E con l'aceto avrei finito:
finito, intendo, con l'articolo di padre Morganti, se un particolare, un'affermazione
di questo non mi tentasse a tornarci sopra, attesa ormai la sua fama, le dimensioni
che ha preso nella storia delle bombe.
Si tratta infatti di una bomba: una bomba, si capisce, di carta, lanciata da fra
Martino con l'aiuto d'altri compagni, non per uccidermi, diamine, ma solo per ridicolizzarmi:una
bombetta da ragazzini, dico per l'importanza, come tutti ne abbiamo fatte gonfiando
col fiato una busta e paff! alle spalle di chi non se l'aspettava e fa un salto che
provoca naturalmente le risa. Una bomba, tuttavia, fortunata, sia perchè ha
ottenuto, almeno temporaneamente, almeno per gli sciocchi e per chi non mi conosce,
lo scopo, sia perchè quel poco d'aria messaci dentro dai fabbricatori è
esplosa e n'è via via rintronata l'eco con un tal crescente fragore da far
credere a una bombarda, che dico? a una bomba all'idrogeno, una bomba atomica, e
non per nulla quello dell'Epoca mandato a Firenze a far il servizio sulla
Tunica è andato a cercar nel vocabolario del cardinal Bacci l'equivalente
latino: pyrobolus atomicus!
Vi ho accennato nella risposta all'autore e non ci tornerei sopra, non sarebbe serio
tornarci, se, con la bomba, si fosse voluto colpire, ridicolizzar solo me, e non,
nella mia persona, la causa per cui combatto con logico argomento di coloro che,
socii passionum e pugnae e per ciò stesso anche persone di gusto, han
potuto chiedersi, dietro tant'eco, se davvero quel loro commilitante cattolico apostolico
romano e magari «baciapile», come si vanta, ma anche fiorentino, come
tiene ad aggiungere, abbia avuto il cattivo gusto di fare, quella notte di Natale,
a Firenze, sotto quella cupola del Brunelleschi, il gesto da Morgante che il padre
Morganti gli attribuisce sull'Osservatore della sua diocesi come in quello
domenicale di Roma: «Avvenne la notte del Natale 1966 nel Duomo di Firenze.
Il Papa e migliaia di fedeli pregavano in italiano. Ma Tito Casini no. Tito Casini
non rinunciò nemmeno quella notte, nemmeno in quella circostanza, alla sua
guerriglia: lui pregava in latino. Magari convinto di essere il solo (escluso anche
il Papa) ad essere nell'ortodossia e nella unità. Ma nè la sua voce
nè la sua convinzione cambiarono la realtà dei fatti: fu soltanto un
grandioso coro italiano e cattolicissimo, tanto potente da risucchiare ed annullare
ogni disarmonia... latina». Così, con tutti quei punti fermi tra frase
e frase come chiodi (alla Tacito, starei per dire, se Tacito non fosse scrittor latino),
e fra Martino mi permetta di tornare un momento a lui per dirgli, a lui che deve
saper di greco oltre che di volgare, per dirgli che, fandonia a parte, in questo
caso egli ha suonato male le sue campane, dirgli che «italiano e cattolicissimo»
(tirando via sul superlativo, equivalente a «universalissimo», come dire,
col dottor Dulcamara: «in tutto l'universo e in altri siti») è
una «disarmonia», una stonatura, una contraddizione in termini, perchè
«italiano» è qui l'opposto di «cattolico», e se fosse
stato, come me, in Duomo il nostro liturgo avrebbe visto che al «grandioso
coro» non partecipavano, nè avrebbero potuto partecipare, i molti forestieri
presenti, appunto perchè non «cattolico», non di tutti, non per
tutti i fedeli, come sarebbe stato se fosse stato nella «lingua di tutti»
(Paolo VI, discorso di Pasqua 1965): l'abominevole, l'abominando, l'abominato latino.
E parve che gli uscissi una bombarda, tanto fu grande dello scoppio il tuono...
