischierei, la dannazione non per aver dimenticato
ma per non aver voluto dimenticare, per essermi ostinato a ricordare, ad amare il
Credo e il Messale, l'Avemaria di mia madre: per essere, come scriveva, di me, Giulio
Schettini sullo Specchio, uno di quelli «che chiedono di poter ricevere
l'estrema unzione nella stessa lingua in cui furono battezzati e furono uniti in
matrimonio». Il mio traviamento è dovuto infatti alla liturgia,
al mio amore per le ghiande latine che mi ostino a trovar più buone dei tortellini
di Bologna. Ed è tale, tale mio amore, che invece di piegar la mia resistenza,
di farmi pianger pentito, pianger mi fanno, quei tristi versi, al pensiero che tra
non molto essi saranno veri per tutti: che, banditi da ogni preghiera, anche privata,
anche individuale, come vogliono e insegnano i nuovi preti (ne ho visto, poco fa,
in una nostra chiesa, uno che, venuto li per dir Messa e invitato dal parroco, mentre
stava per cominciare, a dirla in latino, rispose che non se ne ricordava più
e gli si dovè dare un messalino), l'Ave, Maria, il Pater,
il Gloria, il Credo e l'Angelus e le Litanie e il
De profundis) quali ce l'insegnò nostra Madre Chiesa e ripetemmo per
secoli, saranno tutt'al più un ricordo, un vago ricordo di vecchi, che con
essi morrà del tutto, salvo a teatro o in qualche disco di antiche musiche
e i giovani chiederanno: «Cos'è?» Asciùgati gli occhi,
Tito, e ascolta la predica.
«Nel dopoconcilio italiano, così povero di fatti emozionanti, la polemica
attorno al libello di Tito Casini, La Tunica stracciata, ha avuto effetti
salutari... Il Papa doveva intervenire e lo ha fatto. L'episodio ha suscitato in
me due considerazioni. La prima riguarda il Cattolicesimo di Tito Casini... Egli
mi ha fatto l'onore di citarmi nel suo libello come segugio del "nuovo Lutero"
di Bologna» (e tale sia, se vi pare: io non l'ho detto così espresso),
«memore di una polemica che avemmo sulle colonne di un giornale fiorentino,
per l'appunto sull'argomento che ha finito per traviarlo fino a meritare i rimproveri
del Papa...» Due volte, in tre righe, «il Papa», e io, seppure
non convertito, ne sono stupito: stupito della conversione di lui, il Balducci, da
bersagliere di La Marmora a zuavo pontificio con funzioni di polizia. Il Balducci,
dico, che su Testimonianze, la rivista di cui gli han tolto la direzione perchè
sapeva troppo, in campo religioso, di bersaglierismo, di Porta Pia, mi accusa di
scarso papalismo, di non conformismo anche in dubiis, nonostante l'espressa
proibizione del Papa (ammessa, submissa voce) anche dal cardinale Lercaro,
che si facesse della nuova liturgia «un domma», della non nuova «un
anatema»! Conversione, si direbbe, istantanea, avvenuta nel tempo che può
occorrere per arrivare a questa pagina 331 della rivista che mi denunzia come irregolare
e scordato, da quella pagina 320 del medesimo numero dove un articolo del medesimo
padre Balducci su Antonio Rosmini comincia con queste parole del Roveretano: «Se
qualche voce, interrompendo il silenzio di morte, s'innalza a parlare de' mezzi di
salute che restano alla Chiesa, mirate onde viene: essa esce da qualche semplice
fedele. Tutto al più sarà qualche povero sacerdote che ha tanto
di coraggio», e il medesimo Balducci attacca la «teologia scolastica»
come quella che procedeva «dall'esterno, arguendo ex auctoritate».
Lo dicevo, io, che per disfarsi di noi, per farci tacere, quelli risusciterebbero
Torquemada!
