Il diciassette gennaio, la vostra
festa, o sant'Antonio del deserto, il freddo non burla. Sant'Antonio, gran freddura...
E si dice anche: Sant'Antonio dalla barba bianca, se non piove la neve non manca.
Vuol dire che, appena tornati di chiesa - riportando il fieno, il formentone, le
biade, benedette, per le nostre bestie, sulla piazzetta di chiesa -, si verrà
nelle stalle, intorno al vostro ritratto mondato dai ragnateli, dalla paglia e dalla
polvere, a farvi un po' di festa discorrendo di voi, della vostra vita santa, dei
vostri miracoli grandi e famosi. Nelle stalle, a questi giorni, si sta bene: c'è
un odor di fieno umido e un calduccino che par d'essere a primavera. Se poi si pensa
a chi c'è stato! La Madonna, è manco un mese, venne qui, con san Giuseppe,
a partorire il suo Figliolo, e sono appena dieci giorni che ci capitarono, dalle
vostre parti, tre re di corona con cammelli carichi di regali. Ora, i Magi son ripartiti,
e anche san Giuseppe, accomodata alla meglio sull'asino la sua famigliola, è
dovuto scappar di rimpiatto verso il vostro paese per salvar dalle grinfie d'Erode
il figliolo della sua donna. Già: La Santa Befania tutte le feste porta
via; ma ci siete poi voi, ma c'è poi Sant'Antonino, ne riporta un fastellino.
La prima, di questo nuovo mazzo, è, naturalmente la vostra, e se la si riconosce
meno nelle case, la si riconosce però, come nessun'altra, nelle stalle.
Oggi, infatti, non solo le stalle son più pulite e ordinate, ma nelle greppie,
invece del solito mescolo di paglia e fieno, c'è puro fieno e del meglio e
a volontà delle bestie. Alle bestie, anzi, stanotte, per ragion della vostra
festa, è stato fatto un privilegio che parrebbe, d a quanto è straordinario,
una favola, se non ci fosse chi, per prova, l'assicura: il privilegio, figuratevi!
di parlare. Ma già, se questo, che si racconta, è vero, voi lo dovete
sapere meglio di chiunque altro, perché, messo che le bestie, la notte della
vostra festa, parlino, per quale altra ragione sarebbe stato loro concesso se non
per lodarvi e ringraziarvi delle malattie e disgrazie - l'acetone, lo scilinguagnolo,
l'incollatura, la storta - da cui la vostra protezione le scampa meglio che non le
scampi l'erba nocca, o il ramo di ginepro o la resta d'agli che si metton contro
le streghe?
Alla lode e al ringraziamento, muto o espresso, degli animali che ci servono uniamo
dunque anche il nostro.
Col saluto di Virgilio a Pane, io vorrei salutarvi, quant'è vero che voi siete
il nostro Pane, il protettore dei nostri armenti: Pan, ovium custos... Ma
c'è il rischio di vedervi fare una spallucciata da restarne male, perché
di lettere, e specialmente di lettere pagane, voi, come di cosa vana, non voleste
mai sapere, mentre tutto il vostro studio e tutta la vostra passione fu per la Sacra
Scrittura, dove veramente c'è tutto, bellezza e bontà, apparenza e
sostanza. Quella sì che vi fu sempre cara, e ancora, quel libro che tenete
aperto nelle mani sopra il bastone fatto a tau, mentre dalla trave o dal pilastro
della stalla badate le bestie, si può dir di sicuro che sia la Scrittura,
nella quale non cessaste mai di leggere e d'imparare. In che punto la state leggendo,
se non vi do noia? Forse al libro di Daniele, e precisamente al cantico dei tre fanciulli:
«Benedite, o bestie e armenti tutti, il Signore; benedite, o figli degli uomini,
il Signore»; oppure al salmo centoquarantotto: «Lodate dalla terra il
Signore, dragoni e, quanti siete, abissi, bestie e, quanti siete, armenti, serpenti
e uccelli pennuti...» Oppure siete nel Nuovo Testamento e rileggete quel passo
di san Matteo che vi mise sulla via di diventare quel gran santo che siete.
