Caro Lucatello,
tu quoque... ! Vedo
infatti, fra i tanti provocati dalla mia Tunica) il tuo articolo su Orizzonti)
l'organo dei paolini di Roma, e benchè il tono non sia da amico, come
ad amico ti rispondo, amichevolmente ridendo della poca «carità»
con cui mi rimproveri di aver mancato alla «carità», che «è
pure», come tu dici, «una gran virtù» e siam d'accordo,
si tratti pure di quella forma di carità che è il rispetto, purchè
non si confonda, in ogni caso, col fare di quei convitati di don Rodrigo i quali
«non facevan altro che... chinare il capo, sorridere e approvare ogni cosa».
Quanto alle tue critiche, come a questa a tutte le altre, per ribatterle io dovrei
ripetermi, ripetere cioè il mio libro, dove son tutte accolte e servite con
argomenti e documenti che devono pur valere qualcosa se nessuno dei suoi oppugnatori
s'è provato ad attaccarli, preferendo tutti girare allargo. Come fai tu, per
l'appunto, tu che tanto improvvidamente butti la cosa in politica rimproverandomi
l'«appoggio» che mi darebbero «certi ambienti», con la logica
manichea che ci guida appunto in politica e per cui una legge è buona o cattiva
non in sé ma a seconda dell'ubicazione parlamentare di chi la vota e il cattolico
Moro dovrebbe considerarsi bocciato e di mettersi se a far bocciare una proposta
di divorzio fossero col loro voto i monarchici, putacaso, o i missini. Con questa
logica, Lucatello mio, si dimostrerebbe che il Papa è, figùrati un
po', non oso neanche scrivere la parola, per il fatto che l'Unità e
tutta la stampa di sinistra ha esaltato come ben sai la Populorum progressio,
e quanto il Papa sia di loro basti rileggere il suo discorso alle Catacombe di
Domitilla, con quel suo monito che riecheggia uno dei più accorati memento
del suo Antecessore: «Ricordarsi dei cattolici che vivono nelle moderne catacombe
e non dimenticare che senza vigilanza e concordi simile sorte potrebbe diventare
comune...» Con tale logica si dimostra che tu stesso e i tuoi consorti nel
darmi addosso siete, vedi un po', marxisti e massoni, perché con voi e alla
maniera di voi mi han dato addosso quei medesimi, tirando fuori e come imputandomi
la mia amicizia «col vecchio Giuliotti» e il suo gemello, come tu dici
e lasci intendere; la mia «discendenza» da «alcuni scrittori tra
i più reazionari, da Domenico Giuliotti a Giovanni Papini», come s'esprime
L'Espresso, e ringrazio di cuore Ernesto Balducci che pur chiamandomi
«il più ostinato di quei letterati toscani - Domenico Giuliotti è
stato il più illustre di loro - che rimpiangevano il pugno forte del Sacrum
Romanum Imperium», ha anche per me l'inciso: «pur essendo evangelicamente
poveri e modesti». Volesse Iddio che così fosse, dico «evangelicamente»,
e grazie comunque!
Dopo avermi messo in serraglio, oltre che con Giuliotti e Papini, con Barbey d'Aurevilly,
Léon Bloy e altri famosi scrittori cattolici francesi, tu scrivi, mite come
un agnello: «La Tunica stracciata è del genere degli scritti
di quei cattolici "belva", e azzanna e sbrana senza misericordia. Chiamare
il cardinale Lercaro... paragonare il 7 marzo 1965... scrivere che il cardinale ha
fatto ... Tutto questo e altro è davvero troppo, anche per un cattolico belva»;
e ammonisci: «Non s'illuda Tito Casini per il fatto che il suo libretto sia
andato a ruba: quando si stampano malignità, quando si attaccano principi
della Chiesa, quando in sostanza si dice male di un'autorità» eccetera
eccetera; dimenticando quel vecchio detto francese; Il n'y a que la vérité
qui blesse, «è la verità che ferisce», e chi è
ferito grida, e gridando... attira la gente.
Di argomenti, salvo questo ex auctoritate, anche nel tuo articolo, Lucatello
mio, nè puzzo nè bruciaticcio. «La riforma liturgica era nell'aria»,
tu scrivi. «Si doveva farla»; e questo tuo, questo vostro modo di dimostrare,
scambiando le nuvole per il cielo e il parer vostro per il Visum est Nobis delle
definizioni dommatiche, non è che uno in più dei tanti, in materia,
portati da Carlo Belli in una sua conferenza all'Approdo Romano: «Noi sappiamo
che, laddove appare, lo spirito ereticale viene sempre accuratamente coperto dal
Grande Anonimo. Il quale palesa la sua ambiguità con le espressioni d'obbligo:
"Si pensa che..." "...Si è ritenuto opportuno" "...Parrebbe
giunto il momento di..." Ma chi è che ritiene opportuno? A chi "parrebbe
il momento di..."? Non lo sapremo mai! Il Grande Anonimo è potenza inperscrutabile:
avanza con la menzogna e con la insinuazione relativistica; conta su un vago senso
di inesorabilità attribuito alla propria funzione, e procede come ente che
non tollera ostacoli sul suo cammino...»