Lasciamo dunque che il bue dia all'asino di cornuto (e gli dica pure che tira calci,
come io faccio, asinus portans mysteria) non tanto per difendersi quanto per
difenderli) e veniamo al mio cattolicesimo. Al contrario e nonostante i mentovati
meritati «rimproveri» - del plurimentovato Giancarlo Zizola, che vede
in me «un Poliziano cattolico» degenerato in «un Cola di Rienzo
postconciliare», Balducci vede in me un Cola di Rienzo, politico (ante-conciliare),
degenerato in un anti-Cola, senza riferimenti alla bibita perchè mi riconosce
gusti toscani e senza che io cessi d'esser io, come potete qui leggere: «È
un uomo coerente... Nel gruppo del "Frontespizio" rappresentava, quasi
solo, l'antifascismo! La sua prosa era ed è una raffinata combinazione tra
il volgare di Dino Compagni e quello di un contadino mugellese. Lo stile è
l'uomo. Il suo cristianesimo non è ecumenico, è strapaesano, tenuto
a balia in campagna e allattato coi riti antichi: le rogazioni, i vespri "bociati",
la candelora, l'ufficio delle tenebre... Un cristianesimo da coltivatori diretti,
pretecnico, da mezzacollina...» In attesa che l'onorevole Bonomi mi spieghi
con esattezza che cosa significa in religione esser «coltivatori diretti»,
chiedo a padre Balducci (risparmiandogli , come fin troppo "volgare", la
domanda del cardinale Ippolito d'Este messer Lodovico Ariosto circa quelle sue fantasie
poetiche) che cosa significhi la parola «ecumenico», perché io,
credendola l'equivalente italiano del greco «oikoumenikos», che s'interpreta
«universale», ho combattuto e combatto la mia battaglia proprio in nome
dell'ecumenismo liturgico, «una voce», «uno ore», così
come (proseguiamo con san Paolo) «unum corpus et unus spiritus, unus Dominus,
una fides, unum baptisma, unus Deus et pater omnium»; quell'ecumenismo di cui
era particolarmente geloso papa Giovanni, (anche lui un coltivatore diretto), e tutto
il libro è in questo senso, a partire dal titolo, contro il frazionismo, l'anti-«cattolicismo»
degli stracciaioli, che, partito dalla lingua, già s'è allargato e
s'allarga via via più a tutto il resto. Quanto dir che a nostro parere i non
ecumenici, gli antiecumenici sareste voi, col vostro localismo, il vostro particolarismo
del culto, che un dei vostri, celebre giornalista tedesco, ha dichiarato apertamente
teso allo scisma: «la diversità dei riti deve condurre alla diversità
delle credenze», e vostro è il nuovo vocabolo «Dogmenumdeutung»,
«mutata interpretazione del domma», che porta difatti a sdommatizzare,
quelli che han cominciato con lo slatinizzare. Come da noi s'era previsto, col solo
errore di non aver creduto a effetti così vicini... E torno al mio cattolicesimo,
dicendo a Balducci che in tutto il resto io sono d'accordo.
Sì, io sono grato alla mia «balia» - la Chiesa di avermi «allattato
coi riti antichi», io che non finisco di amare questo bel sole che manda in
questo momento i suoi primi raggi nella mia stanza, levandosi da quel punto là,
dietro Vallombrosa, come fa da secoli innumerabili ogni mattina, sempre quello, antico
e sempre nuovo, senza che nessuno (neanche un «progressista», m'immagino)
si sia mai sognato di chiedergli o sia pur desiderare che si levi, tanto per cambiare,
per esser moderno se non modernista, da un'altra parte... Sì, io amo e rimpiango
le Rogazioni, la Candelora, l'Ufficio delle Tenebre. E i Vespri... I nostri bei Vespri
domenicali, già sulla via di diventare, anch'essi, un ricordo, nello spirito
della Riforma, che non osando abbatter d'un colpo l'antica pianta ne ha ridotto a
tre i cinque rami, i gloriosi salmi davidici, con una giustificazione di cui siam
grati, amaramente grati, al padre Bugnini, il segretario del gran Consilium, che
nel suo nome di Annibale portava fin dalla nascita l'«omen» di sromanizzatore
del culto. Così infatti egli presenta la cosa, in una sua istruzione aggiunta
all' Istruzione amputatrice: «I salmi» (delle Laudi, come del
Vespro) «sono ridotti da cinque a tre: detti in lingua volgare, cinque salmi
sono un po' lunghi». Che il cielo sia propizio, per questo, ad Annibale!
che gli conceda, trattenendo nevi e sciogliendo ghiacci, di superare nella sua carriera
ostacoli più alti dell'Alpi. Per questo: per aver detto, sia pure irriflessivamente,
distrattamente, che... cinque salmi in volgare son troppi, il popolo non ce
la fa a digerirli, mentre non erano così in latino, la lingua-«diaframma»,
no? la lingua-che-il-popolo-non-capisce... Tant'è vero che, in latino, i Vespri
erano, potevano esser non pur cantati ma «bociati», dal piacere, dall'entusiasmo,
mentre, in volgare, provatevi voi a cantare (non dico a «bociare») versi
o versetti come questi, che a Bologna si cantano e non son che i primi d'una raccolta
da cui colgo senz'altro metterci che gli accenti, richiesti per la pronunzia dal
metro e dalla rima:
Tu vivi in noi) o Santa Trinità)
divina ospitè dell'animà
Chiesa di Santi eletta siam per Te,
che dall'esilio muove verso il ciel.
