Mi riferisco, Eminenza, alla vostra
ordinanza del novembre, per la quale, «in luogo della Messa in gregoriano»,
si prescrive - e con rigore: come quella che «tutte le comunità parrocchiali
debbono imparare» e che «nelle Messe pontificali deve essere
la sola da eseguirsi» - una messa in italiano, denominata «Vaticano
Il» ma che dal nome dell'autore, Luigi Picchi, viene comunemente chiamata «dei
picchiatelli»: nome non so quanto appropriato al merito ma di sicuro alla sua
pretesa di cognominarsi dal Concilio e cacciar dal coro, come «la sola da eseguirsi»,
tutte le altre.
Non l'ho sentita, difatti, e non sono in grado di giudicarne: so soltanto che un
vostro prete, essendo in chiesa per dovere di parroco mentre la celebrava un suo
cappellano, a un certo punto, del Gloria o Credo che fosse, si ritirò,
chè non ce la faceva a restare, per rientrar solo al termine; e per verità
se è piaciuta ai vostri, cui son piaciuti e piaccion quei testi, non può
non esser brutta forte, sia o non sia com'è parsa a un cattolico e musicologo
non vostro amico, Marino Sanarica, cui ha dettato, su una rivista, queste considerazioni
seppur d'indole generale: «I negri in fondo sono ancora dei sensitivi, senza
cultura, laici o preti che siano, onde si possono permettere, in chiesa, anche le
fantasie e le danze del ventre. Ma il brutto viene quando dei bianchi cianotici,
progressisti e disposti a farsi ingoiare dalla sottocultura, nel secolo della più
strabiliante tecnica musicale e dei più fascinosi arrangiamenti, che anche
la massa digiuna di studi musicali apprezza e ama, impongono al popolo cristiano
roba che non sa di nulla: nè di materia nè di spirito... E il popolo
fedele dovrà sorbirsela, perchè così ha disposto il capo emerito
della riforma liturgica: disposto e imposto!»
Senza giudicarla nel merito, ma solo come «allotropia del latino», molti
giornali (si capisce, «non cattolici», che ai «cattolici»
è permesso solo lodare, tutto e sempre lodare) ne hanno parlato con sdegno,
lamentando anche questo oltraggio alla Costituzione liturgica, e ne cito uno solo,
che si stampa vicino a noi, nel quale il nostro Pieraccioni si chiede, fra l'altre
amare cose: «Possibile che si seppelliscano con una semplice circolare - che
è in questo caso tutto il contrario di quanto il magistero della Chiesa, questa
volta addirittura il Concilio Ecumenico, ha sanzionato e stabilito - tradizioni millenarie
di musica sacra, che sono una vera gloria nella storia della Chiesa? La solennità
del canto gregoriano, il canto più bello e ispirato di tutti i tempi, scritto
da autori che componevano in ginocchio, ricchi di fede e di sensibilità
religiosa, melodie che commuovono ancora chi le ascolta. E tutta l'altra musica polifonica,
giustamente riconosciuta dalla Chiesa, dalle messe di Palestrina a quelle di Perosi...
è davvero roba che distrae i fedeli, roba da antiquari? ... Davvero si vuol
continuare a cedere (che è poi mancanza di senso storico, che in gente che
sta per le chiese non dovrebbe mancare) a questo pauperismo o "primitivismo"
anacronistico e di pessimo gusto, che è tutto il contrario di quello che la
Costituzione liturgica, come sempre ripete da qualche mese nei suoi discorsi il Pontefice,
aveva stabilito e chiaramente stabilisce e prescrive?»
Pare di sì, caro Dino; e si fa di peggio, in fatto di canto sacro: si fanno
cose contro natura: si cuoce, dirò cosi, il capretto nel latte della
madre, la cosa proibita agli ebrei, facendo cantare in italiano con le note del
gregoriano: cosa, anche questa, espressamente vietata dalla Chiesa: «Lingua
cantus gregoriani est UNICE lingua latina» e questo è Pio XII (Documenta
pontificia ad instaurationem liturgicam, raccolti già dal padre Bugnini),
confermato da Giovanni XXIII («la lingua latina è INDISSOLUBILMENTE
LEGATA alla melodia gregoriana»), codificato dalla Costituzione (articolo 91)
e non certamente smentito da Paolo VI allorchè, consacrandosi, il 24 ottobre
1964, la ricostruita basilica di Montecassino, lodava ed esortava la «nobile
e santa Famiglia benedettina» d'essere e conservarsi «la custode fedele
e gelosa dei tesori della tradizione cattolica e soprattutto la scuola e l'esempio
della preghiera liturgica nelle sue forme più pure, nel suo canto sacro e
genuino, e nella sua lingua tradizionale, il nobile latino...»
Povero nobile latino, trattato proprio da «nobile» da «ci-devant»,
come si diceva - in nome di un «popolo» che si ritiene e si vuole zotico:
zotico al punto di non avvertire certe stonature, certi stridori avvertibili da chiunque
abbia avuto da Dio un paio di orecchie, siano pure lunghe e pelose come quelle che
voi gli attribuite. Ho sentito con le mie questo popolo parodiare ridendo le vostre
serie parodie dopo una di queste cantate in gregoriano-italiano che facevano miseramente
pensare alle penne del pavone appiccicate sul corpo della cornacchia o, per rimanere
nei termini, alle note dell'usignolo sul becco del corvo; e ingenuo sarebbe ricordar
che voi stesso, in quella vostra conferenza, ammetteste che «tutto composto
com'è su testi latini», il gregoriano «esige testi latini»:
pur di distruggere, d'«innovare», voi non badate a distruggere fin voi
stesso, e più che voi questo riguarda per verità i vostri: al gregoriano,
come al latino, voi personalmente non avete, e s'è visto, che una cosa da
dire: - Fuori di chiesa! -
Sì: voi siete in tutto voi stesso, sempre coerente con voi stesso, mentre
non lo sono sempre quegli altri: quei preti, per esempio, quei buoni pretini che
volendo in qualche maniera conciliar San Pietro con San Petronio hanno ideato le
messe anfibie: quelle messe «cantate» un po' in latino, un po' in volgare,
alternati, che suppongono nel popolo-ciuco una ciucaggine a intermittenza, ma un'intermittenza
curiosa, o furiosa che dir si debba, perchè nella medesima messa ora gli si
dice o canta «Dominus vobiscum», segno evidente ch'egli capisce le due
difficili parole, ora gli si canta o dice «Il Signore sia con voi», segno
altrettanto evidente ch'egli non le capisce più... Povero popolo!