Eravate sulla ventina, v'erano morti da tempo i genitori, lasciandovi, con una sorella,
padrone di un patrimonio da farvi poca paura il freddo, quando un giorno, andando
alla chiesa, vi venne da pensare agli apostoli che avevano piantato tutto per andar
dietro al Signore, come pure a que' primi cristiani che, dando retta agli apostoli,
s'eran disfatti di tutto il loro per darlo in limosine ai poveri. Tutto inteso a
questi pensieri, entraste in chiesa, e volle il caso... no, volle Iddio, che in chiesa,
proprio in quel mentre, si stesse leggendo quel passo di san Matteo dove il Signore
dice al giovane ricco: «Se vuoi esser perfetto, va', vendi quello che hai e
dàllo ai poveri, poi vieni e seguimi: il tuo tesoro sarà il cielo».
Il giovane del Vangelo, a questo discorso fattogli dalla propria bocca di Gesù,
nicchiò nicchiò, come si sa, e poi non ne fece di nulla. Ma voi, soltanto
per sentirlo leggere in chiesa: - Toh, questo è per me -, diceste voi, e subito
acceso di quella santissima ambizione, tornato a casa, per i vostri vicini fu giorno
di nozze: regala di qua, regala di là, di trecento campi che avevate - e campi
tutti da far gola - non vi risalvaste nemmen tanto da seminarci il prezzemolo. Dei
soldi, sì, qualche spicciolo ve lo avanzaste, per via specialmente di quella
vostra sorella così giovanina e inesperta. Ma, tornato un'altra volta in chiesa,
daccapo! vi càpita per l'appunto di sentire quell'altro passo di san Matteo
che dice: «Non vi date pensiero per il domani». - Anche questo è
per me! - pensaste voi, e di soldi, quella volta, non vi rimase, per le tasche, nemmeno
il puzzo. Affidata ad alcune buone vergini, come sarebbe a dir monache, quella vostra
sorella, ultimo vostro tesoro, diceste un bell'addio al mondo, e via nel deserto
a farvi santo!
Immaginarsi il demonio! - Se tanto dà tanto, - dovette dire dentro di sè,
- questo qui, a giudicarne dai primi passi, mi farà grattare il capo davvero...
Vediamo se mi riesce di farlo inciampare prima che la gente gli vada dietro e così
mi rubi mezzo mondo -. Non eravate ancor giunto sul luogo della vostra gran ginnastica
spirituale, che già Berlicche vi era alle spalle a tentare. Cominciò
con le buone: - Tonino, da' retta a me, torna indietro! Te lo dico per il tuo bene,
torna indietro! Ma che ti pare, un giovanottino come te, un rubacuori cosiffatto,
andare a sacrificarsi nella solitudine del deserto... ? Male facesti, di ricco com'eri,
a ridurti in questa maniera come un pitocco, ma con la tua età, il tuo nome,
le tue conoscenze e le tue amicizie, via! siamo in tempo a rimediare, basta tu metta
una volta giudizio... Dammi retta, Tonino, ti pare una bell'azione, un'azione da
cristiani quella di lasciar tua sorella alle mani degli altri, con tutti i pericoli
che c'è oggi nel mondo... ? Vien' via, Tonino, che ubbie son queste di farsi
santo? Suderai e patirai per trovarti alla fine con un pugno di mosche, mentre te
la potresti passare così allegramente...! Eppoi, una cosa da nulla, farsi
santo! una cosa da nulla durare nella virtù quaranta o cinquant'anni di fila!
Almeno aspetta da ultimo a far queste pazzie... ! Tonino, te ne pentirai...! - Era
precisamente - tanto voi non ve ne avete a male - come fare il solletico al ciuco:
non contava nulla. E il diavolo, pien di dispetto, a darvi addosso con le cattive.
