Chiediamo dunque al servo di Dio
Pio XII (che il suo successore già venerava, auspicandone la proclamazione
a dottore) il suo pensiero e volere sulla Messa in volgare, che già a suo
tempo gl'«innovatori» smaniavano e s'adoperavano d'introdur nella Chiesa.
Eccolo, nella solennità e con l'autorità di un'enciclica, la Mediator
Dei, del 1947: «È severamente da riprovarsi il temerario ardimento
di coloro che di proposito introducono nuove consuetudini liturgiche o fanno rivivere
riti già caduti in disuso e che non concordano con le leggi e le rubriche
vigenti. Cosi, non senza grande dolore, sappiamo che accade non soltanto in cose
di poca, ma anche di gravissima importanza: non manca, difatti, chi usa
la lingua volgare nella celebrazione del Sacrificio Eucaristico... L'uso della
lingua latina... è un chiaro e nobile segno di unità e un efficace
antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina...» Eccolo, nella Allocuzione
al Congresso di Liturgia, del 1956: «Sarebbe superfluo il ricordare ancora
una volta che la Chiesa ha serie ragioni per conservare fermamente nel rito latino
l'obbligo incondizionato per il sacerdote celebrante di usare la lingua latina...»
Dice «obbligo», dice «incondizionato», e dice «la Chiesa»,
non Noi o i Papi, e la prima di tante serie ragioni è implicita nelle parole
con cui conclude il suo severo richiamo, ordinando che quanto si fa di coro «quando
il canto gregoriano accompagna il santo Sacrifizio... si faccia nella lingua della
Chiesa».
Chiediamo a Pio XII - mentre nella Chiesa ferve l'amoroso lavoro per la sua santificazione
- il suo pensiero sul «comunitarisrno», sull'orazione personale, espressamente
su «quella cosa» tirata fuori e «sgranata» durante la Messa;
ed ecco che cosa egli ci risponde, ancora con la Mediator Dei: «L'ingegno,
il carattere e l'indole degli uomini sono così varî e dissimili che
non tutti possono ugualmente essere impressionati e guidati da preghiere, da canti
o da azioni sacre compiute in comune. I bisogni, inoltre, e le disposizioni
delle anime non sono uguali in tutti, nè restano sempre gli stessi nei singoli.
Chi, dunque, potrà dire, spinto da un tale preconcetto, che tanti cristiani
non possono partecipare al Sacrificio Eucaristico e goderne i benefici? Questi possono
certamente farlo in altra maniera... come, per esempio, meditando piamente i misteri
di Gesù Cristo, o compiendo altri esercizi di pietà e facendo preghiere,
che pur differenti nella forma dai sacri riti, ad essi tuttavia corrispondono per
la loro natura...»
Veniamo all'Altare, al nuovo concetto, intendo, e funzion dell'Altare (negando, si
capisce, il titolo ai surrogati, alle obbrobriose contraffazioni, baracche, bancarelle
i «casse da sapone» adattate, che si vedono, che si tollerano nelle chiese
in vece e spesso con smaltellamento di secolari opere d'arte a ciò destinate
e solennemente consacrate, tanto che in nome dell'arte si è sentito
invocar lo Stato a difesa del decoro del culto); ed ecco la risposta in proposito,
in un elenco di deviazioni propugnate e tentate, o meglio ritentate, dagli «innovatori»
dei tempo, ripetitori alla lettera, veri plagiari, di ciò che si era detto
e fatto a Pistoia, compreso l'altare unico e l'esclusione dei candelieri e dei fiori:
«È fuori di strada chi vuol restituire all'altare l'antica
forma di mensa» (Mediator Dei). «Il Concilio di Trento ha
dichiarato quali disposizioni d'animo occorre nutrire quando si è al cospetto
del Santissimo Sacramento... Chi aderisce di cuore a questo insegnamento non pensa
ad avanzate obbiezioni contro la presenza del tabernacolo sull'altare... La persona
del Signore deve occupare il centro del culto, poichè essa è che unifica
le relazioni tra l'altare e il tabernacolo e conferisce loro il proprio significato...
Separate il tabernacolo dall'altare equivale a separare due cose che, in forza della
loro origine e della loro natura, devono restare unite» (Allocuzione al Congresso
di Liturgia).
E volendo, appunto, indicare le origini meno lontane di queste vecchie novità
circa la lingua e il centro del culto, il servo di Dio Pio XII dice (Mediator
Dei): «Questo modo di pensare e di agire... fa rivivere l'eccessivo ed
insano archeologismo suscitato dall'illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza
di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e
ne seguirono con grande danno delle anime, e che la Chiesa» («la Chiesa»,
dice, non Pio VI), «Vigilante custode del "deposito della fede"affidatole
dal suo Divino Fondatore, a buon diritto condannò. Infatti tali deplorevoli
propositi ed iniziative tendono a paralizzare l'azione santificatrice con la quale
la sacra Liturgia indirizza salutarmente al Padre celeste i figli di adozione...»
Eh? che ne pensate, Eminenza? che ne dobbiamo pensar noi? L mai possibile che il
Concilio abbia inteso riabilitare il «conciliabolo» (riprovato, con parole
e lacrime di pentimento, dallo stesso suo promotore)? Ovvero sì, e voi chiederete
a Sua Santità che non santifichi Pio XII ma lo sconfessi, lo condanni, in
quanto difensor del «diaframma», in quanto sostenitor delle «caste»
eccetera eccetera?
Vi lasciamo a questo interrogativo, logico, mentre passiamo a interrogar Giovanni
XXIII.