Ed ecco che anche il nuovo invitatorio,
Prope est iam Dominus, "il Signore è già prossimo"
sostituito al Regem venturum fin dalla terza domenica, non basta più
all'ardor della Chiesa aspettante lo Sposo. Lo Sposo verrà domani: non più
un domani in vago senso ma esattamente "domani", ossia nel giorno che seguirà
al giorno d'oggi, prima che si rifaccia sera due volte, e il sole che si leverà
domattina troverà sulla terra una nuova creatura che sarà Lui. Verrà
stanotte, fra l'ultimo istante di questo e il primo del nuovo giorno: verrà
dunque tra meno di un giorno, verrà "oggi".
Hodie scietis quia veniet Dominus...: "Sappiate che oggi verrà
il Signore e ci salverà, e doman vedrete la sua gloria". Queste parole
si ripetono come un ritornello nelle funzioni di questo giorno: l'introito le riprende
dall'invitatorio, il graduale dall'introito, variando solo le note, che sono un crescendo
di allegrezza. Hodie... Hodie... Hodie...
Oggi nascerà dunque Gesù, oggi si riaprirà per noi il paradiso,
oggi sarà coronata l'aspettazione dell'universo. E la Chiesa rinumera, prima
che il nuovo tempo incominci, tutto il tempo trascorso, il tempo che sarà
detto "antico", il tempo che sospirò di vedere ciò che noi
vedremo "oggi". ... Tutti, nel coro, s'alzano e restano in piedi - l'atteggiamento
di chi aspetta - allorché, a Prima, il lettore prende a leggere il martirologio:
"Giorno ottavo innanzi le calende di gennaio. L'anno dalla creazione del mondo
cinquemilacentonovantanove, dal diluvio duemilanovecentocinquantasette, dalla nascita
di Abramo duemilaquindici, da Mosè e dall'uscita d'Israele dall'Egitto millecinquecentodieci,
dall'unzione di Davide re milletrentadue, nella sessantacinquesima settimana secondo
la profezia di Daniele, nell'Olimpiade centonovantaquattresima, dalla fondazione
di Roma l'anno settecentocinquantadue, dell'impero d'Ottaviano Augusto quarantaduesimo,
essendo tutto l'universo in pace, nella sesta età del mondo, Gesù Cristo,
Dio eterno, figlio dell'eterno Padre, volendo col suo misericordiosissimo avvento
consacrar questo mondo, concepito già di Spirito Santo, trascorsi dal concepimento
nove mesi, nasce, fatto uomo, in Betlemme di Giuda, da Maria vergine..."
E tutti, nel coro, s'inginocchiano, a queste parole che annunziano il compimento
dei tempi: e sono i tempi - dalla creazione ad Augusto - che s'inchinano a quell'ultimo
istante del nono mese di Maria; son le città, i popoli, gl'imperi - Israele,
la Grecia, Roma - che si ecclissano dinanzi a Betlemme, a una capanna, a una mangiatoia.
È il censimento di Dio, prima del censimento di Augusto. Roma non è
che una parte dell'impero di cui sarà investito, stanotte, il fanciullo di
Betlemme; Augusto non è che un suddito di quest'impero, il quale comprende
tutta la terra. Domini est terra et plenitudo eius...: "Del Signore è
la terra e tutto il suo contenuto", canta, quasi a conchiusione del censimento
e a consegna del regno, il versetto introitale, "suo è l'universo e suoi
son tutti quelli che l'abitano". Fissati così i confini e i sudditi,
la colletta fissa di quest'impero la durata, che sarà quella della terra,
supplicando già il Padre che ci sia alla fine benigno giudice Colui che fra
pochi istanti riceveremo redentore: ... ut Unigenitum tuum, quem Redemptorem laeti
suscipimus, venientem quoque Iudicem securi videamus... Stabilito anche questo,
il regno è pronto, il Re può comparire: l'offertorio è un grido
di araldo che lo annunzia e lo chiama: Tollite portas, principes, vestras, et
elevamini, portae aeternales, et introibit Rex gloriae: "Spalancate, o principi,
le vostre porte; porte eterne, innalzatevi, ed entrerà il Re della gloria!"
No, egli non verrà come re di gloria; nessun principe gli spalancherà
le sue porte, e al pubblico albergo gli diranno: non c'è posto. Avrà
per reggia una stalla, per stanza una greppia, per letto dell'erba secca. Non verrà
da re, non verrà in gloria, egli che viene per riparare. Per l'orgoglio di
chi si ribellò a Dio, verrà da suddito a segnarsi in una nota di sudditanza;
per la cupidigia di chi volle levarsi alla pari di Dio, verrà da povero ad
abitare col bove e l'asino.
Il dolore divino da cui nascerà domani la nostra gioia, l'ignominia di Gesù,
prezzo della nostra gloria, ha come un presagio e un inizio oggi, nel dolore e nell'ignominia
della Madre, della nuova Eva riparatrice dell'antica. Maria - è il vangelo,
triste, di questa giubilante vigilia: nuvola diaccia e scura nel cielo azzurro di
un bel giorno - Maria, la senza macchia, è sospettata di peccato: Cum esset
desponsata mater Iesu, Maria, Ioseph, antequam convenirent, inventa est in utero
habens de Spiritu Sancto. Ioseph autem, vir eius, cum esset iustus et nollet am traducere,
voluit occulte dimittere eam... Ma non è che una nuvola. L'angelo che
rasserena Giuseppe rasserena con le sue parole anche noi, rifacendo piena la nostra
gioia: "Essa partorirà un figlio, e gli porrai nome Gesù".
Gesù, che significa Salvatore. E il vangelo ci riporta al graduale,
all'introito, all'invitatorio: "Sappiate che oggi verrà il Signore e
ci salverà..."
"Oggi", cioè fra meno di un giorno: allorché la prossima
notte sarà giunta a metà.
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 120-123.