«Rallegratevi nel Signore; io ve
lo ripeto: rallegratevi»: Gaudete in Domino semper; iterum dico: gaudete…
La messa di stamani comincia così. E non è solo l'introito a intimar
l'allegrezza: le vesti stesse del sacerdote, il velo che copre il tabernacolo, stamani
dicon: gaudete! Sulla neve del camice, come sul marmo del ciborio, stamani
son fiorite le rose: il loro lieto colore si è sovrapposto al mesto colore
delle viole, usato fin qui. L'organo, muto da due settimane, oggi ha ritrovato la
voce, e la spande a fiotti per le navate, rifluendo dì continuo verso l'altare
a impregnarsi di gioia sulle pagine del messale... Che cos'ha di nuovo, di diverso
dall'altre questa domenica d'Avvento? Nulla se non che di quattro essa è la
terza: e significa che il cammino è già al mezzo; che la notte tende
già all'alba; che il Salvatore sta per venire.
Prope est iam, Dominus: venite, adoremus: «Già il Signore è
vicino: venite, adoriamo!»
Anche il versetto invitatoriale da stamani è cambiato: non più «il
Re venturo» ma «il Signore già prossimo»; e i salmi e le
lezioni e i responsori hanno un cuore nuovo, una gioia trepida, un sapore di sabato,
che dice, meglio del calendario, l'imminenza della Venuta.
Il versetto dell'introito, nell'èmpito dell'allegrezza per l'imminenza della
Venuta, canta all'Atteso come se già fosse giunto, già avesse compiuto
l'opera del suo amore: Benedixisti, Domine, terram tuam; avertisti captivitatem
Iacob: «Tu hai benedetto, Signore, la terra ch'è tua; hai richiamato
Giacobbe dalla sua schiavitù». E anche il vangelo, come quello della
domenica scorsa e sua continuazione ideale, ci porta al colmo dei tempi, nella luce,
sebbene velata, del Cristo presente... Era Giovanni, il profeta, l'«angelo»,
che mandava al Cristo i suoi ambasciatori per chiedergli: «Sei tu, o dobbiamo
aspettare un altro?» E oggi son gli uomini, i Giudei, che mandano ambasciatori
a Giovanni con la stessa domanda: «Sei tu?» Gesù risponde a Giovanni
con le opere (certo il modo migliore per fargli intendere che è il Cristo):
«I ciechi veggono, gli zoppi camminano, i lebbrosi guariscono, i sordi sentono,
i morti risuscitano…» Giovanni tutto all'opposto (e quale modo migliore per
far intender che non è il Cristo?) risponde: «Io sono una voce».
Ma è una voce operosa, una voce che grida di addirizzar la strada al Signore;
e soggiunge: «C’è in mezzo a voi uno che voi non conoscete». Quest’«uno»
è il Cristo.
Cristo è già in mezzo agli uomini, e gli uomini devon preparargli la
via: come si accordati le due cose? di quale presenza Cristo è presente, e
qual è la via da preparargli? Giovanni lo ha detto: Gesù è in
mezzo a noi, ma noi non lo conosciamo; è in mezzo agli uomini ma non nel cuore
degli uomini: la via del cuore, la via storta del nostro cuore, è giustappunto
la via ch'egli deve ancora percorrere, la via che gli dobbiamo appianare; il nostro
battesimo noti pare ancora quello del Cristo, il rosso, il caldo battesirno del patto
nuovo, ma piuttosto quel di Giovanni, esterno, freddo, incolore: «E gli domandarono:
– Allora perché battezzi se noti sei il Cristo…? – Giovanni rispose: E’ vero:
io battezzo nell'acqua…–»
Da duemila anni Cristo è in mezzo agli uomini, e gli uomini, troppi degli
uomini, di quelli stessi che hanno nome da lui, non lo conoscono: il loro cuore n'è
distante forse più che non ne fossero distanti gli uomini di cui celebriamo
oggi i sospiri, oggi terza domenica dell'Avvento, che ci riporta a duemila anni innanzi
di Cristo. Perciò la Chiesa, continuatrice di Giovanni, non cessa di ripetere
il grido di Giovanni: «Addirizzate la via al Signore»; e lo ripete coi
sensi della sua liturgia, col riporci dinanzi la nostra antica rovina, che ci fece
acquistar la morte e perdere il cielo; col ripresentarci le lacrime, le suppliche,
le speranze dei nostri antenati, i patriarchi, le ardenti certezze dei profeti, il
grande anelito di tutta l'umanità prenata al parto di Maria.
Questo è, per noi nati dopo, il significato dell'Avvento. Da duemila anni
la Vergine ha partorito, il Cristo non è più aspettato da noi – ma
è il Cristo che aspetta noi, che aspetta tutti noi come tutta l'umanità
aspettò lui; è il Cristo che quasi chiede d'esser «redento»,
e la Chiesa è la «vergine» che deve soddisfare l'«aspettazione»
del Cristo, che, a questo fine, ripassa nella sua mente, rivive col desiderio, tutta
la voglia dell'umanità antica onde trasmetterla nei suoi figli.
Questo doppio aspetto dell'Avvento – rimemorazione e attraimento – concilia l'esteriore
contrasto, l'apparente contraddizione di certe parti liturgiche; spiega come si possa,
in una medesima messa (quella, poniamo, di stamani), ora (introito) eccitare i cuori
alla gioia per la prossimità del Signore, ora (versetto) lodare il Signore
come già venuto, poi (graduale) di nuovo supplicarlo che venga, e di nuovo
(offertorio) ringraziarlo d'aver compiuto le sue promesse: infine (postcommunio)
pregar lui stesso, l'Atteso, grazie al suo corpo or mangiato e al suo sangue or bevuto
di prepararci alle feste della sua Venuta: Imploramus, Domine, clementiam tuam…:
«Scongiuriamo, Signore, la tua clemenza affinché i divini sussidi or
da noi ricevuti ci preparino, abolendo i nostri peccati, alle feste venture…»
I nostri peccati. Son essi che c'impediscono di riconoscere il Cristo già
in mezzo a noi; son essi che impediscono al Cristo di penetrar nel nostro cuore e
far piena la nostra gioia; che costringeranno la Chiesa a riprendere i bruni abiti
e le meste parole della penitenza, dopo questa rosea domenica che ha nome Gaudete.
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 94-98.