È lui che ha dato
il via al linciaggio, con un articolo intitolato Una lettera da stracciare (quella
di Tito Casini) e un soprattitolo che rappresenta il motivo della condanna, ossia
l'infamia, l'eresia per cui m'ero meritato la pena: Latino a tutti i costi. ...Un
titolo, bisogna dir, fortunato: in una chiesa di campagna, che non mi sento di nominare,
il prete faceva ai bambini, fra l'altre domande del catechismo, questa: «Qual
è la lettera che si deve stracciare?» E, non sapendo essi cosa rispondere,
benché il giornale con l'articolo campeggiasse fra gli avvisi sacri alla porta,
insegnava loro: «Quella di Tito Casini».
Maestro e donno di liturgia nella mia diocesi, paladino del volgare e nemico del
latino al punto di rimproverare i vescovi che indugiano e par che traccheggino a
farlo fuori dal Canone, padre Martino Morganti meritava per verità l'incombenza
di maître des hautes oeuvres che gli hanno affidato nei miei riguardi,
e non è sua colpa se mi rimase e m'è rimasto tanto di fiato da rispondergli,
magari in stile, voglio dire ... non in latino. Chi la lesse, la mia risposta, sul
Giornale d'Italia (18-19 aprile) o negli estratti dell'Ansa) troverà
qui, rileggendola, qualche nepente, ma non per questo dirò di avere alternato,
ancora una volta, il vino all'acqua. Se gli parrà che invece di vino sia aceto,
consideri che anche l'aceto serve, almeno per condir l'insalata.
Caro padre Martino,
Faute d'un point, dicono in Francia, Martin perdit son âne: per
un punto Martin perse il somaro, e ognun conosce la storia... C'è dei casi
in cui, per un «punto», mettiamo un articolo, il somaro invece di perderlo
uno rischia di prenderselo, pur avendo intelligenza da vendere come Lei, e a Lei
appunto dico.
Leggo, ossia rileggo, sull'Osservatore della Domenica, il Suo articolo contro
di me, che, uscito prima sul fratellino di Firenze, L'Osservatore Toscano (e
chissà se l'innocua proliferazione sarà finita), ha suggerito a un
mio amico questo malignetto commento: Ne forçons point notre talent: nous
ne ferions rien avec grace... con quel che segue e che Lei riconosce per la «morale»
di una favola lafontainiana intitolata L'ane et... Le ho risposto, per Firenze,
a Firenze, e Le rispondo, per Roma, qui a Roma, su un giornale diverso da quello
in cui Lei mi ha dato prova della Sua «grazia», perchè son certo
- conoscendo per esperienza in quale unico senso viga sui nostri fogli la famosa
«libertà» degli statuti conciliari - che quello, l'Osservatore
della Domenica, che ha concesso a Lei tanto di libertà e di spazio per
attaccarmi, lo rifiuterebbe a me per difendermi, e se si vuoI dimostrare che non
è vero, hic Rhodus, hic salta: che pubblichi, l'Osservatore di
lì, questa mia risposta, riportandola integralmente da qui.
Quanto a «forza » va detto che Lei ce l'ha messa tutta (come si era chiesto
e raccomandato) e buon per me che Domineddio e la mia mamma m'han fatto di complessione
robusta! Si: se dopo la Sua doppia pestatura - dopo, dico, il Suo articolo sull'Osservatore
fiorentino, autobissato sull'Osservatore di Roma e non so se altrove -
io sono ancora vivo e vegeto, è segno certo che questo contadinello dell'Arno
è, come il grosso contadino della Garonna, di dura pelle, e non è
colpa di nessuno se sono anche sfrontato, alla maniera di quella tale bestiaccia:
Cet animaI est très méchant: quand on l'attaque il se défend!
Come difatti.