Eran sognacci, visioni paurose, eran urli, spingottoni, calci, randellate... Una
volta, permettendolo a gloria vostra Iddio, ve ne dette tante e così sode
da lasciarvi per terra come morto. Tant'è vero che un buon cristiano, il quale
secondo il fissato vostro veniva ogni tanto - ma di rado - a portarvi da mangiare,
venendo quel giorno e trovandovi per terra così concio, vi credette morto
del tutto e presovi sulle spalle vi riportò al vostro paese, dove vi avrebbero
fatto l'ultima del. l'opere di misericordia se, al momento di andar sottoterra, non
vi foste con meraviglia di tutti riavuto. Più meravigliato, e indispettito,
restò il demonio a sentirvi, dopo quella batosta, un'altra volta nel deserto
cantare, per fargli rabbia, certi versetti de' salmi come questo: «Anche se
un esercito intero si moverà contro di Me, non tremerò nel mio cuore».
- Si starà un po' a vedere! - E, messo insieme un esercito di que' suoi diavolacci,
eccovelo un'altra volta addosso con un tremotio che ci pareva il finimondo. Per farvi
più paura avevan preso tutti aspetto di bestie: di leoni, tori, lupi, orsi,
leopardi, vipere, pipistrelli, scorpioni... e, saltandovi attorno, ruggivano, mugliavano,
abbaiavano, fischiavano, stridevano ch'era proprio un pandemonio... E voi a ridere
della mascherata, e canzonarli peggio di prima: «Bellini che siete! E che figura
fate con quelle monture! Guardate lì come sanno ballare questi damerini! E
che concerto! Ehi! dico, non crederete mica, con queste giostre, di farmi paura?
Ma se foste forti davvero bastereste in uno ad assalirmi; e invece, perché
non siete buoni a nulla, venite in tanti, camuffati per di più in questa bella
maniera... Volete vedere che paura ho di voi? O aspettate un po' che pigli questa
crocellina...»
Visto che in tanti e in quell'arnese non si faceva bene, il diavolo, un'altra volta,
tornò da solo, spacciandosi - proviamo anche questa - per la provvidenza divina.
Infatti, siccome si dice che la provvidenza di Dio è tanto grande, lui. per
darvela meglio a bere, vi si presentò in aspetto di gigante. Con una voce
tutta l'opposto dell'altra volta: «Antonio,» vi domandò, «che
regalo vuo' tu ch'io ti faccia?» Per tutta risposta, voi radunaste con la lingua
e le gote quanto di saliva avevate in bocca e... Per non pigliarlo nella faccia,
il diavolo, di gigante, si rincancagnò fino all'altezza di una spanna. Un'altra
volta... Ma ci vorrebb'altro a riferire tutto quello che il diavolo vi fece per indurvi
in qualche modo ad abbandonare il deserto e smettere quella vita santa che proprio
gli rovinava i suoi affari!
Perché, s'intende volersi far santi, ma in quella maniera...! Pregare e digiunare,
digiunare e pregare: la vostra vita era questa. Un po' di riposo al vostro corpo,
ben di rado che glielo accordaste: non bastandovi di passare in preghiera tutto il
giorno, pregavate anche la notte, e del resto ci sarebbe voluta una bella faccia
a chiamar riposo quello che vi prendevate ogni tanto sdraiandovi su quel graticcio
di giunchi o sulla nuda terra. Così per il mangiare. Dopo aver la. sciato
lo stomaco garugliar dalla fame tutto il santo giorno, la sera, finalmente, calato
il sole, rompevate il digiuno: ma con che? con un po' di pane. un po' d'acqua e,
per tutto companatico, un po' di sale. Almeno lo aveste fatto tutte le sere! Ma a
volte, invece, anzi spesso, vi passava di mente, e accadeva così che le vostre
vigilie pigliavano la via di diventar quaresime.
Allora, che meraviglia che il diavolo, quantunque, a tentarvi, fosse testardo come
un ciuco, noia ce la potesse mai con voi? ... Una volta, però, egli dovette
credere di averla spuntata, perché vi vide, già in là con gli
anni, abbandonare con alcuni vostri compagni il deserto e indirizzarvi alla città.
Tornato in città, ad Alessandria, che dubbio volete gli rimanesse quando vi
vide, voi che per dispregio del mondo non vi lavavi mai né la persona né
l'abito, lavarvi, ora, e con gran cura, la tonaca, in modo da renderle l'antica bianchezza?
