Noi temiamo la morte, e per conseguenza
la vecchiaia, l'età che non ha seguito. Come va dunque che invece di tener
lontane le loro immagini, onde viver tranquilli il tempo che ci è dato vivere,
noi le poniamo da per tutto, nelle cose e nelle vicende, nel fuoco che si spenge,
nella rosa che si sfoglia, nel sole che tramonta, nell'autunno che succede all'estate,
nell'anno che finisce, e perfin nell'anno che ricomincia?
Proprio così. Dopo aver personificato l'anno, facendolo morire a somiglianza
dell'uomo, giunti che siamo a gennaio, cioè all'anno nuovo, all'anno neonato,
vediamo cader la neve, vediamo la terra fatta bianca, e non pensiamo, come sarebbe
più giusto, a candor di velo battesimale: pensiamo al freddo candore della
vecchiaia e ci figuriamo il primo mese con fattezze di patriarca.
Non così la Chiesa.
Figlia di Chi disse: «Bisogna nascer di nuovo... Bisogna farsi fanciulli»,
la Chiesa, che manda ogni giorno, a ogni ora, i suoi sacerdoti all'altare con sulle
labbra parole di gioventù; che chiama e festeggia «dì natalizio»
l'ultimo giorno terreno dei suoi campioni; la Chiesa ignora morte e vecchiaia.
Le ignora per sé e par che voglia farle ignorare anche a noi, sovrapponendo
continuamente alle nostre, pallide, occidue, le sue immagini fresche e lucenti di
mattino.
Sul nostro tramonto la sua alba. Dove il nostro finisce comincia infatti, chi non
lo sa? il giorno della Chiesa, il giorno liturgico il quale va da vespro a vespro,
cioè dall'Ave all'Ave, vincendo con l'immagine di una culla (la culla che
Gabriele annunzia a Maria)l'immagine della tomba, entrata a quel mancar del sole
nelle nostre menti carnali.
Come il giorno, la settimana. Il tedio della domenica, che per noi è l'ultimo
dei sette, è vinto dalla Chiesa, che da lei principia la sua hebdomada,
ricordando il primo giorno del mondo, quando Dio si pose al lavoro e fece la luce.
Come la settimana, le stagioni. Sul finir della primavera, allorché le rose
incominciano a scolorirsi e cadere, ecco Pentecoste, c'eco la Chiesa novella, fresche
e rosatele guance, ch'esce e si pone in cammino. Finisce l'estate; il sole già
comincia a freddarsi, le foglie a sverdire... No, non tristezza ma gioia, non pensieri
di tramonto ma di levata, non di morte ma di vita immortale. È il mese della
Natività. Nativitas tua, Dei Genitrix Virgo, gaudium annuntiavit universo
mundo...: «La tua nascita, o Vergine Madre di Dio,» così,
di settembre, canta la Chiesa, «è un annunzio d'allegrezza per tutto
il mondo. Da te infatti s'è levato il Sol di giustizia... che confondendo
la morte ci diè la vita senza fine». E finisce l'autunno; la notte quasi
dà la mano alla notte; la nebbia, invece del sole, segna fra l'una e l'altra
il breve distacco che ancora si chiama giorno; gli alberi, deserti e muti, goccian
sul fango ove si disfanno insieme erbe e foglie. Chi impedirà i pensieri di
morte? Chi terrà lontana la triste immagine? La Chiesa, ancora la Chiesa,
con le viole, con la liturgia del suo Avvento, sua prima stagione, sua primavera;
con l'immagine di una Donna, chiamata la Tutta Bella, che sulla morte tiene il calcagno
e ha la testa cinta di soli. Hodie egressa est virgo de radice Iesse...: «Oggi
è spuntato il pollone dalla radice di lesse; oggi, senza macchia di colpa,
è stata concepita Maria; oggi da lei fu schiacciato il capo dell'antico serpente.
Alleluia!»
Finisce l'anno. Cieco, freddoso come chi non sente e non vede più il sole,
o ne avverte appena una fioca trasparenza, vien meno il vecchio patriarca dai dodici
figli. Tutto oramai ci parla di morte... E la Chiesa, nel pieno buio di mezzanotte,
scioglie a un tratto le sue campane, accende i suo lumi e canta: Puer natus est
nobis... : «Un Fanciullo c'è nato, un Figlio, ci è stato
dato, che ha sulla spalla il suo scettro...» E san di culla, di vita, tutti
i pensieri dei credenti mentre l'anno scende nel sepolcro.
Col medesimo canto, «Un Fanciullo c'è nato», s'apre il nuovo
anno. Il fanciullo ha otto giorni e gli mettono il nome, un nome pien di promessa:
Gesù, che significa Salvatore.
A riscontro della nostra incoerenza, che vediamo un vecchio in principio e in fine,
tramonto a oriente e a occidente, sta questa coerenza della Chiesa, che in principio
e in fine pone un fanciullo, facendo così dell'anno tutto un mattino.
Ma che cos'ha sulla spalla questo Fanciullo? ...cuius imperium super humerum
eius... E che cosa richiama questo suo nome di Gesù? Lo scettro, noi lo
sappiamo, è una croce; il nome richiama un titolo sovrastante, alla croce:
Iesus Nazarenus Rex... E tuttavia questa visione non turba la serenità
natalizia, non scema la giocondità delle note che cantano: «Un Fanciullo
c'è nato, un Figlio ci è stato dato, che ha sulla spalla il suo scettro...»
Perché la croce ora non è più croce ma veramente uno scettro;
perché quel nome ora non è più a scherno e per i soli Giudei,
ma in verità e per tutti nome di re.
Re della vita: e per questo la Chiesa ignora morte o vecchiezza; per questo l'anno
è a' suoi occhi tutto un mattino.
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 165-169.