IL PANE SOTTO LA NEVE
XV - NEL MEZZO DEL CAMMINO

«Rallegratevi nel Signore; io ve lo ripeto: rallegratevi»: Gaudete in Domino semper; iterum dico: gaudete… La messa di stamani comincia così. E non è solo l'introito a intimar l'allegrezza: le vesti stesse del sacerdote, il velo che copre il tabernacolo, stamani dicon: gaudete! Sulla neve del camice, come sul marmo del ciborio, stamani son fiorite le rose: il loro lieto colore si è sovrapposto al mesto colore delle viole, usato fin qui. L'organo, muto da due settimane, oggi ha ritrovato la voce, e la spande a fiotti per le navate, rifluendo dì continuo verso l'altare a impregnarsi di gioia sulle pagine del messale... Che cos'ha di nuovo, di diverso dall'altre questa domenica d'Avvento? Nulla se non che di quattro essa è la terza: e significa che il cammino è già al mezzo; che la notte tende già all'alba; che il Salvatore sta per venire.
Prope est iam, Dominus: venite, adoremus: «Già il Signore è vicino: venite, adoriamo!»
Anche il versetto invitatoriale da stamani è cambiato: non più «il Re venturo» ma «il Signore già prossimo»; e i salmi e le lezioni e i responsori hanno un cuore nuovo, una gioia trepida, un sapore di sabato, che dice, meglio del calendario, l'imminenza della Venuta.
Il versetto dell'introito, nell'èmpito dell'allegrezza per l'imminenza della Venuta, canta all'Atteso come se già fosse giunto, già avesse compiuto l'opera del suo amore: Benedixisti, Domine, terram tuam; avertisti captivitatem Iacob: «Tu hai benedetto, Signore, la terra ch'è tua; hai richiamato Giacobbe dalla sua schiavitù». E anche il vangelo, come quello della domenica scorsa e sua continuazione ideale, ci porta al colmo dei tempi, nella luce, sebbene velata, del Cristo presente... Era Giovanni, il profeta, l'«angelo», che mandava al Cristo i suoi ambasciatori per chiedergli: «Sei tu, o dobbiamo aspettare un altro?» E oggi son gli uomini, i Giudei, che mandano ambasciatori a Giovanni con la stessa domanda: «Sei tu?» Gesù risponde a Giovanni con le opere (certo il modo migliore per fargli intendere che è il Cristo): «I ciechi veggono, gli zoppi camminano, i lebbrosi guariscono, i sordi sentono, i morti risuscitano…» Giovanni tutto all'opposto (e quale modo migliore per far intender che non è il Cristo?) risponde: «Io sono una voce». Ma è una voce operosa, una voce che grida di addirizzar la strada al Signore; e soggiunge: «C’è in mezzo a voi uno che voi non conoscete». Quest’«uno» è il Cristo.

Cristo è già in mezzo agli uomini, e gli uomini devon preparargli la via: come si accordati le due cose? di quale presenza Cristo è presente, e qual è la via da preparargli? Giovanni lo ha detto: Gesù è in mezzo a noi, ma noi non lo conosciamo; è in mezzo agli uomini ma non nel cuore degli uomini: la via del cuore, la via storta del nostro cuore, è giustappunto la via ch'egli deve ancora percorrere, la via che gli dobbiamo appianare; il nostro battesimo noti pare ancora quello del Cristo, il rosso, il caldo battesirno del patto nuovo, ma piuttosto quel di Giovanni, esterno, freddo, incolore: «E gli domandarono: – Allora perché battezzi se noti sei il Cristo…? – Giovanni rispose: E’ vero: io battezzo nell'acqua…–»

Da duemila anni Cristo è in mezzo agli uomini, e gli uomini, troppi degli uomini, di quelli stessi che hanno nome da lui, non lo conoscono: il loro cuore n'è distante forse più che non ne fossero distanti gli uomini di cui celebriamo oggi i sospiri, oggi terza domenica dell'Avvento, che ci riporta a duemila anni innanzi di Cristo. Perciò la Chiesa, continuatrice di Giovanni, non cessa di ripetere il grido di Giovanni: «Addirizzate la via al Signore»; e lo ripete coi sensi della sua liturgia, col riporci dinanzi la nostra antica rovina, che ci fece acquistar la morte e perdere il cielo; col ripresentarci le lacrime, le suppliche, le speranze dei nostri antenati, i patriarchi, le ardenti certezze dei profeti, il grande anelito di tutta l'umanità prenata al parto di Maria.
Questo è, per noi nati dopo, il significato dell'Avvento. Da duemila anni la Vergine ha partorito, il Cristo non è più aspettato da noi – ma è il Cristo che aspetta noi, che aspetta tutti noi come tutta l'umanità aspettò lui; è il Cristo che quasi chiede d'esser «redento», e la Chiesa è la «vergine» che deve soddisfare l'«aspettazione» del Cristo, che, a questo fine, ripassa nella sua mente, rivive col desiderio, tutta la voglia dell'umanità antica onde trasmetterla nei suoi figli.
Questo doppio aspetto dell'Avvento – rimemorazione e attraimento – concilia l'esteriore contrasto, l'apparente contraddizione di certe parti liturgiche; spiega come si possa, in una medesima messa (quella, poniamo, di stamani), ora (introito) eccitare i cuori alla gioia per la prossimità del Signore, ora (versetto) lodare il Signore come già venuto, poi (graduale) di nuovo supplicarlo che venga, e di nuovo (offertorio) ringraziarlo d'aver compiuto le sue promesse: infine (postcommunio) pregar lui stesso, l'Atteso, grazie al suo corpo or mangiato e al suo sangue or bevuto di prepararci alle feste della sua Venuta: Imploramus, Domine, clementiam tuam…: «Scongiuriamo, Signore, la tua clemenza affinché i divini sussidi or da noi ricevuti ci preparino, abolendo i nostri peccati, alle feste venture…»
I nostri peccati. Son essi che c'impediscono di riconoscere il Cristo già in mezzo a noi; son essi che impediscono al Cristo di penetrar nel nostro cuore e far piena la nostra gioia; che costringeranno la Chiesa a riprendere i bruni abiti e le meste parole della penitenza, dopo questa rosea domenica che ha nome Gaudete.


Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2, pp. 94-98.


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