Così tornando con Morgante (o con Margutta) al Morganti, io devo appunto
a quelle sue parole, a quell'accidit della «notte del Natale 1966»
(di cui nessuno, accanto a me, e sono venuti a dirmelo, s'era accorto) se sono diventato,
a mia infamia, appo i volgaristi, «l'uomo della Notte di Natale». Chi
è Tito Casini? si chiede in Vita il già nominato Giancarlo Zizola,
e risponde: «È l'uomo che, la notte di Natale, a Firenze, ebbe il
coraggio di esibirsi in solitarie risposte in latino alla messa "dialogata"
che il Papa celebrava in italiano»! Siamo all'esibizione, al
coraggio dell'esibizione, e non è ancora nulla. Chi è
Tito Casini? si domanda in un anonimo articolo pien di veleno la Rivista pastorale
di Liturgia. Ed ecco: è l'«accanito inquisitore contro la riforma
liturgica» che «la notte di Natale nel duomo di Firenze, alla messa celebrata
in italiano dal papa, si sgolò con le sue risposte dette in latino,
ma fu sepolto dal coro delle migliaia di voci italiane». Siamo alla raucedine,
o laringite che sia, per abuso delle corde vocali, e non crediate che sia finita.
Passiamo in Francia ed ecco il Figaro che riceve: «Tito Casini avait
répondu en latin d'une voix puissante aux prières récitées
en italien»; ecco La Croix (come riferito dal Resto del Carlino):
«Durante la Messa che il Papa celebrò in italiano nella cattedrale
di Firenze la notte di Natale, Tito Casini, che era tra i fedeli, recitò ostentatamente
in latino le preghiere, e a voce alta, in modo che quanti lo circondavano potessero
notare il suo gesto di protesta». Siamo alla protesta, al comizio di protesta,
e c'è di peggio: «C'est à Florence, la nuit de Noel, que Tito
Casini a commencé à fair scandale», scrive Paris-Match (la
rivista illustrata di quel modello d'ogni cristiana virtù che si chiama Brigitte
Bardot, o di non so quale dei suoi svariati mariti), e racconta: «Paul VI célébrait
la messe de minuit dans la ville inondée. Tandis qu'illécitait en italien,
avec la foule, les prières liturgiques, debout au milieu de la nef, un homme,
d'une voix suffisamment puissante pour que le Pape l'entende, s'obstinait à
les réciter en latino C'était Tito Casini».
Siamo alla sfida (la sfida e l'offesa pubblica al Papa!) e voi vi chiedete se più
di cosi... Ebbene, sì, c'è di più: c'è la congiura: la
congiura contro il Papa e la Francia ossia per via della Francia, e dicendo congiura
si capisce, senza che occorra l'acume di quel mercante di Gorgonzola («c'era
una lega...») che non potevo esser solo.
È L'Aurore che, sotto il titolo Tempete autour de la barque de saint
Pierre e il sottotitolo Les Français pris à partie, ne informa
la Francia scrivendo: «C'est le pape lui-meme... qui est accusé par
une importante fraction de la presse italianne d'ouvrir la porte de la curie à
"l'internationale progressiste", de céder au "soviet français",
en nommant Mgr Garrone puis le cardinal ViIlot à des postes importants. L'écrivain
Tito Casini...» E Paris-Match, per la penna di Robert Serrou, spiega
le cose (il cardinale Villot messo a capo della Congregazione del Concilio; monsignor
Garrone, «qui passe pour etre un éveque novateur», al posto di
monsignor Staffa di cui «personne, à Rome, n'a oublié le virulent
article contre la collegialité de l'épiscopat»; il palazzo dei
Seminari ribattezzato per conseguenza «Avignon»), così poi concludendo:
«La campagne antifrançaise, en réalité, vise le Pape lui-meme.
Comme personne n'ose l'attaquer de face, on cherche à l'intimider... L'estocade,
c'est un écrivain catholique florentin, Tito Casini, qui l'a portée...
Ce poete, che l'on croyait plus serein, va jusqu'à...» E pur conoscendo
abbastanza Dante, per poco io non sono andato a rileggermi il ventiduesimo del Purgatorio
per veder se fra i tanti «veggio » di quell'Ugo Capeto non ce ne
fosse anche uno per me, sul tipo di quello: Veggio in Alagna entrar... che
facesse o press'a poco di me un novello Sciarra Colonna.