Difatti, a vedervi, con quell'abito tornato nuovo e di un colore così spiccante,
aggirarvi, come facevate, per i luoghi più frequentati e specialmente per
i tribunali, si sarebbe proprio detto che, ripreso dal desiderio del mondo, cercaste,
benché tardi, i suoi sguardi... Il diavolo, anche questa volta, sbagliava
di grosso. Voi cercavate, sì, in tutte le maniere, di attirarvi gli sguardi
del mondo; ma perché? Per vedere se qualcuno, fai fai, vi denunziava ai tribunali
come cristiano, dandovi così modo di morir martire. Era infatti scoppiata
la persecuzione di Massimiano, e anche ad Alessandria vi era modo di versare il sangue
per Gesù Cristo. Voi, come lo imparaste, via di corsa a cercarne! Il bianco
abito che vi faceva riconoscer per monaco doveva produrre negli avversari della croce
lo stesso effetto del rosso sui tori: farli infuriar contro di voi e mandarvi così
al martirio. Ma inutile fu il vostro bucato, inutile l'aggirarvi con quell'abito
per i luoghi pubblici, inutile lo starvene, proprio sotto gli occhi dei giudici,
nei tribunali, inutile l'arrotarvi intorno ai carnefici accompagnando i fratelli
alla morte - o vogliam dire alla vita -: il martirio non venne. Mortificato come
uno scolaro scartato dalla premiazione, ve ne tornaste al deserto, anzi vi rintanaste
più addentro, e del mancato premio ve la rifaceste col vostro corpo, straziandolo,
con le maggiori penitenze, in maniera da fargli rimpiangere, se f osse stata sua
la colpa, i supplizi dei carnefici.
Eppure, nonostante tutta questa virtù, il demonio ebbe cuore di riavvicinarsi.
E una volta - l'ho a dire? ma si, che tanto anche questa poi in ultimo vi torna a
gloria -, dài dài, una volta il demonio l'ebbe vinta. Dài dài,
o non gli riuscì, un giorno, di ficcarvi nella testa il pensiero che nel deserto
non vi fosse mai stato monaco più perfetto di voi? A come vi avevano ridotto
settant'anni di quelle penitenze - pochi anni a un secolo vi mancavano quando questo
pensiero vi venne - non era poi un giudizio tanto temerario; ma non vuol dire: certe
cose, più uno è santo e meno le deve pensare... Perché il frutto
di tante fatiche non andasse in un momento tutto perduto, il Signore, la notte, vi
mandò una rivelazione: che c'era, nel deserto più profondo, un altro
eremita molto migliore di voi, che voi dovevate subito visitare. Bell'e pentito di
quel pensieraccio maligno, e persuasissimo che la cosa fosse vera - noi, invece,
se non lo avesse detto il Signore, si stenterebbe a crederlo -, non faceste altro
che raccattar di terra il bastone, e via in cammino!
Dove il perfettissimo eremita si trovasse, la rivelazione non ve lo aveva detto e,
trattandosi del deserto, non c'era nemmen da pensare: ne domanderò al primo
che trovo. Ma, fatti pochi passi, ecco là un essere mezz'uomo e mezzo cavallo,
come quelli che i poeti ñ matti! - hanno inventato sotto il nome d'ippocentauri.
Voi, con un buon segno di croce: «Ehi, cosino, da che parte si trova il servo
di Dio?» Quello, borbottando non s'intese che parole, v'indicò col braccio,
alla lesta, una certa direzione, e via dalla parte opposta a gambe levate! Ci si
poteva spiegare anche. un po' meglio, ma tuttavia, dopo tre giorni di cammino e diversi
altri buffi incontri, guidato in ultimo da una lupa, arrivaste alla spelonca del
santissimo eremita.
