La festa di Natale ha tre messe:
una a mezzanotte, una all'aurora, una nel pien della luce. Tre messe, cioè
tre volte il suo Sangue a bere, il suo Corpo a mangiare, onde si sappia per prova
e fin quasi all'ebbrezza che cosa significhi per noi esser Egli nato, di quale bene
sia a noi futuro questo giorno. L'astensione dal calice, il venerdì della
sua morte, ci farà sentire più d'ogni altro argomento - più
degli altari ignudati, più dei paramenti neri, più delle campane ammutite
- che cosa sarebbe per gli uomini la sua mancanza. Contro questo amaro digiuno del
Venerdì Santo sta dunque questa dovizia di messe del venticinque dicembre.
Dovizia di messe, dovizia di gioia. Egli è nato: dall'introito all'ultimo
oremus, le tre messe non fan che ripeter questo, che cantar la nostra fortuna,
ch'esaltar le misericordie divine. Egli è nato, e l'affetto cresce, con la
confidenza, di messa in messa. Egli è nato. Chi? - Iddio -, risponde la prima.
- Il Signore, dice la seconda: Lux fulgebit hodie super nos, quia natus est nobis
Dominus... E la terza: - Un fanciullo -. Puer natus est nobis... Il popolo
non era ancor tutto entrato allorchè i cantori, con voci che parevano anch'esse
nuove, davan principio alla terza messa di Ceppo. Sulla piazzola biancheggiante di
neve, tutta stampata a suole e bullette, si spengevano allora le conversazioni e
le fume, e la loggetta rintronava delle zoccolate con cui ciascuno badava a scossarsi
dalle scarpe. per non portarla in chiesa, la fredda farina raccolta in via. ...Et
Filius datus est nobis, cuius imperium super humerum eius... I colpi all'uscio
di chiesa, aperto e lasciato andare, si facevan sempre più radi di mano in
mano che il coro avanzava nel canto... Et vocabitur nomen eius magni Consilii
Angelus. Kyrie... Il Gloria è vicino, e la chiesa è
piena; o meglio, chi voleva venire è venuto, non è più per la
strada. ... Son venute le ragazze, liete del loro vestito nuovo (giacchè,
voi lo sapete, Per Ceppo, rinnova ogni bel cesto); son venuti i bambini, gli
uomini di tutte le età, con qualche cosa anch'essi di nuovo, o almeno coi
loro panni migliori: e la chiesa gode di queste lane, di questi velluti, di tutte
queste stoffe, lucenti di freschezza, che riempiono le navate quasi in continuazione
delle sete, dei fiorami, degli ori che adornan gli altari. Non son venute le massaie.
C'erano stamani, alla seconda Messa, la meno solenne e più spiccia di tutt'e
tre, mentre gli altri di casa si godevano ancora il calduccio e il sonno nei loro
letti dopo la veglia di questa notte; e ora sono in cucina che scoprono una pentola,
scatizzano con le molle un ciocchetto, tirano indietro un tegame, caricano un girarrosto
che suona, rompono in una scodella dell'ova, stendono sulla tavola una tovaglia di
bucato... e si segnano allorchè le campane acclamano, al Gloria, Gesù
fatt'uomo, o, all'elevazione, Gesù fatto alimento e bevanda.
Al Gloria, l'immagine del «Fanciullo», ricoperta prima della messa, veniva
nuovamente svelata, e il medesimo tripudio di bronzi e di cuori, quale a mezzanotte,
accoglieva il casto parto, la sorridente apparizione... Viderunt omnes fines terrae
Salutare Dei nostri... Notum fecit Dominus Salutare suum... Dies sanctificatus illuxit
nobis... Il vangelo è di san Giovanni, capitolo primo, quello che sì
suol dire alla fine della messa e comincia con le parole In principio.
« In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo...»
Con gli occhi su quel Bambino che sembra tremar di freddo sul freddo marmo dell'altare,
è bello seguir con la mente, in cielo, l'impassibile Verbo che nasce eternamente
dal Padre come l'acqua dalla fontana, come l'odore dal fiore, come la luce dal sole...
