Noi speriamo, noi siamo certi,
della certezza che canta nei versi di una poetessa tedesca (Maria Luisa Kaschnitz,
vivente): «Sempre ci fu uno che disse: Il sole scompare! - ma sempre ci fu
uno che disse: Non abbiate paura! -» Il sole, difatti, è il sole, e
non c'è artificio, non schermo, come non c'è notte o nuvola o eclisse
che possa celarne indefinitamente la faccia. At rursus floruit renovata sempre
(che verso! e non è che prosa, latina) e già ne vediamo erompere i
primi raggi.
Erompere è la parola, se penso, per esempio, al coraggio che ci voleva
al massimo giornale cattolico (del quale ogni parola è pesata e fa autorità)
per scrivere, come ha fatto, sull'ultimo pontificale di Pasqua in piazza San Pietro:
«alla professione di fede nel Redentore risorto levatasi nella incomparabile
cornice formata dalla facciata maestosa e dal portico berniniano, si è unita
coralmente tutta l'immensa assemblea, cattolica di fede e per la sua provenienza
da ogni parte del mondo ed unita nella lingua madre propria della Chiesa. Ancora
una volta si è verificato per Roma il detto di Ovidio: Romanae spatium
est Urbis et Orbis idem».
Sembra, al cronista, una scoperta (come tutte le cose belle: come la primavera, che
pur rifiorisce ogni anno, come il sole, che pur risorge ogni mattina), questa commovente
bellezza del pregare, credenti d'«ogni parte del mondo», nell'unità
nella «lingua madre propria della Chiesa», ed è antica quanto
la Chiesa, che ripete da diciannove secoli, con san Paolo, ai suoi figli: «Vi
conceda Dio di aver fra voi lo stesso sentire, si che con un animo solo e una sola
bocca onoriate il Signore», ben sapendo come unità di labbro e unità
di mente e unità di cuore siano una cosa, e rischioso il dividere.
Può la Chiesa non tenere conto di questo, rinunziando alla sua invidiata bellezza
(«Omnis pulchritudinis forma unitas»: ce lo ricordava, con sant'Agostino,
Paolo VI), cessando di parlar co' suoi figli la «sua propria lingua»,
quand'anche le «diverse lingue» non fossero le «orribili favelle»
con cui dovrebbe barattarla?
La nostra certezza ci viene soprattutto da LEI, che noi amiamo di sconfinato amore
e preghiamo, non temendo, noi, di «eccedere», in questo, come altri s'è
preoccupato; o eccedendo con Dante, che La invocò onnipotente: «Ancor
ti prego, Regina che puoi ciò che tu vuoli»; eccedendo con Petrarca,
che le chiede, nel suo amore, licenza d'invocarla «nostra Dea»; eccedendo
con Marizoni, che ogni altrui lode compendia nella sua e conclude: «Inclita
come il Sol, terribil come Oste schierata in campo».
Electa ut Sol, terribilis ut castrorum acies... È la Chiesa che cosi
La vede e La chiama: la Chiesa che La esalta sterminatrice d'ogni errore, cunctas
haereses sola interemisti, e non dubitiamo che ciò che fu sarà ancora,
oggi e domani e sempre, per lei ch'è sua figlia.
«Madre della Chiesa» - come il Papa l'ha proclamata, inserendo nella
sua corona una nuova gemma mentre il nuovo modernismo tentava come il men nuovo di
limitarne il fulgore -, Essa non può non averne cara la lingua: quella lingua
che sul Calvario La consolò, corredentrice, proclamando Figlio di Dio il suo
Figliolo e ne portò il Vangelo nel mondo: usque ad extremum terrae.
«Noi pregheremo la Madonna, La pregheremo ancora in latino...»
Cosi il Papa, Paolo VI, quel 7 di marzo, accingendosi e invitandoci tutti a salutarla
con l'Angelus; e chi fu con la mente in cielo, sull'ali della più potente
poesia, così La sentì salutar dall'Angelo stesso:
«E quell'amor che primo li discese,
cantando Ave, Maria, gratia plena,
dinanzi a Lei le sue ali distese»;
così implorare, con le note del gregoriano, nel Purgatorio:
«Salve, Regina, in sul verde e 'n su' fiori
quindi seder cantando anime vidi»;
così acclamare in Paradiso:
«Indi rimaser lì nel mio cospetto,
Regina coeli cantando sì dolce
che mai da me non si partì 'l diletto».
Sarà mai che a un tale
concerto, della Chiesa che trionfa e della Chiesa ch'espia, manchi la sorella Chiesa
che milita e ogni giorno da ogni suo altare ricanta il suo gaudio di farne parte?
Cum quibus et nostras voces ut admitti iubeas... E perchè la mia, la
meno degna, sia anche ammessa, aiutate con la vostra preghiera chi, per amore, può
avervi addolorato, Eminenza.