Cose da ridere, da «divertircisi un po' », come ha scritto di quelle
cento mie paginette il mio padre Martino definendole «un pallone di carta»
della prevedibile durata massima di «due giorni» e non prevedendo certo
che il suo avrebbe avuto tanto rimbombo. Mi ci sono, infatti, un po' divertito, e
non lo avrei fatto, no, non avrei perso il tempo in queste ridicolezze se non era
la ragione che ho detto: difendere la buona causa, mostrando pur di quali mezzucci
ci si serve, in campo avversario, per attaccarla, unitamente a quello di defraudare
un santo papa del suo Atto più solenne e più caro. C'è stato
ben anche in campo amico chi ha preso per vera la baggianata, e non potendo, da amico,
darmi del goffo, se l'è cavata dandomi del coraggioso. «Il Casini»,
scrive per esempio Totalità, una rivista fatta da fiorentini, recensendo
il libretto, «deplora, in termini assai duri, l'accantonamento sempre più
accentuato del latino, l'apertura a musiche di vario genere, nelle celebrazioni religiose...
eccetera. Tito Casini è lo stesso che alla Messa di Natale del Papa ostentatamente,
ad alta voce, rispondeva in latino anzichè in italiano. È dunque, oltre
tutto, un cattolico coraggioso», e, per il coraggioso, io dico: grazie,
ma non è vero.
È bensì vero che io rispondevo in latino, come ho sempre fatto e moltissimi
altri fanno ogni giorno, ma per mio conto, ma submissa voce, e voglio incollerire
ancor più il mio padre Morganti svelandogli che, allo stesso modo, prima di
Messa, io sèguito a dire, intero, il salmo Iudica me e alla fine il
vangelo In principio; e di peggio, io faccio: io piego ancora il ginocchio
all'Incarnatus est... con l'intenzione di riparare alla gioia di chi disse
Non serviam e guarda e subsanna certo di contentezza vedendo i nuovi sacerdoti
rifiutar l'adorazione dei secoli al mistero più sacrosanto, il mistero che
rese vana l'opera sua: l'adorazione che nel deserto aveva chiesto invano per sè:
«Haec omnia tibi dabo si cadens adoraveris me»: vendetta davvero
allegra che si ripeterà e lo farà gongolar di nuovo alla Comunione,
quando vedrà i medesimi sacerdoti vietare ai fedeli d'inginocchiarsi, pedissequi
pur in questo dei protestanti, che lo vietarono, logicamente quando cambiarono
in Cena la Messa, in tavola l'Altare, escludendone il
tabernacolo e negando la Sua presenza in quel pane.
Non posso invece confermare ciò che in Epoca scrive pur benevolmente
di me il romanziere Brunello Vandano, presentando un «Tito Casini... mite d'aspetto
quanto toscanamente combattivo di carattere, papiniano di stile robusto e abile»,
per cui non si spiegherebbe e si spiega sia la Tunica sia ciò ch'egli
fa, ossia farebbe, «nel suo ritiro di Firenzuola, dov'è nato»,
ed ecco che cosa: «A messa, la domenica, occupa compattamente i banchi con
la sua famiglia, una vera tribù, e il suo sguardo di sfida» (ma e la
mitezza?) «diffonde all'intorno una vaga apprensione. Difatti, al momento delle
risposte il coro della truppa Casini sovrasta stentoreo quello degli altri fedeli,
replicando non in italiano, ma in latino. Quindi, terminata la messa, il gruppo resta
a recitare ostentatamente le tre Ave, Maria e le altre preghiere finali...»
Quando il re, come si racconta, andò in visita a Cuneo, il sindaco si scusò,
nel discorso, di non aver fatto sparare i ventun colpi di cannone, per più
motivi, come disse: «primo, perchè non abbiamo il cannone, secondo...
» e stava per dirne ancora ma il re ne lo dispensò osservando: «Non
importa: mi pare che questo basti». Al direttore romano di Epoca, probabilmente
ingannato, anche lui, da quelli... del Duomo, dirò, qualora non basti a disingannarlo
quanto ho già detto, che io non sto a Firenzuola bensì a Firenze, che,
mattiniero come nessun altro dei miei, alla messa vado solo, prestissimo, e che don
Aldo, il mio parroco qui dei Santi Fiorentini... ha riso con me della novella.
Ne ha sorriso, con me, anche un vescovo, che mi onora come tanti altri della sua
amicizia, cosi commentando, con stupefacente ardito candore: «E se fosse vero,
che cosa ci sarebbe di male?»