e nasce un giorno da una donna, in una stalla, fatto carne come noi per abitare tra
noi... Tutti i ginocchi si piegano allorchè il sacerdote arriva a quel punto:
et Verbum caro factum est; omaggio che si rinnova quando, di lì a poco,
i cantori promulgano in articolo di legge, in domma da credersi, l'affermazione di
Giovanni: et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria virgine et homo factus
est... E la messa procede gloriosamente all'Ite; il sacerdote legge, coperto
dal coro che risponde in lunghe note Deo gratias l'ultimo vangelo, di san
Matteo, il popolo, col sacerdote, per la terza volta s'ìnchina, la chiesa
in breve si vuota, la piazzola torna a nereggiar di gente vestita a festa, a risuonar
dì voci contente, a odorar di fume e sigari accesi... La gioia si manifesta
anche in pallate di neve, che arrivano di sorpresa nella schiena o nel viso, e provocano
battaglie di cui tutti guadagnano perché tutti ridono scotendosi dai panni
i resti dei molli proiettili. La piazzola a poco a poco si spopola, le vie riprendono
ciò che han dato, e ogni tanto è un rumor d'usci che si richiudono
dopo un più vivo scambio di voci fra chi resta e invita e fa auguri, e chi
seguita e ringrazia e ricambia. Da ogni casa, oggi, esce odore di buono; in ogni
casa, rientrando, i ragazzi batton le mani per quel che trovano al fuoco o intravedono
in disparte. Una scaldatina alle mani, una guardata un po' a tutto, e via di corsa
a cambiarsi: il desinare è già all'ordine.
Lungo e lauto desinare di Ceppo, che comincia con la minestra e termina con gli zuccherini;
nel quale i genitori non predican tanto ai figlioli di fare a miccino col companatico,
e son larghi perfin nel mescere il vino, e c'è anche ìl vin dolce;
lungo e lieto desinare dì Ceppo, che ci si mette a tavola detto l'Angelus
e ci siamo ancora ai primi doppi del vespro; lungo e caro desinare di Ceppo, che
sì finisce, con in man l'arancia o il panforte, sotto la cappa del camino,
parlando di quelli che sono in Maremma o di là dal mare, alla macchia, e oggi
fan festa anche loro; di quelli che sono anche più lontani e non torneranno
e certo anch'essi fan festa, una festa senza paragone più bella, intorno a
quel Gesù che noi adoriamo in immagine, vediamo per fede, ed essi veggon con
gli occhi in tutta quanta la sua bellezza.
... Le campane, sebbene benevole al nostro agio, han già suonato quattro volte,
prima insieme e poi una sola; a gruppi sempre più rumorosi, la gente già
comincia a passare, e l'aria, nonostante l'ampio riflesso della neve, già
sa di vespro: è l'ora di andare.
Fa bene, prima d'entrare, imbrancarsi ancora un poco in piazzetta, dove i visi più
rossi, gli occhi più svegli, le favelle più sciolte dicon che da per
tutto, oggi, anche nelle case, è stato Natale... Se n'accorge, dalla forza
delle voci, anche il vespro, se n'accorgono i salmi, che passan alti e solenni fra
le maestose antifone natalizie. Tecum principium in die virtutis tuae, in splendoríbus
sanetorum: ex utero ante luciferum genui te. Dixit Dominus... Redemptionem misit
Dominus populo suo; mandavit in aeternum testamentum suum. Confitebor... Exortum.
est in tenebris lumes rectis corde; misericors et miserator et iustus Dominus. Beatus
vìr... Apud Dominum, misericordia et copiosa apud eum redemptio. De profundis...
De fructu ventris tui ponam super sedem tuam. Memento, Domine, David... Le voci
s'innalzano ancora, e il popolo intero risponde al coro, allorchè il prete
intona l'inno, quello medesimo di stanotte, quello del tempo natalizio che si seguiterà
a cantare fino a che non verranno i Magi:
Iesu, Redemptor omnium...
E s'inteneriscon, le voci (colpa
delle note, così teneramente umane), allorchè il prete intona e i cantori
seguitano l'ultima antifona: Hodie Christus natus est; hodie Salvator apparuit;
hodie in terra canunt Angeli, laetantur Archangeli; hodie exsultant iusti dicentes:
Gloria in excelsis Deo, alleluia!
«Oggi», «oggi », «oggi », «oggi».
«Oggi è nato Cristo; oggi è comparso il Salvatore; oggi in terra
cantano gli angeli, fanno festa gli arcangeli; oggi i giusti esultan dicendo: Gloria
a Dio nei'cieli più alti, alleluia!» Oggi dunque il paradiso s'è
aperto; oggi gli angeli e gli uomini son diventati fratelli; oggi noi possiamo lodar
Dio e la nostra lode gli piace; oggi possiamo anche morire, - oggi che Cristo è
nato.
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 138-144.