Col primo giorno dell'Avvento, che arretra
il nostro pensiero al primo giorno del mondo, s'apre, d'accordo con l'anno agreste,
l'anno cattolico — il quale si chiuderà la ventiquattresima domenica dopo
la Pentecoste con la rappresentazione del giorno finale. È il Tempo che glorifica,
mediante la Chiesa, l'Eternità, è l'Eternità che santifica,
mediante la Chiesa, il Tempo.
Ma già in questo suo capodanno, che ci riporta per modo di dire in seno a
Eva, la Chiesa affaccia alla nostra mente la visione del giorno ultimo — ultimo del
suo calendario e, in immagine, del mondo — facendo, in un medesimo rito, risuonar
quasi insieme le implorazioni al Cristo venturo dell'umanità or ora estratta
dal fango (vedi l'introito) e le trombe degli angeli che annunziano all'umanità
già tutta reversa in polvere il Cristo tornante a risuscitare e eternare (vedi
il vangelo). È una scorsa rapida, fulminea, da un capo all'altro del tempo
(raffigurato nello spazio di un anno), è quasi una misurazione, simultanea,
del tempo, che la Chiesa compie onde stabilir che Cristo è il centro del tempo
(spes atque centrum temporum, come gli canterà nella festa della sua
Regalità), ed è anche una visione preliminare di tutto l'itinerario
liturgico, che la Chiesa si offre onde prescriversi le tappe e animarsi, considerando
la meta, a lietamente percorrerle.
Regem venturum Dominum, venite, adoremus: «Il Re venturo Signore, venite,
adoriamo». È l'invitatorio, il tema dell'Avvento, di questo primo tratto
del cammino liturgico che dura quattro settimane e ricorda quattromila anni, quanti
ne corsero dalla Creazione all'Incarnazione, dalla caduta dell'uomo alla discesa
di Dio, dal Vae all'Ave.
Vae genti peccatrici, populo gravi iniquitate, semini nequam, filiis sceleratis:
«Guai alla stirpe peccatrice, al popolo carico d'iniquità, alla razza
malvagia, ai figli scellerati!» È il Signore che parla, per bocca d'Isaia,
il gran profeta dell'Avvento, fra le tenebre di questo primo mattino — e il peccato
materno e la condanna divina ci ritornano a mente già in quel Vae ch'è
la deformazione di Eva.
Passiamo dalla mattina alla sera, dal mattutino al vespro, dal principio al termine
di questa giornata, fatta a immagine come di tutto l'anno liturgico così e
di tutto l'Avvento, ed ecco: Ne timeas, Maria, invenisti enim gratiam apud Dominum:
ecce concipies et paries Filium… È l'Ave, l'invertimento, la «conversione»
di Eva, l'annunzio dell'imminente perdono: «Non aver paura, Maria! hai trovato
grazia presso il Signore: ecco che tu concepirai e partorirai un Figlio». Il
desiderio di questo Figlio, umano e divino, terrestre e celeste, che riconcilierà
l'uomo a Dio, che riunirà al cielo la terra, riempie di sospiri, d'invocazioni,
di gridi lo spazio fra il Vae e l'Ave, raffigurato nell'Avvento e,
in germe, nel primo giorno dell'Avvento.
«A te ho innalzato l'anima mia», geme l'introito, «Dio mio, in
te confido e non avrò da arrossire: i miei nemici non rideranno di me. No,
non resteranno confusi quei che t'aspettano... Signore, mostrami le tue vie, insegnami
le tue scorcitoie...» Ai nove eleison, «abbi pietà»,
che qui suonano o «manda!» o «vieni!» secondo che si accompagnano
a Kyrie o a Christe, non segue il Gloria, né oggi né
più fino alla messa di quella notte in cui fu intonato dagli angeli; e questa
stessa privazione, accrescendo la sete, cresce l'ardore della preghiera. La colletta
è un grido forte al Signore: «Sveglia, Signore, la tua potenza, e vieni!»
E subito l'epistola a svegliar gli uomini che si preparino, che s'alzino, che si
vestano a nuovo, come se l'Atteso fosse ormai a passi per arrivare: «Fratelli,
e non lo sapete? è l'ora di alzarsi. La nostra salvezza è qui per giungere...
La notte sta per andarsene e il giorno è imminente. Via dunque l'opera delle
tenebre... e rivestitevi di Gesù Cristo».
«Rivestitevi di Gesù Cristo», cioè: ricevete la redenzione.
Il primo vestito fu di foglie, e fu la confessione del peccato; il secondo, fatto
da Dio, fu di pelli, e fu il vestito della pena; ecco che Dio medesimo sta per farsi
vestito, e sarà il vestito della grazia: induimini Dominum Iesum Christum.
Il graduale ripete le speranze e le suppliche dell'introito: Universi qui te exspectant
non confundentur, Domine. Vias tuas, Domine, demonstra mihi, et semitas tuas edoce
me; due gridi di gioia, alleluia, alleluia, e di nuovo il gemito della preghiera:
«Signore, mostraci la tua misericordia; Signore, mandaci la tua salvezza...»
Dal vangelo, di Luca, una voce risponde: «Guardate, alzate la testa: la vostra
redenzione è vicina… Vedete il fico e gli altri alberi: allorché cominciano
a spargere...» Anziché spargere, ora le piante vanno ignudandosi di
quel che sospinse ai rami la linfosa stagione; ma sotto le foglie che tornan terra
il grano germoglia, e questa simultaneità di vita e di morte, questa contemporaneità
di principio e di fine ripete in immagine il vangelo, che parla insieme e di redenzione
e di giudizio.
L'offertorio riecheggia ancora l'introito: Ad te levavi animam meam: Deus meus,
in te confido, non erubescam: neque irrideant me inimici mei: etenim universi qui
te exspectant non confundentur. Il communio canta le origini, celeste
e terrestre, divina e umana, dell'Aspettato: «Il Signore darà la
benignità, e la nostra terra darà il suo frutto»; cioè:
il Signore manderà il suo Verbo, e Maria, la «nostra» Maria, lo
vestirà di carne, lo farà uomo come noi. Il postcommunio implora
dalla misericordia divina ciò che l'epistola chiedeva alla nostra pochezza:
Suscipiamus, Domine, misericordiam tuam in medio templi tui, ut reparationis nostrae
ventura solemnia congruis honoribus praecedamus,… «affinchè co'
dovuti onori ci prepariamo alla festa ventura della nostra riparazione».
La messa termina col consueto vangelo di san Giovanni, che ben s'addice a questo
giorno e a questo tempo; con quel vertiginoso vangelo del primo capitolo, che parte
dal fiat di Dio e cala con ali d'aquila al fiat di Maria: In principio
erat Verbum... et Verbum caro factum est.
Il vespro è tutto un alternarsi di veniet e di alleluia, tutto
uno sfogo di gioia che ritorna al fine in preghiera terminando col primo oremus della
mattina: Excita, Domine, potentiam tuam, et veni… La grande preghiera dell'Avvento,
il ristretto di quattromila anni di preghiere, di sacrifizi, di lacrime: «Vieni!»
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 22-27.