Come difatti, e peccato che il tempo per dimostrarle come io sia vivo e vegeto non
sia quanto vorrei: il Suo articolo, lungo come la camicia di Meo, offre mai tanti
spunti per «divertircisi»! A cominciare dal titolo, la cui foga mi rammenta,
s'immagini, la flemma ironica di don Ferrante: «Tanto affannarsi a bruciar
dei cenci! Brucerete Giove? Brucerete Saturno?» Tanto affannarsi dico io, a
stracciare! Fatelo pure del mio libro (o libello che dir vogliatelo), ma, e qui il
tono si fa serio, ma... straccerete Pio XI? straccerete Pio XII? straccerete Giovanni
XXIII, per limitarmi a dir dei Papi i cui atti solennissimi in esaltazione e difesa
della «lingua cattolica», della «lingua della Chiesa» (come
da loro detto il latino), ho citato nel mio libro? Straccerete, aggiungo qui, Paolo
VI per la sua Lettera Sacrificium laudis dove il latino e il gregoriano sono
paragonati a un «cero» che, «spento», tolto di mezzo per
il volgare a tutti i costi, per le «cantilene oggi alla moda», porterebbe
«sicuramente a indebolire e intristire la Chiesa tutta di Dio? Paolo VI, che
non diceva certo per me, per noi, parlando il 5 di questo aprile alle Corali liturgiche
di Francia: «Certains ont pu se méprendre... et montrer plus d'empressement
à détruire et à supprimer qu'à conserver et à
développer. Le Concile n'est pas à considérer camme une sorte
de cyc1one, une révolution qui bouleverserait idées et usages et permettrait
des nouveautés impensables et téméraires. Non, le Concile n'est
pas une révolution...»
E domando a Lei che sa... di volgare, se non sia una rivoluzione, o se ci sia rivoluzione
più eversiva di quella che strappa, che vieta a un popolo la sua lingua, la
lingua che ha sempre parlato, la lingua dei suoi padri, ricordandoLe che noi siamo
«popolo », populus Dei, sparso e non disperso, e per non disperdersi
unilingue, su tutta la terra. Sia come sia, il latino Lei lo vuol fuori, e a farlo
fuori vuole che sia il Concilio e perchè sia non teme di scrivere questa solenne
corbelleria: «Il Concilio ha sanzionato l'introduzione delle lingue moderne
nella liturgia e lo ha fatto senza nessunissima eccezione». Ergo, secondo
la vostra logica, il Concilio avrebbe statuito, come voi stessi siete obbligati a
riconoscere: «L'uso della lingua latina sia conservato nei riti latini »,
per poi aggiungere, in un successivo articolo: «L'uso della lingua latina può
essere, anzi sia, abolito». Quanto dire: «La proprietà è
un diritto; è permesso e consigliato rubare». Ab uno disce omnes,
dalla grandezza di un corbello
giudica quella degli altri, che non sono più piccoli, come questo che vorrebbe
dar la misura dell'adesione dei cattolici all'«esperienza nuova», che
secondo Lei ha ormai «rallegrato anche i timorosi, ha convinto anche i dubbiosi»,
non lasciando altri «scontenti e scontrosi» che Tito Casini e il cardinal
Bacci, uniti per questo da Lei nel Suo disprezzo, che se lusinga anche troppo me
per l'accostamento, non tange certo lui, onore riconosciuto della diocesi fiorentina
e gloria della Chiesa. Il favore che questo mio libro ha incontrato ovunque - oltre
ogni mia aspettazione - e la lotta che voi gli fate con ogni mezzo per impedirlo
vorranno pur di qualcosa contro la Sua certezza che noi siamo ormai degli «estranei»,
gente che «appena parlano è come se parlassero da un altro mondo»
(non così male, vogliam sperare, perché se noi amiamo il latino è
anche perchè c'insegna giusto a parlare, come il popolo da cui veniamo, un
tantino meglio, e vorremmo conservato alla Chiesa, la bella «Sposa di Dio»,
questo decoro della sua lingua come del suo proprio canto). Per fabbricar questo
Suo corbello Lei ha finto di non aver letto, nel mio libro, i dati dell'inchiesta
fatta tra i cattolici americani circa l'«indice di gradimento della Riforma»
e pubblicata con meraviglia dall'Osservatore Romano (quello di tutti i giorni),
da cui risulta che gli «estranei», quelli che «appena parlano è
come se parlassero da un altro mondo» (a meno che per l'« altro mondo
» Lei non intendesse appunto l'America), sono l'enorme maggioranza, e per quali
motivi! Perchè, con la Riforma, si sentono «indeboliti verso le pratiche
religiose e verso i legami spirituali con gli altri fratelli cristiani»; perchè,
agli ex protestanti, «par d'esser tornati protestanti»! Ed è di
appena una settimana la notizia dell'inchiesta fatta similmente in Germania, che
dà «in netta maggioranza» (copio dai giornali) i cattolici «favorevoli
alla Messa interamente latina»; e chi? forse i signori? Il contrario: «Appaiono
