Il cuore, infatti, ha ragioni
- diremo parafrasando Pascal - più forti o più suasive che la ragione
non abbia, e la bellezza è di queste. Amor, che a nullo amato amar perdona...
e dal cuore, prima che dalla ragione, è sorto il grido d'angoscia per il latrocinio
di cui la Messa è stata oggetto, sorta la supplica a Chi può perché
ci sia restituita, come ci è stato restituito il capolavoro che un folle aveva,
a colpi di martello, mutilato e sfigurato, in San Pietro, nel conato di distruggerlo.
Quella del Madiran non è che una delle più recenti e accorate fra le
implorazioni che l'amore ferito ha levato in alto: «Santissimo Padre, rendeteci
la Messa cattolica tradizionale, latina e gregoriana, secondo il Messale di san Pio
V. Si dice che sareste stato Voi a interdirla, il che è assurdo, perché
nessun Pontefice potrebbe, senz'abuso di potere, colpire d'interdizione il rito millenario
della Chiesa, canonizzato dal Concilio di Trento. Ma, vero o no che ciò sia,
che sia stato col vostro o contro il vostro consenso che la Messa tradizionale ci
è stata tolta, a grado a grado, sotto il vostro pontificato, ciò non
importa: ciò che importa è che Voi, Santissimo Padre, ce la rendiate.
Voi lo potete e i vostri figli lo reclaman da Voi...»
Le ragioni del cuore sono quelle, precipuamente, che in difesa della Messa
fanno schierar - senza invito e pur contro invito - laici d'ogni categoria, di chiaro
e di oscuro nome, competenti o come me incompetenti di teologia, unicordi, in questo,
coi tanti fedeli di nessun nome e di molta fede (quella che una volta si definiva,
ammirando, «la fede del carbonaio»), per i quali il latino non era il
«diaframma» ma il velo, ma la sacra nube che circonfulge il divino, e
averlo tolto è quasi un aver presunto di penetrare l'impenetrabile, di squarciare
il mistero. «Il testo splendido della Messa latina», così Luigi
Dalla Piccola, il musicista, «è il risultato di secoli di meditazione
e latino doveva rimanere. Mia madre non sapeva il latino, ma è stata sempre
in grado per la sua fede di seguire la cerimonia»; e Mario Luzi, il poeta:
«Per chi non ha senso religioso la messa latina è tutt'al più
una splendida forma rituale che insieme ad altre forme, come il canto gregoriano,
costituiscono una tradizione da non disperdere. Ma chi ha senso religioso sa che
il linguaggio della messa non è parafrasabile in nessun altro linguaggio...
Non nego che abbiano avuto un certo peso nella mia adesione l'estetica, il sentimento,
il génie du christianisme, insomma. Ma dovrei vergognarmene?»
E Giacomo Devoto, il filologo: «I simboli che la lingua liturgica impersona
sono due: l'universalità, l'eternità. Essa afferma che in qualsiasi
parte del mondo la formula religiosa è la stessa, sia intelligibile o meno,
sia pronunciata correttamente o meno. Nel fluire del tempo poi, mentre tutto muta,
la formula religiosa rimane... Essa è un atto di fede...»
Aggiungiamo a queste testimonianze ciò che Giovanni Mosca, con la sua lepida
penna, scriveva sul Corriere della Sera confrontando testi e traduzioni...
Si tratta, ancora, delle ragioni del cuore, della bellezza, e fa al caso quel
minimo, quel «discorde accento» che basta, secondo Leopardi, a guastare,
a «tornare in nulla», la più bella armonia.
«Per quale ragione», Mosca si chiede, «sembra che Orate, fratres,
scenda più dolce al cuore che «Pregate, o fratelli?» Perché
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sàbahot è più
grandioso ed esaltante di «Santo, santo, santo è il Signore Dio dell'universo?»
Credo dipenda dal pacifismo della traduzione italiana che non ha osato conservare
all'ebraico Sàbahot il significato di eserciti, Troppo bellicoso.
Liturgia guerrafondaia. Per cui lo splendido «Signore Dio degli eserciti»
(eserciti d'angeli, beninteso) è stato sacrificato». E prevedendo, per
chi ci bada, il sorriso di chi non bada a queste farfalle sotto l'arco della nuova
Messa (farfalle, inezie cui sicuramente non bada il «Signore Dio dell'universo»),
sorride e sèguita: «Io sono tra questi buffi e commoventi nostalgici.