Pastore e guida dell'umanità,
raccogli nel tuo seno i popolì.
Sia gloria a Te per tutti i secolì}
sia onore a Te da tutti gli uominì...
E abbiam riso di te, fuciniana Olimpia - Saffo, al confronto -, che i tuoi versi
leggevi a tavola e non in chiesa! E pensiamo all'edificazion dei fedeli, riandando
con la Storia civile della Toscana (anno 1786) di Antonio Nobi, agli esperimenti
del Ricci: «Fu celebrata anche la Messa in varie chiese di Pistoia, nell'idioma
italiano, con scandalo del popolo, sempre portato a venerare tutto quanto ha l'impronta
dell'arcano e del mistero; quindi, sentendo pronunziare dell'espressioni che in addietro
ascoltava con raccoglimento, ora si esilarava fino al dileggio. Invece dell'Ite,
Missa est e del Deo gratias sentendo dire: Andate, la Messa è
finita e replicare Sia ringraziato Dio, s'abbandonavano gli astanti
alle più sconce risate». Più che le celebri «bastonate»,
il riso seppellì, infatti, come sappiamo, nonostante gli sbirri del granduca
protettore della Riforma e prima ancora che Pio VI scomunicasse il riformatore, i
suoi testi assai meno risibili, letterariamente, di quelli che oggi, con la cultura
d'oggi, le scuole d'oggi e il latino per tutti, s'impongono al popolo nostro già
definito «poeta», con un colonialismo peggiore di quello degli spagnoli
che davano specchietti agli indios in cambio dell'oro.
E ringraziato sia Dio che c'è chi lo raccatta, il nostro «oro»!
Dichiarando ormai chiusa, con la Riforma, la propria attività di compositore
sacro, l'insigne musicista Jean Langlais scriveva: «La mia ultima opera religiosa
importante è un insieme di tre salmi solenni, in latino) che mi è
stata commissionata da una università protestante americana, e già
in seconda edizione». Hereditas nostra versa est ad alienos (come si
cantava, caro Balducci, in quegli Uffici delle Tenebre), e accadrà, voglia
Dio, che i nostri «fratelli separati» esigeranno che noi per i primi,
anche in questo, torniamo a noi, ai nostri riti, al latino, al gregoriano, al Palestrina...
Per ritrovare, nella Messa, il senso del «sacrum», del «mysterium»,
molti cattolici, a Roma e dove se ne ha il modo, hanno preso a frequentare le chiese
di rito orientale, e sappiamo che da Firenze è partita per il patriarca Atenagora
- come al capo di quella Chiesa ortodossa la cui Liturgia «sottolinea in modo
mirabile il motivo della sacralità e del mistero», al «Custode
di una Tradizione mistica e sacrale che è di esempio a tutti i cristiani»
- un'invocazione di aiuto, una lettera in cui gli si chiede che «con la sua
influenza salvi quanto di sacro rimane nella Chiesa Latina», i cui Pastori,
vi si dice, «animati dal desiderio di piacere al popolo a tutti i costi, c'impongono
con durezza delle riforme che vanno ben al di là del giusto e del ragionevole...»
E questa, di piacere al popolo - la «massa», come si dice, a cui si nega
di viver d'altro che di pane, senza companatico di poesia, senza senso
o desiderio del bello -, è ben la grossa illusione!
Cristianesimo «pretecnico», definisce Balducci il mio, facendo capir
che il suo, il loro, quello buono, è quello «tecnico», scientifico,
quello delle macchine, dei microfoni sull'altare, al posto del Tabernacolo, e correlativi
altoparlanti, degli amboni elettronici, su rotelle, delle luci al neon, dei riflettori,
dei dischi, degli strumenti «beat», magari dei distributori automatici
di particole da «transfinalizzare». Ebbene: quel coltivatore diretto
che fu e dàgli! - papa Giovanni, in quella sua Veterum sapientia -
oh, insomma! - che segretario e biografo non han trovato fra le sue carte nè
mai sentito nominare, esaltava il latino, liturgico ed estralitùrgico, fin
anche come un rifugio, un mezzo di difesa e sollievo dei «miseri mortali»
contro l'inumanità della «tecnica»: «ne miseri mortales
similiter ac eae, quas fabricantur, machinae, algidi, duri et amoris expertes exsistant...»