Abitava giusto in fondo in fondo a una spelonca questo vecchione di centotredici
anni, e quantunque da forse un secolo non vedesse più faccia d'uomo, così
poco gli premeva di rivederne che quando sentì tra il buio pesto la vostra
treppia vi chiuse garbatamente la porta in faccia. Più di sei ore doveste
aspettar supplicando prima che v'aprisse, ma poi, aperto che v'ebbe, furono abbracci
e baci come tra vecchi amici. Passato il primo momento, Paolo, così come si
chiederebbero le notizie dei conoscenti: «Dimmi, te ne prego,» chiese,
«che n'è del genere umano, quale governo lo regge e se vi sono ancora
di quelli che son tratti in errore dal demonio». Mentre alla meglio - come
vi dava la vostra gita in cerca di martirio e un altro breve ritorno ad Alessandria
per confonder la setta ariana - lo venivi informando dell'andamento del mondo, ecco
un corvo calare da un albero ai vostri piedi e deporvi un pane. «Il Signore»,
disse Paolo, «ci ha mandato il pranzo. Vedi un poi quant'è benigno!
son sessant'anni che ricevo ogni giorno mezzo pane; ora che sei arrivato te, ecco
che il Signore ha raddoppiato la razione per i suoi soldati». Il litigio fu
a dividerlo, nessuno dei due volendo per umiltà essere il primo a spezzarlo.
Spezzalo te, io non lo spezzo, spezzalo te, io non lo spezzo, si fece buio che il
pane era ancora intero. Finalmente vi accordaste di prenderlo uno da una parte uno
dall'altra e tirare ciascuno a sè, contenti e cheti di quel che venisse. Mezzo
per uno ne venne, e ve lo mangiaste lietamente, seduti sul ciglio di una fresca fontana;
dopo di che passaste in piedi tutta la notte a lodare e ringraziare il Signore.
Per Paolo, quel pane mandato da Dio mediante il corvo e diviso con tanta umiltà
fu come il viatico per i moribondi: un giorno o due dopo, come sapeva di morire,
santissimamente morì, e voi, se aveste la consolazione di sotterrarlo, di
render la terra alla terra, come Paolo vi aveva detto, avete insieme il dolore di
non dormirgli accanto, come l'età e l'amore vi facevano sperare e chiedere.
«Non devi domandare», vi aveva detto Paolo morente, «quel che giova
a te, ma quel che reca vantaggio al tuo prossimo. Ti piacerebbe, è vero, abbandonata
la soma del corpo, seguire l'Agnello, ma ai fratelli è pur vantaggioso di
essere ammaestrati da' tuoi esempi...» E per altri quindici anni voi vi rimaneste,
sul monte, a regger la grave soma del corpo, in esempio e in aiuto dei fratelli.
Poi, quando, dietro a voi, il deserto prima solitario fu tutto una palestra di pretendenti
al paradiso, quando i vostri miracoli in pro dei corpi e dell'anime furon più
che non fossero i peli della vostra barba, quando la vostra tonaca, lavata già
ad Alessandria, fu tornata, dalla penitenza, tutta nera, e la vostr'anima fu fatta
bianca come il fior di farina, allora, dopo un secolo e cinque anni di vita, Dio
vi permise di morire.
Allora, chiamati due de' più anziani fra' vostri discepoli, a questi, per
tutti gli altri, faceste molte raccomandazioni in pro dell'anime loro, e una sola,
ma forte, riguardo al vostro corpo: «...Se poi vi prendete qualche pensiero
di me, se vi è caro il ricordo del padre vostro, se ricambiate quell'amore
che io vi porto, ebbene nessuno di voi si provi a portare la mia spoglia in Egitto
in modo che il mio corpo venga conservato... Sotterrate, dunque, e nascondete questo
povero corpo del vostro padre: su, ubbidite anche a quest'ordine che vi dà
il vostro vecchio, fate che nessuno all'infuori di voi sappia il luogo della mia
sepoltura».
I discepoli vi diedero retta, e mentre gli angeli recavano in paradiso la vostr'anima
pesantissima di meriti, essi sotterravano a fondo, né rivelavano dove, il
corpo che per centocinque anni l'aveva contenuta. Ma qualcuno poi - più di
un secolo e mezzo dopo - lo scoperse, e tutte ban fatto a gara le chiese per averne
una briciola, e ancor oggi, vedendo nel giorno della vostra festa quella santa reliquia
levata a benedir noi, le nostre biade, i nostri animali, ci pare di riveder voi,
in atto di cacciare col segno di croce i demoni, guarire gl'infermi, o distribuire,
per esser perfetto, ai poveri ogni, vostra ricchezza.
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 248-262.