favorevoli alle riforme soprattutto i cattolici benestanti, mentre quelli più
assidui alla pratica religiosa e quelli di condizioni meno agiate sono contrari alle
innovazioni. ...» Sentito? Si tratterà di vecchi... di « matusa
»... di... Macchè! «Anche i giovani », conclude l'inchiesta,
« anche i giovani si mostrano molto legati alla tradizione e poco favorevoli
alle riforme». E pensare che proprio per loro, per il «popolo»,
considerato da voi somaro più dei somari, voi avete dato lo sfratto al latino
per il volgare «a tutti i costi»! E pensar che proprio sui giovani, il
sole dell'avvenire, voi facevate assegnamento! Se la logica, se la ragione, il buon
senso contassero qualche cosa per voi, ci sarebbe ancora da sperare (ricordando che
errare è umano)) davanti all'eloquenza di questi fatti, mentre non
c'è che da affliggersi vedendo il caso che voi fate, in questo come in tutto
il resto, di tutto ciò che non si conforma al vostro capriccio, secondo il
doloroso rilievo espresso or ora dal Papa: «La moda fa legge più della
verità».
Il Papa? Che cos'è, che cosa vale il Papa per voi, voi lo dimostrate, per
esempio, imponendoci, dico imponendoci, o così o nulla, la Comunione
in piedi, impettiti, «impalati» davanti a Dio come i croati del Giusti
(«peggio delle bestie», mi scrive un sacerdote da Rimini, dov'è
il ricordo della mula che davanti al Santissimo piegò i ginocchi), pur sapendo
e pur vedendo coi vostri occhi che il Papa, che Paolo VI vuole la Comunione in
ginocchio.
Dico « pur vedendo », perchè se Lei non era, la notte di Natale,
nel nostro Duomo, dove al Papa non scomodò - affaticato e insonne com'era,
e con la fatica e la veglia che lo attendevano - fare una quindicina di volte il
giro delle balaustre pur di comunicarci in ginocchio, c'eran bene i Suoi,
i vostri informatori e con che orecchi e che occhi! È precisamente il Suo
articolo che mi rivela ciò che io, ingenuo, non sospettavo neppure, e cioè
che io ero osservato, spiato: che una questura liturgica cittadina, tutt'uno
con la sinistra non so se russo o cino-cattolica locale, zelatrice del suo nuovo
vangelo secundum Marx, mi aveva messo alle calcagna un poliziotto,
il quale, invece di badare alla Messa o al Papa che la diceva, sui libri che i cerimonieri
gli aprivan davanti, guardava, appunto, a ciò che io facevo e vi ha riferito
di me cose orripilanti: «lui pregava in latino!» Il che, Dio mi perdoni,
era vero, ma non «ostentatamente», non «il più forte possibile»
(acciderba! più di quello che in Carosello reclamizza quella tal china?)
conforme ha verbalizzato il vostro «detective» in quel suo stile anche
troppo mondo di commercio con il latino.
Il Papa? I Papi? Il conto che voi ne fate si vede pur da questo Suo articolo, dove
Lei, per offender me, offende loro, elencando fra i miei «errori» quello
di «aver adoperato una documentazione poco seria!» Eh, via, reverendo
padre Morganti! Poco seria sarebbe, secondo Lei, l'enciclica Mediator Dei del
servo di Dio Pio XII, dove si taccia di «temerario ardimento in cosa di gravissima
importanza» quello di chi «usa la lingua volgare nella celebrazione del
Sacrificio Eucaristico»? Poco seria per voi l'allocuzione dello stesso Pio
XII dove ammonisce: «Sarebbe superfluo il ricordare ancora una volta che la
Chiesa ha serie ragioni per conservare fermamente nel rito latino l'obbligo incondizionato
per il sacerdote celebrante di usare la lingua latina»? Poco seria la Veterum
sapientia del servo di Dio Giovanni XXIII, dove i vescovi sono gravemente ammoniti
«d'invigilare a che nessun innovatore ardisca scrivere contro l'uso
del latino, sia nell'insegnamento delle sacre discipline, sia nei sacri riti,
nè s'attentino, nella loro infatuazione, di minimizzare in questo la volontà
della Sede Apostolica o d'interpretarla a lor modo»? E non è, questa,
che una parte della mia «documentazione». Per cui? Per cui, Lei non ha
bisogno del mio consiglio ma non si sgomenti, comunque, padre Morganti. Altri, come
Lei maestri di Liturgia e sedendo in più alta cattedra, hanno trattato da
poco seri (senza dirlo, è vero) quei documenti, dopo averli un tempo trattati
e illustrati come serissimi. Questione forse di memoria, e non si nega a nessuno
il diritto di cambiare opinione; ma che Lei, padre Morganti, per attaccare chi non
ha dimenticato o cambiato, tratti a quel modo dei Papi (e che Papi!) e venga poi
a far la predica a me sul rispetto a cui avrei mancato nei riguardi di chi ricopre,
senza il dono dell'infallibilità, quella tal carica, è veramente cosa
«poco seria» e mi sa di padre Zappata: Sine eijciam festucam de oculo
tuo...