Bontà tua, caro Lucatello, se il mio libro non è proprio del tutto...
campato in aria, ma ha pur qualche cosa di solido, di meno irragionevole (come
sarebbero i documenti papali e conciliari su cui si basa?) «È chiaro,
ad esempio», scrivi infatti, «che su di un punto Tito Casini un po' di
ragione ce l'ha: nella traduzione italiana del messale... Certe sequenze (per limitarci
a queste), che pure erano ricche di alta poesia, sono diventate letture prive di
ogni forma poetica, sia pure quella moderna... Chi ha il gusto della buona lingua
italiana (e quella di Tito Casini sa veramente "di Mugello e di Trecento",
come diceva Papini) prova davanti a certe storture lo stesso gusto che se mangiasse
un limone a morsi. Ma...» Ma, dico io, ringraziandoti dell'elogio e soprattutto
della similitudine, azzeccatissima; ma e dove se ne va il tuo rispetto per i principi
della Chiesa, il tuo sacro sdegno per chi, come me, «azzanna e sbrana senza
misericordia»? Ammetto, e come no? che l'agro sapore di cui tu parli possa
far torcer la bocca (almeno a te, allevato in Toscana); ma, torno a chiederti, a
chi dici questo? e non è, questo, un «dir male di una autorità»,
di quella, appunto, che ha detto, con la sua firma in testa a quei testi: «Sta
bene. Imprimatur: si stampi», e dimentichi che, con quella firma del
Praeses, tali «letture», tali versioni factae sunt partes ipsorum
rituum, factae sunt vox Ecclesiae?
È vero, sì, che il padre Bugnini ha concesso che non tutto in quei
sacri volgari attinge la perfezione; ma altro è parlare, come lui fa, di «non
sempre felice traduzione dei testi» (sottintendendo che... quandoque bonus
dormitat Homerus), altro è parlar di limoni mangiati a morsi. «Ma
attenzione», tu aggiungi subito: «e la gente comune?» Come dire
che alla gente comune, al «popolo», si possono, si devon dar per frutta
limoni e per chianti aceto. Ed è qui che si rivela, che si tradisce, l'arretratezza,
la bassa lega del vostro «comunitarismo», del vostro populismo liturgico.
L'imperatore Giuliano aveva, in odio ai cristiani, vietato loro lo studio delle arti
liberali, perchè restassero, come gli schiavi, incolti, perdendo così
ogni «prestigio civile», e su questa linea, nei riguardi della gente
comune, nei riguardi del «popolo», siete voialtri: non insegnare, non
istruire, non educare, come ordinava il Concilio di Trento, come raccomandava il
Rosmini; ma tenere nell'ignoranza, livellando tutti nel basso, obbligando tutti a
sgrammaticare e cafoneggiare a un modo, come in alto si vuole; e merita notar l'assenza
di scrupoli con cui si è proceduto, anche in questo, passando sopra - senza
cercar neppure «nell'aria» una parvenza di ragione - a un altro articolo
della Costituzione liturgica voluto dal Vaticano Secondo a salvaguardia della «lingua
propria della Chiesa». È il 54, che impone (concessa, tribui possit,
una «congrua» parte al volgare): «Provideatur tamen ...
Si provveda però a che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme anche
in lingua latina le parti dell'Ordinario della Messa loro spettanti». E c'è
da piangere, veramente, a pensare che neanche il segno di croce con cui la Messa
comincia s'è lasciato in latino!
Da piangere, c'è veramente, a pensare che non una parola, diciamo «una
parola», di quel «linguaggio che supera il confine di ogni nazione»
(Paolo VI, Sacrificium Laudis) unirà più, nella preghiera, i
figli della medesima Madre il cui primo titolo è «una», il cui
mandato è di «unire» tutti i redenti del suo Sposo.
Per la Chiesa non esiste «gente comune», nel senso discriminatorio e
avvilente che voi date alla parola: esiste invece un genus electum, una «stirpe
eletta» di cui fanno parte il Papa come l'uomo che in questo momento spazza
la strada sotto la mia finestra, e a cui si conviene anche un'eletta educazione (e-lecta,
e-ducta, dal basso all'alto, non viceversa), di cui la lingua è elemento,
quale appunto, il latino: il «latin del messale», per dirlo col Carducci,
che la Chiesa stessa ha dato ai suoi figli, tanto più semphce, facile, e non
meno bello di «quel del Bembo». Con quel latino, amato, venerato per
la sua stessa sacra misteriosità ma soprattutto perchè sua «lingua
materna di figlia della Chiesa», la tua mamma, Lucatello mio; ha pregato, ha
detto i suoi rosari (chissà quanti!) ed e pietoso che della sua pia morte
(«all'età di novant'anni») tu dia il merito alla Riforma, ossia
all'estrema unzione ricevuta «in italiano», dimenticando pur di averla
chiamata «cristiana del tempo antico», per dire in poco una grande,
un'autentica cristiana, e chissà se per significare la stessa cosa varrà
lo stesso, da qm mnanzi, dir cristiana o cristiano «del tempo nuovo»!
