La fine è mesta. Le viole
son ritornate, dopo quaranta giorni di neve. Dopo quaranta giorni di colma gioia
natalizia, espressa dal bianco dei paramenti sacerdotali, ecco di nuovo, sulle spalle
del sacerdote, in questa mattina della Purificazione, il colore della viola, il color
dell'Avvento, come se il Cristo non fosse veramente venuto o ci venisse ritolto.
Postquam impleti sunt dies purgationis Mariae, secundum legem Moysi, tulerunt
Iesum in Ierusalem ut sisterent eum Domino... Quanto abbassamento e quanta contraddizione,
quanto sottinteso dolore, in queste parole che fanno il vangelo e la festa d'oggi,
ultimo giorno delle esultanze nate dal parto di Maria! Maria, che non fu mai meno
santa, santa già in seno ad Anna, Maria torna in santo... È
la neve che si lava, è la purezza che si purifica. Gesù, figlio di
Dio, Dio egli medesimo, è ceduto a Dio come uno schiavo, é come uno
schiavo vien redento, egli il redentore di tutti gli uomini, al prezzo di cinque
sicli, secondo la legge di Mosè... Giuseppe sborsa i denari - fatti col mandare
avanti e indietro la pialla, in qua e in là la sega, in su e in giù
il martello - per riavere dal sacerdote il figlio non suo, mentre Maria consegna
le tortore che saranno uccise sull'altare in sconto del peccato ch'ella non commise:
e quelle monete e questo sangue suscitano in noi l'immagine d'altre monete e d'altro
sangue, che saran versate per lui, che sarà versato da lui. È il primo
viaggio ch'egli fa a Gerusalemme - e la mente già corre all'ultimo, al viaggio
senza ritorno. La benedizione dei ceri e la processione con cui s'apre la liturgia
di stamani somiglian troppo alla benedizione e alla procession delle palme perchè
anche i nostri pensieri non si tingan di violaceo.
La fine, sì, è mesta. Quantunque le viole scompaiano dall'omero del
sacerdote al termine della processione, e la messa sia bianca; quantunque il vangelo
cessi con parole d'alta letizia, Nunc dimittis... quia viderunt oculi mei Salutare,
le immagini della passione prevalgono, e attraverso le lodi che la messa innalza
alla Vergine par di sentire, dopo il vangelo, i singhiozzi di una madre minacciata
il più crudelmente nel figlio.
La mente, infatti, non rimane, dove il vangelo (quasi per non turbar la festa) rimane:
la profezia di Simeone segue troppo da vicino (perchè la mente si arresti)
la preghiera di Simeone, ed è profezia di affanno, di sangue, di morte: «
Egli sarà posto in segno di contraddizione, e una spada passerà anche
a te il petto». Il pensiero che quel suo figlio, quel suo Gesù che da'
quaranta giorni le succhia il petto, le sarà un giorno strappato, e non varranno
a ridarglielo nè tortore nè colombe nè sieli, fa triste il ritorno
di Maria - sebbene essa non ignori che Gesù risusciterà.
Il dolore che fu di Maria è oggi il dolore della Chiesa, sposa di quel Cristo
ch'essa allattò. Dopo quaranta giorni di dolce star con lo Sposo, ecco che
una lunga vigilia sì prepara alla Chiesa. Il mesto colore della viola, apparso
e quindi scomparso stamani, sarà dunque da oggi in poi la sua veste; il lieto
grido dell'alleluia non s'udrà più, da stasera stessa, sulle sue labbra;
le sue messe saranno ormai senza Gloria e senz'Ite; le sue laudi senza Te Deum. Via
ogni segno, via ogni voce di allegria, via dalla mensa dei suoi figli ogni cibo meno
che povero... Fino a quando?
Fino a quando durerà questa vigilia dello Sposo che le parole di Simeone annunziano
già oggi alla Chiesa in festa? E come può la Chiesa oggi comunque far
festa se lo Sposo sta per esserle tolto?
La Chiesa sa, come sapeva Maria, che Gesù risusciterà, che la vigilia
avrà fine, che lo Sposo le tornerà. Sa che le tornerà più
glorioso dopo l'amara vigilia, che questa vigilia è necessaria alla sua maggior
gloria, alla di lei maggior gioia - e questo sapere le concede la temprata festa
d'oggi, vigilia della grande vigilia.
Così l'asprezza della stagione che s'abbatte su questo giorno, se esteriormente
ci affligge, noi che vorremmo sempre il sereno e il sole, intimamente ci rallegra
poichè sappiamo che quest'algenza è condizione e caparra di bel tempo
avvenire: Per la santa Candelora, se nevica o se plora, dell'inverno siamo fuora;
mentre se è sole o solicello, siamo sempre a mezzo il verno, e, peggio
ancora, se è sole, sole grande, dell'inverno siamo a entrante.
Così godiamo, pur soffrendone, che siano squallidi i primi dodici giorni dell'anno,
i «calendi», che sono come i campioni, all'inverso, dei seguenti dodici
mesi. Infatti. A calendo torbo, mese chiaro: vale a dir che il mese sarà
bello, sereno, lieto, se tristo, burrascoso, tedioso fu il giorno tra quei dodici
a lui equivalente.
Così accettammo di buon cuore la nemica stagione che ci astrinse al chiuso
della cucina il giorno di Natale (quando ci sarebbe piaciuto di espander fuori, per
vie e prati, la nostra gioia), sapendo che il maltempo di allora era come il prezzo
del più bel tempo di cui godremo, Dio concedendolo, a Pasqua: Natale al
fuoco, Pasqua al sole; e il contrario: Natale al gioco, Pasqua al fuoco.
Così, pure aborrendola, accogliemmo e benedicemmo, sollecita a giungere e
non ad andarsene, la neve: la fredda neve, cancellatrice d'ogni colore, confonditrice
d'ogni forma, spengitrice di ogni apparente vita, la neve simile alla morte, ma in
verità datrice di vita: la neve che rinsana e purga la terra, la neve che
riavvena le fonti, la neve sotto cui fa il pane: pane per il corpo e per l'anima,
per questo tempo e l'eterno, per questa vita e la Vita.
FINE
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 282-286.