Già l'ho detto, io, che papa Giovanni amava la poesia; e non difformemente
rivelava già di sentire Chi ne doveva raccoglier le somme chiavi, quando,
arcivescovo di Milano, nella sua pastorale del 1958 ammoniva di non immeschinir «testi
e cerimonie» (al fine di renderli «perspicui») «togliendo
loro suggestività e mistero». Ahi, Balducci! Ahi, Balducci, che del
mio cristianesimo ride, scrivendo: «Il latino vi rappresenta un segno del Mistero
e insieme di una certa aristocrazia». Ahi, Balducci, ahi, Morganti, ahi, Fabbretti,
che dopo aver battuto le mani all'Instructio altera) con cui il Praeses
sprona i vescovi a smisteriare del tutto il culto slatinizzando e bociando)
dicendo a voce alta, anche il Canone, lo vedon ora, con la sua circolare d'agosto,
gridare, raccomandarsi ai vescovi stessi che frenino, che tirino le briglie ai cavalli,
parlando di «situazione allarmante», «ben più allarmante
di due anni fa», per opera dei «molti sacerdoti» che farebbero
di loro testa appellandosi alle «direttive di semplicità,
d'intelligibilità date dal Concilio», col rischio che la
carrozza vada a sfasciarsi con tutta l'opera del Consilium.
Il che potrebbe ricordarci ciò che il Mirabeau rispondeva all'abate Sieyès,
«progressista», «cattolico di sinistra» del tempo, fautore
della rivoluzione francese e disperato poi dei suoi eccessi: «Avete sciolto
il toro e vi lamentate che vi prenda a cornate».
Vero è che questo, proprio questo - lo sfascio totale di ciò che fu
- vuole il Balducci, e lo confessò apertamente nella polemica ch'ebbe con
me, come ricorda in questo suo articolo, scrivendo: «Non dovremmo limitarci
a tradurre la liturgia dal latino in volgare; dovremmo... inventarne una diversa,
più adatta all'uomo d'oggi»: una liturgia cioè alla moda:
con testi (sarei tentato di aggiungere), con una liturgia della parola che non ignorasse
quelli di Marx, di Lenin e, si capisce, quelli di Mao, di cui abbiamo avuto, a Genova,
sulla Liming, i ben noti saggi. Riferendosi a lui e sodali. il giornale
di via delle botteghe non chiare scrive a proposito del mio libro, per la penna di
Alberto Chiesa: «Quella religiosità obbiettivamente reazionaria»
(vale a dire il mio cristianesimo) «perchè intrisa di superstizione
e di irrazionalismo, che la moderna cultura cattolica, sollecitata
anche dalle obbiezioni del giovane Marx, cerca di " purificare", ha ancora
nelle alte sfere della Chiesa robusti sostenitori». E, nello spirito di quella
«moderna cultura cattolica» sollecitata dal giovin Marx, sollecita una
più ardita purificazione, un maggior apporto riformatore di quei sacri
testi marx-lenin-maoisti, aggiungendo: «Del resto la riforma condotta avanti
da Lercaro, se rinnova profondamente" accentuando il carattere comunitario del
culto cattolico, non esprime le più" rivoluzionarie" iniziative
fiorite sul terreno della liturgia». Ed ecco appunto il modello che l'Unità
propone, all'uopo, a Lercaro e ai cultori di quella tale «cultura cattolica»:
«Cronache dell'Olanda ci informano che in quel paese per impulso di giovani
preti e laici la cena eucaristica ha assunto forme nuove che esprimono una religiosità
profondamente diversa, e in certo senso opposta a quella esaltata da Tito Casini.
Attorno a un tavolo la comunità consuma un pasto frugale e, oltre a letture
bibliche, ascolta testimonianze sui grandi fatti umani del nostro tempo: guerra del
Vietnam, lotte operaie, lotta contro il razzismo. Su queste questioni si orienta
la riflessione, e la preghiera, la comunione, che conclude la cena, assume così
un carattere più vicino a quello che aveva nelle comunità cristiane
primitive, delle quali Federico Engels riconobbe il significato storico rivoluzionario...»
Non sappiamo se a quelle cene si festeggiano anche le nozze fra sposi del medesimo
sesso che là si celebrano e di cui nessuno potrebbe certo disconoscere il
carattere rivoluzionario. Buon appetito, in ogni modo (non possiamo aggiungere: e
figli maschi) e concludiamo anche noi la nostra risposta (assai più lunga
che non volessimo!) alle Testimonianze del nostro, per dedicarci a un altro
«avversario» che pur si chiama ed è «nostro vecchio amico».