Mi sembra di esprimergli più sentitamente e profondamente la mia riconoscenza
dicendo Deo gratias che non usando l'ampolloso e ginnasiale "Siano rese
grazie a Dio". Quel semplice Gloria in excelsis va più su che
non il complicato " Gloria nell'alto dei cieli ". Et iterum venturus
est iudicare vivos et mortuos mi fa più paura del " Verrà
di nuovo... " Il risonare del petto battuto tre volte dalla mano viene meglio
reso da Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa o da " Per mia colpa,
per mia colpa, per mia grandissima colpa "? Solo che senta dire Agnus Dei,
una mano invisibile mi solleva dal suolo, all'Et in terra pax hominibus bonae
voluntatis mi rivedo bambino intento a seguire voli di angeli, con Miserere
nobis dico tutte le lagrime del mio infinito bisogno di pietà, all'Ite,
missa est avverto qualche cosa di definitivo, di irreparabile, una porta che
si chiude, rimango solo, indifeso» (e che conforto, aggiungo, che gioia, nell'antica
Messa, sentire, dopo quell'Ite, che no, la porta non si era chiusa, che non
si era alla fine ma solo, ma ancora, ma sempre al principio: In principio erat
Verbum ... et Verbum erat apud Deum... et Deus erat Verbum... Finiva così,
la Messa antica; ed era come sentire il primo odore di fiori, come vedere le prime
rondini tornare sul finir di marzo).
Si dirà, per questo, che Missa est, come Mosca intitola l'articolo,
o Missa erat come l'altro, con lo stesso significato, intitola il suo? Infelici
noi, se così fosse, se il Papa non avesse risposto no, all'eresia esterna
e interna alla Chiesa, che gli chiedeva d'interdirla. Sarebbe davvero la fine della
Messa e con essa della Chiesa, secondo le assurde speranze del suo più viscerale
nemico.
È alla messa «tridentina», ante litteram, la «messa papista»,
ch'egli, Lutero, si riferisce allorché incitando ad abbattere l'odiato, il
vituperato baluardo, dice: «Quando la messa sarà stata rovesciata, io
penso che avremo rovesciato il papato: triumphata missa, puto nos totum papam
triuphare. È sulla messa, come su una roccia, che il papato interamente
si appoggia... Tutto crollerà necessariamente quando crollerà la loro
messa...» Assurde speranze, dico, purtroppo alimentate, come sappiamo, dagli
autori della «nuova messa», che hanno chiamato in aiuto, a demolire e
rifabbricate, proprio quelli, i discepoli di Lutero, che non credono nella Messa
e disprezzano coerentemente la Chiesa che la sostiene e n'è sostenuta, con
amaro stupore di un vescovo, Marcel Lefèbvre*, non per nulla a questi e a quelli ugualmente
inviso: «Ma come possiamo immaginare che dei protestanti, che non hanno la
nostra fede, siano invitati a far parte di una commissione per la riforma della nostra
Messa, del nostro sacrifizio, di ciò che noi abbiamo di più bello,
di più ricco in tutta la nostra Chiesa, l'oggetto più perfetto della
nostra fede?»
Come? È ciò che gli stessi protestanti si chiedono, chi rallegrandosi
- com'è logico, dietro quel puto nos del maestro - chi dolendosi, come
al mancar di una luce verso cui, delusi e smarriti nella giungla del «libero
esame», guardava con desiderio e speranza. «Cosa ben triste! Comincio
a scoprire le magnificenze della Messa romana, e molti altri con me, nel momento
in cui i cattolici sembrano volerle perdere». Sono di un pastore protestante
queste parole - già da noi citate - scritte a un sacerdote cattolico a proposito
della «nuova messa»: neanche «nuova», per verità -
non ne dispiaccia ai «novatori» - perché, egli dice e dimostra,
«il vostro "Novus Ordo Missae" già esisteva quasi per intero
nel Secolo dei Lumi» (la riforma liturgica era auspicata già allora,
ai propri fini, dalla massoneria) ed è così, egli aggiunge, che la
mia prima impressione nell'esaminare i nuovi formulari della Messa è stata
questa: I cattolici commettono esattamente gli errori che noi abbiamo commesso in
passato».