A questo «tempo nuovo», predicato dai «nuovi preti», la tua
rivista (questi Orizzonti che si vendono pur nelle chiese, e vorrei dir nelle
«nuove chIese») contribuisce egregiamente, sia nei riguardi del domma
che della morale, e vedasi, per il domma, la nsposta che il suo teologo, Don Luigi,
dà a chi lo interroga circa l'inferno (dopo aver riso delle «pretese
rivelazioni» di Fatima), assicurando chi vuole andarci che il biglietto sarà
comunque di andata-ritorno perchè alla fine i dannati «saranno ammessi
anch'essi nel fortunato regno di Dio» e tutto il resto son «farfalle
sotto l'arco di Tito» (comprese, s'intende, le parole «in ignem aeternum»
«in ignem inxtinguibilem»). Teologia «nuova» che si compiace,
per esempio, delle «relazioni amichevoli e cordiali» in atto fra un noto
principe, la sua «ex moglie» e la sua amante, anch'essa una «ex-moglie»,
proponendoli all'imitazione, con un'apertura anche su più vasti orizzonti,
con questa esclamazione finale: «Questo vuol dire "dialogo", intendersi
cioè al disopra delle rispettive posizioni pohuche o familiari!» (Attilio
Monge, 22 gennaio 1967). Quanto alla morale, di questi Orizzonti che si vendono
nelle chiese il timore che quel tale biglietto non comporti sicuramente il ritorno
mi trattiene dal citare i passi più esemplari in materia. Mi limito a stralciarne
il parere di una rivista americana, riferito con evidente consenso «che la
radice della morale non sia da ricercare tanto nella Bibbia o nella legge naturale
quanto piuttosto nel "consenso" generale su ciò che per l'uomo costituisce
il benessere e la prosperità, sia individuale che sociale», e la riabilitazione
di Onan, il cui metodo contribuisce al benessere sia individuale che sociale, in
quanto «è psicologicamente meglio liberare la tensione dei giovani con
la...» (lascio al testo la schifosa parola) «quando fosse in pericolo
l'equilibrio psichico»; per cui, come dice a grossi caratteri un altro articolo
orizzontino: «Bando ai tabù!» in fatto di purezza, come sarebbero,
si spiega (in questi Orizzonti, per le famiglie, che si vendono nelle
chiese), il «ginocchio scoperto», le «minigonne», i «bikini»,
i «topless».
Il periodico è pilotato da un prete, che di tutto si potrà magari accusare
fuor che di non dar l'esempio alla ciurma, come ci si poteva convincere leggendo,
nel marz scorso, questo avviso che riporto dal Giornale letterario e dal Fauno
qui di Firenze: «Nella mattina di Pasqua - 26 marzo - sul Ponte del Transatlantico
"Caribia" ancorato nel porto di Tangeri, sarà celebrata una grande
Messa beat, con rappresentanze dei grandi cantori sanremesi, con sfilata
di Moda beat, elezione di Miss beat, un gran ballo dell'Amicizia
beat, con tavole rotonde beat, dedicate ai problemi del sesso,
il tutto sotto la guida e la moderazione del sacerdote Don Bonetto, direttore del
giornale cattolico Orizzonti». A un suo articolo di commento all'annunzio,
Mansueto Cantoni fa precedere questo pensiero di Alfredo Oriani: «Una decadenza
deve arrivare alla putrefazione per produrre un altro rinascimento». E che
la putrefazione, i vermi sian prossimi lo fanno sperar tante altre notizie - accolte
con giubilo da Orizzonti - come questa che i giornali ci davano dall'Inghilterra:
«A Liverpool è stata celebrata ieri sera la prima messa danzante al
suono di musica elettronica, diretta da Bill Harpe, un non cattolico e ben lontano
dalla religione cristiana. L'avvenimento si è verificato nella nuova cattedrale
cattolica della città. I trentasei ballerini, 9 uomini e 27 donne, sono stati
appoggiati da un'orchestra di cinquanta strumenti e da un coro di ottanta membri.
Per tutta la durata della danza, l'altare centrale è stato il punto focale
per questo dramma visivo della Messa...
Una "premiere" mondiale che non ha paragoni nella storia recente»,
e dopo la quale - aggiungiamo - per salvare
le nostre chiese dall'ultimo oltraggio noi italiani siam fortunati che abbiamo la
legge Merlin.
Povera mamma Lucatello, se avesse potuto immaginar che il suo Enrico avrebbe servito
con la sua penna a queste sconce eresie! E grazie a te, mio «vecchio amico»,
di avermi così attaccato. Troppo mi sarebbe doluto che, con questi orizzonti,
Orizzonti avesse avuto per me una lode!