La notte di Natale, poco prima
della messa, io andai al camposanto.
Volevo passar coi morti (posso dire anch'io quel che diceva a me un giorno Angiolo
Biondi, ragionandomi che non gli rincresceva morire: «Ormai n'ho più
di là che di qua»), volevo passar coi, miei morti il primo istante del
venticinque dicembre, dare a loro la primizia degli auguri che ci si scambiano tra
vivi in quel giorno di tanta festa.
Era una candida notte díintatta luna (così bella da far pensare alla
pellegrina incinta di Betlemme, pulchra ut luna), una tacita notte piena di
espettazione. Preceduto dalla mia ombra, che spiccava, sulla neve, come se avessi
avuto alle spalle il sole, io andavo verso la solitaria casa dei morti, senz'alcun
senso di paura, quasi a una veglia in casa di amici, godendo a udire - unico suono
nell'universale attenzione - il rumor dei miei piedi che rompevano l'alta compatta
sodaglia bianca scintillante di riflessi lunari. Andavo lieto, anzichè tremante,
attraverso la neve nuova del campo in mezzo a cui è il cimitero: pensavo infatti
a una cosa bella, pensavo al pane.
Sotto la neve, pane, mi dicevo affondando i piedi nel soffice marmo sotto cui germogliava
il grano; e dal grano passavo con la mente ai morti, dal campo al camposanto. «Se
il chicco di grano caduto in terra non muore, resta infruttuoso; se invece muore...»
La neve copriva al pari del resto il breve quadro di campo chiuso fra i muriccioli,
e le tombe non si distinguevano più l'una dall'altra se non per le croci,
le rozze croci di legno che dalla neve emergevano con la sola vetta, come dal biondor
delle spighe, a giugno, emergon le croci poste fra il grano in erba il tre maggio.
Sotto la neve, pane: e vedevo i corpi dei morti, sotto la neve, in seno alla terra,
a modo di semi che aspettassero il loro tempo per tornar fuori rinnovati, glorificati,
aumentati.
Anche sant'Agostino ha visto così, ha visto la risurrezione della carne con
occhi di agricoltore, come un pullular di grani su dalla terra allorchè la
terra sarà un unico podere proprietà della morte: Sed generis humani
una in fine saeculi messis assurget: «Il genere uniano sorgerà a
fine quasi un'unica mèsse», e aggiunge l'argomento: tentatum est
experimentum in principali grano.
Perchè Cristo risuscitasse occorreva ch'egli morisse, e poichè doveva
risuscitare, poichè nasceva per risuscitare, il suo natale era come il principio
della sua pasqua e, per essa, di tutta la pasqua umana. Ora, il Natale era prossimo
e io ne portavo ai morti la gioconda notizia. Hodie scietis quia veniet Dominus
et salvabit nos, et mane videbìtis gloriam eius... Eran le parole del'introito
di quella mattina: «Oggi saprete che viene il Signore, e ci salverà,
e doman vedrete la sua gloria». «Oggi», cioè tra pochi istanti:
tra pochi minuti nascerà, ingloriosamente, colui che vi farà tutti
rinascere, che romperà le vostre tombe, che ravviverà la vostra carne,
che riempirà d'esultanza le vostre ossa umiliate; e «domani»,
al suo secondo ritorno, voi ne «vedrete», ne godrete senza fine la gloria.
I morti tacevano, sotto la neve e la terra, e mi pareva che tendessero con me l'orecchio
a un remoto alternar di passi, troncato di tanto in tanto da un breve scambio di
voci presso una porta. «... Pieno! Tutto pieno! Provate più avanti».
L'uscio si richiude, i passi si allontanan di nuovo, fino a che tre colpetti indicano
una nuova fermata. «... Mi rincresce, gente, vedo bene che ne avete bisogno,
ma anche qui è tutto occupato. Avete provato all'albergo?» L'uscio si
richiude, i passi si allontanan di nuovo, più lenti, più stanchi. «...
Tutto preso, forestieri, tutto preso fino all'ultimo bugigattolo! Eh, con questo
censimento, se non trovate posto in qualche capanna...» L'uscio sì richiude,
i passi si allontanan di nuovo, accompagnati da dei sospiri di donna, finchè
sospiri e passi si perdono dentro una grotta. È vicina la mezzanotte.
... Io ero tutto in ascolto, insieme ai morti del cimitero, ed ecco, nel gran silenzio
levarsi un canto: Christus natus est... Sotto la neve e la terra, i corpi
dei morti fremettero quasi ritornassero a vita.
Christus natus est nobis: venite, adoremus... Erano i cantori che nella chiesa
vicina davan principio ai notturni del venticinque dicembre, e fu per me come se
l'annunzio e l'invito fossero scesi dal cielo. La neve non mi ritenne ch'io non mi
gettassi in ginocchio, e il luogo non mi suggerì che parole di vita. Benedictus
Dominus Deus Israel, quia visitavit et fecit redemptionetn plebis suae... I morti
cantavano anch'essi con me il cantico di Zaccaria quando gli si sciolse la lingua:
«Benedetto il Signore Dio d'Israele, che è venuto e ha compiuto la redenzione
del suo popolo. E ha rizzato per noi un segno di salvezza nella casa di Davide suo
servo. Come annunziò per bocca di santi, suoi profeti, da antico... Come giurò
ad Abramo nostro padre... Viscere di pietà del nostro Dio, per cui l'Oriente
ci ha visitato dall'alto: per illuminare quelli che giacciono nelle tenebre e nell'ombra
di morte, per guidare i nostri passi nella via della pace...»
E guardai con pace, in un angolo del camposanto, il posto dove un giorno seppelliranno
il mio corpo... La neve che faceva tutto un candore il breve orto si confondeva ormai,
nella mia fantasia, col manto dell'angelo che sedeva sul sepolcro e disse alle donne:
«Non è qui: è risuscitato...»
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 145-149.