Non ch'io neghi d'essere stato, per amore (Fortis est ut mors dilectio), un
poco o molto duro verso di lui, cuius non sum dignus, Lei me lo vuoI fare
intendere e io lo intendo, calceamenta portare: lo ammetto, nella introduzione
al mio libro, e me ne giustifico con esempi e argomenti che ognuno è in grado
di valutare... Le dirò, a proposito di questa mia confessata (e non sconfessata!)
durezza, che il giudizio, circa il libro, che più mi ha colpito, perchè
più rispondente alla mia intenzione, è stato quello di uno scrittore
cattolico londinese che lo ha paragonato (salto gli elogi) al «cane da pastore,
che abbaia forte, morde, se necessario, le pecore, ma non ferisce» (appunto
perchè lo fa per amore) e vede in questo «un'altra felice prova che
esser cattolico significa sempre, in un certo senso, essere umano».
Per non demeritar, con Lei, questa lode (e anche per non raddoppiare, nel guardaroba
di Meo, il corredo delle camicie), rinunzio, qui, al piacere di proseguire, come
l'articolo mi tenterebbe con tutte le amenità che contiene, la più
amena delle quali sarebbe, se si potesse, su certe cose, scherzare, quella con cui
si chiude: l'affermazione, cioè, che tout va bien nella Chiesa d'oggi,
ossia «che la tunica è intatta e... se qualche cosa deve essere
stracciata, questa è proprio l'infelice lettera di Tito Casini».
Beato Lei che ci crede! Quanto a me... A farmi dubitar che così non sia c'è
per l'appunto un altro giornale, L'Osservatore Romano, arrivatomi insieme
al Toscano e agli altri d'oggi, nel quale leggo queste fra tante tristissime
allarmate parole dette ieri dal Papa ai vescovi della CEI:
«Qualche cosa di molto strano e doloroso sta avvenendo nel campo cristiano,
anche fra coloro che conoscono e studiano la Parola di Dio: viene meno la Parola
di Dio: viene meno la certezza nella verità obiettiva... si altera il senso
della fede unica e genuina; si ammettono le aggressioni più radicali a verità
sacrosante della nostra dottrina, sempre credute e professate dal popolo cristiano;
si mette in questione ogni dogma che non piaccia e che esiga umile ossequio della
mente... si pretende di conservare il nome cristiano arrivando alle negazioni estreme
d'ogni contenuto religioso... la moda fa legge più della verità...
Vi è pericolo d'una disgregazione della dottrina, e si pensa da alcuni
che ciò sia fatale nel mondo moderno...» Il penoso elenco delle deviazioni,
degli strappi alla tunica, degli errori d'ogni maniera (nessun dei quali
ha per autori o seguaci quelli del «latino a ogni costo»), prosegue
a lungo, presentati addirittura, dal Papa, «come una epidemia» (della
quale, mi gode l'animo ripeterlo, nessuno di noi è infetto, come docente
o come discente) e il più funesto sarebbe quello di negarli, di dire che la
peste non c'è, che non c'è nulla da bruciare, o vuoi da... mandare
a Prato, eccettuata «la lettera di Tito Casini».
Beato Lei, ripeto, che così pensa! Perchè così fosse, io sarei
pronto, con l'aiuto di Dio, a stracciar ben altro che quella mia «lettera»!