È noto che Lutero gode di un, ottima riputazione nella Chiesa o fra gli ecclesiastici,
meno o più alto locati, d'oggi. Per dirlo ai suoi, il cardinale Willebrands,
con tutto il da fare che aveva a Roma, è andato apposta a Evian-les-Bains,
all'Assemblea Luterana, dove ne ha fatto il panegirico presentandolo, in sintesi,
come «una persona profondamente religiosa, che con onestà e dedizione
ricercò il messaggio del Vangelo, e della quale occorre saper dare un più
corretto apprezzamento negli sforzi per ricostituire la perduta unità»:
cosa che può lasciare alquanto perplessi, anche in tempi, come il nostro,
di sconfinato «ecumenismo», chi ricordi, a mo' d'esempio, il suo ferro-e-fuoco
(da precursore di Hitler) contro gli ebrei, le sue condanne a morte dei preti che
seguitassero a dir la «messa papista», o le parole con cui (antesignano
di Stalin) invitava i principi tedeschi a liquidar la rivolta dei contadini: «Scatenatevi,
cari signori, salvateci. Trafigga, colpisca, strozzi, chiunque può farlo.
Noi viviamo in tempi così straordinari, che un principe può meritarsi
il cielo versando il sangue assai più facilmente che altri pregando»:
parole che, com'è storico, quei cari signori non intesero a sordo.
Bazzecole, queste e altre simili, che in mano all'avvocato del diavolo potrebbero
tutt'al più ritardare quella canonizzazione che alcuni sembrano desiderare,
e possiamo metter fra questi un altro pezzo grosso della Chiesa odierna, postconciliare,
quel padre Congar che del Concilio è riconosciuto «uno dei principali
ispiratori» e ha avuto le mani in pasta nella faccenda della riforma liturgica.
I titoli, secondo il celeberrimo padre, per collocar nel firmamento celeste l'uomo
di Wittenberg sono tanti e tali da offuscare, al confronto, stelle di prima grandezza,
nello stellato dei Santi, quali l'autore del De Civitate e quel della Summa,
nonché pensatori come quello delle Pensées. Sentite: «Lutero
è uno dei più grandi geni religiosi di tutta la storia. Io lo metto,
a questo riguardo, sullo stesso piano di sant'Agostino, san Tommaso d'Aquino e Pascal.
In certa maniera egli è ancora più grande. D'une certaine manière
il est encore plus grand. Egli ha ripensato tutto il cristianesimo. Lutero fu
un uomo di Chiesa...» Lo riferiscono (da Le Mond del 29 marzo passato)
Itinéraires, che pare sian di parer contrario, così commentando
fra l'altro le ultime parole: «Quanto a vedere in lui "un uomo di Chiesa"
è un pigliare in giro la gente, se moquer du mond, perché si
sa che tutta la sua opera non tende che alla demolizione della Chiesa»: la
quale, giova ripetere, poggia, secondo lui e siam d'accordo, sul papato, e il papato,
sempre d'accordo, sulla Messa (nostra, cattolica). Si può, perciò,
esser certi che Paolo VI non accoglierà i voti, non santificherà non
riabiliterà Lutero e risponderà Vade retro a chi lo tenterà
di autodemolirsi demolendo la «roccia» su cui si fonda, sacramentalmente,
il suo trono.
Resta che Lutero, resta che il nemico occupa tuttavia la «spianata»,
cingendo d'assedio la «rocca» (come propriamente definite, lo ripetiamo,
le aree della Liturgia e della Fede) all'intento di valersi di quella per la conquista
di questa e con punte e con ausiliari già dentro, già inframmessi al
presidio in funzione di persuasori, purtroppo ascoltati, di ciò che il pio
Enea narrava della sua infelice città: Dividimus muros et moenia pandimus
urbis... et monstrum infelix sacrata sistimus arce... La «messa nuova»,
«riformata», da intronizzare sull'arce detronizzando ed espellendo, interdicendo
la Messa, non sarebbe e non è, nei piani degli attaccanti, che l'ultim'atto,
l'atto conclusivo della battaglia contro la Chiesa, e poiché, come già
si è detto, è sulla spianata che la rocca si difende, che la battaglia
si decide, è d'importanza capitale che il nemico ne sia cacciato, che sulla
spianata, nella sua dolce liturgia, la Chiesa torni a festeggiar le sue sagre, tornino,
tornati al loro oggetto, i suoi cori, simile a ciò che l'esule rivedeva narrando:
Pueri circum innuptaeque puellae sacra canunt... con lacrime, d'altro ma non
dissimile genere, anche a noi non ignote.
*Il Casini scriveva queste cose prima che Mons. Lefebvre venisse
sospeso a divinis. L'amore di Tito Casini - sempre obbediente - per la Chiesa e per
l'autorità e assai distante dalle posizioni prese del presule francese negli
ultimi anni della sua vita (n.d.r.)