Il primo che le cantò fu Prudenzio, per una fanciulla di dodici anni che la Chiesa loda, vergine e martire, il dodici dicembre:
Carpite purpureas violas,
Non caret bis genialis hyems,
Laxat et arva tepens glacies,
Floribus ut cumulet calathos:
« Coglietele purpuree viole... giacchè l'inverno, il freddo inverno, ne ha. Il tepor del sole permette ai gelidi campi di ricolmarne i vostri cestelli». L'ultimo, e le cantò per il proprio cuore, invocando anche a lui un po' del tepore che fa nascere i fiori, fu Pascoli:
- D'onde, o vecchina, queste violette
serene come un lontanar di monti
nel puro occaso? Poi che il gelo ha strette
tutte le fonti;
il gelo brucia dalle stelle, o nonna,
ogni foglia, ogni radica, ogni zolla.
- Tiepida, sappi, lungo la Corsonna
geme una polla.
Là noi sciacquiamo il candido bucato
nell'onda calda in mezzo a nevi e brine;
e il poggio è pieno di viole...
Come i campi, come il poggio,
anche la Chiesa, col dicembre, s'è rivestita di viole: viole all'altare, nel
paliotto e sul conopeo; viole nei paramenti, pianeta, velo, piviale: viole dovunque:
color violaceus... Che cosa vuol significare la Chiesa con tutte queste viole?
Quale divino tepore le ha fatte fiorire?
«Sembra che, avendo al suo servizio tutte le grandezze della poesia per esprimer
la grandezza di tutte le verità, la Chiesa abbia combinato, nella sua mente
profonda, l'effetto delle sue cerimonie con l'effetto della natura e delle stagioni...
A questo punto dell'anno, essa estingue la porpora nel viola dei suoi paramenti,
segno della gravità delle sue speranze». Così si spiega un poeta,
Barbey d'Aurevilly, la scelta che la Chiesa ha fatto della viola per rivestirsene
nell'Avvento.
Tempo di speranze, l'Avvento, e di gravi speranze. Speranze nella venuta misericordiosa
di un Dio, il quale se verrà ora a redimere tornerà pure a giudicare,
a chieder conto della sua prima venuta. L'uomo può infatti frustrare, in.
dividualmente, la venuta di Cristo; può respinger Cristo da sè, come
quelli di Betlemme lo respinsero nascituro dalle loro case. Il potere ch'è
in Cristo di riconciliar Dio a tutti gli uomini non implica quello di riconciliar
tutti gli uomini a Dio. Per questo, Cristo tornerà una seconda volta - e nessuno
potrà frustrare la sua seconda venuta. Tempo dunque di gioia, l'Avvento, e
tempo di penitenza, secondo il grido di Giovanni: Poenitentiam agite: appropinquavit
enim regnum coelorum. Il regno dei cieli è vicino, fate dunque penitenza:
togliete cioè, dal vostro spirito, dal vostro cuore, dai vostri sensi, gli
ostacoli che potrebbero impedirgli di entrare in voi; mondatevi, mettetevi a nuovo,
apritegli tutte leporte dell'anima e aspettatelo in amorosa preghiera, in composta
letizia.
La gioia dell'Avvento, di questo tempo di vigilia, somiglia, per questo suo temperamento
di penitenza preparatoria, alla gioia del sabato: gioia di attesa, gioia laboriosa,
gioia del colono che si sforza di finire il suo campo, gioia dell'artigiano che s'industria
di pareggiarsi col suo lavoro, gioia della massaia che spazza tutta la sua casa,
che lava e assetta tutti i suoi panni, che rifornisce di pane nuovo la sua madia.
Fratres, scientes quia... proprior est nostra salus... abiiciamus opera tenebrarum
et induamur arma lucis. Sicut in die honeste ambulemus: non in conwssationibus et
ebrietatibus, non in cubilibus et, impudicitiis, non in contentione et aemulatione...
Così, nell'epistola del primo giorno, la Chiesa insegna come dev'esser
la gioia dell'aspettazione avventizia: «Fratelli, sapendo che la salvezza nostra
è vicina, gettiamo via le opere delle tenebre e rivestiamo l'armi della luce.
Camminiamo onestamente, come in pieno dì, non in crapule e ubriachezze, non
in mollezze e impudicizie, non in litigi e rivalità...»
Il divieto delle nozze, l'astensione dal Gloria e dall'Ite nella Messa,
dal Te Deum nell'Ufizio, dalla dalmatica e dalla tunica nei paramenti, il
silenzio dell'organo, durante tutto questo tempo, dicono tacitamente com'esso sia
tempo di penitenza - mentre l'uso e la frequenza dell'alleluia e la libertà
della mensa dicono com'esso sia pure, e prima di tutto, tempo di gioia.
Di una gioia, diciamo dunque, simile a quella che dànno, ove i nostri occhi
le incontrino, le viole d'inverno: una gioia temperata dal freddo e dalla nudezza
della stagione, e da questo stesso resa, intimamente, più dolce, come un primo
segno e una caparra della primavera che sicuramente verrà con tutta la sua
opulenza di sole, di fiori, di vita; una gioia imperfetta, tiepida, come il battesimo
del Precursore, «io vi battezzo con l'acqua», pegno però di gioia
perfetta, ardente, come il battesimo che il Precursore annunziava: «Viene Colui
ch'è più forte di me... e vi battezzerà con lo Spirito Santo
e col fuoco».
La Chiesa, che delle viole, di questo primo germoglio, ha dato il colore alle sue
vesti, sembra voglia anche con esso ripetere la sua grande, la sua continua preghiera
di questi giorni: Aperiatur terra et germinet Salvatorem: «La terra
s'apra e germini il Salvatore!»
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 89-93.