Han dato a san Tommaso il ventun
dicembre: il giorno più corto dell'anno, il più povero di luce, di
sole, più scarso di visibilità, a lui che non credeva se non vedeva.
Han dato a san Tommaso l'Avvento, che Cristo non è neppur nato, non è
che una speranza, un'impalpabile speranza, a lui che non credeva se non toccava.
Han dato a san Tommaso l'inverno, la stagione della morte, a lui che non credeva
nella risurrezione.
Perché han fatto questo a san Tommaso? Forse per noi? per incoraggiar noi
a credere. noi che non abbiamo ancor visto, col rammentarci le parole dette a lui
da Cristo: «Beati quelli che han creduto senza vedere»?
Perché han fatto questo a san Tommaso? Forse per lui? perché risarcisse,
perché la sua stessa festa, questo buio, gelido ventun dicembre, fosse una
riparazion del peccato ch'egli commise contro la Luce?
Tutta la sua vita, dopo ch'egli ebbe visto e toccato, fu una riparazione. Non aveva
creduto ó e predicò la fede. Aveva detto a Cristo: «Noi non sappiamo
dove tu vada, non conosciamo la via» - e andò fra i popoli più
lontani da Cristo, fra i Parti, i Medi, ì Persiani, gl'Ircani, i Battriani,
gl'Indi, a insegnar loro la via di Cristo. Alle sue parole gl'increduli diventavan
credenti ó e questo stesso, che doveva esser la sua gloria, era per lui umiliazione:
umiliazione che altri credessero senz'aver visto, credessero alle parole di lui,
mentr'egli non aveva creduto alle parole di Cristo: «Dopo tre giorni io risusciterò».
Tre re gli chiesero il battesimo ó ed egli arrossì versando sulle loro
teste l'acqua del regno di Cristo. A loro infatti la luce di una stella era stata
sufficiente perché credessero in Cristo, né, andati a visitarlo, essi
si eran fatti scandalo di trovarlo in una stalla, dentro una greppia ó mentr'egli
aveva cessato di credere dopo mille miracoli di Cristo stesso facendosi scandalo
di una croce da Cristo non meno dolorosamente patita che sicuramente profetizzata.
Tutto, per diritto o per rovescio, ricorda a Tommaso il suo peccato. Egli può
astenersi dal predicare e dal battezzare, può astenersi a quando a quando
dal far l'apostolo per tornare al suo mestiere di muratore ó e il mestiere
stesso gli rammenta la sua incredulità. Quella cantonata sembra, all'occhio,
precisa, ma il muratore non può credervi se non la prova con la squadra ó
quel muro sembra diritto, ma il muratore vuole assicurarsene col filo a piombo; quella
soglia sembra pari, ma il muratore non n'è convinto se non vi applica la livella.
Il muratore Tommaso accosta dunque la squadra, cala il piombo, poggia la livella
ó e le mani gli tremano, ché gli par di toccare, invece di sassi, il
corpo risuscitato di Cristo: gli par che la cantonata, il muro, la soglia gli parlino:
«Metti qua il tuo ditoÖ avvicina la tua manoÖ e non essere incredulo».
Anche la morte rammenta a Tommaso la sua incredulità, e lei sola è
pietosa, lei sola gliela rammenta senza umiliarlo.
L'han condannato ó per la sua fermezza nel credere e nel voler far credere
cose che non si posson vedere né si posson toccare ó l'han condannato
dunque a morire e a morire per frecceÖ Scoccate una dietro l'altra dall'arco,
le frecce si configgono nel suo corpo, e Tommaso sorride, a ogni nuova punta che
giunge maggiormente sorride. - Venite, o punte benedette, piantatevi nelle mie carni,
frugate le mie, mani e i miei piedi, addentratevi nel mio petto. Quel che voi fate
a me io lo feci già, con le mie dita, al mio Maestro, e voi sole potete farmi
scordare, vo sole risarcire ciò che io feci... - Così prega Tommaso,
e le frecce s'infittiscono sul suo corpoÖ Eccone ancor una, la più bramata,
una freccia sul cuore, e Tommaso si addormenta, sorridente, tranquillo, come chi
non ha rimorsi nell'anima o li ha tutti cancellati e scordati.
Anche il Maestro s'è scordato dell'incredulità del discepolo per ricordarsi
solo del suo amore.
Fu lui, il Gemello, che disse, quando il Maestro risolse di avvicinarsi a Gerusalemme:
«Andiamo e moriamo tutti con lui». ... Chiamandolo in questo ventun dicembre,
alla vigilia del suo Natale, il Maestro par che gli dica: «Vieni a nascer con
me».
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 116-119.