Meraviglia? E quando mai dagli
spini s'è colta l'uva, ovvero fichi dai triboli? Meraviglia sarebbe semmai
il contrario: sarebbe stato che il voltafaccia (lingua e altare) or ora detto dal
confratello, col sussidio degli amboni elettronici dagli effetti a piacere, producesse
del pari effetti spirituali: sarebbe stato che l'intellettualismo, il pregare condizionato
al capire fosse più accetto ed esaudito dell'umile preghiera del pubblicano
che sapeva solo battersi il petto e dir quelle cinque parole. Fu al sèguito
della parabola che Gesù disse: «Chi non avrà accolto il regno
di Dio come un bambino non vi entrerà», e il bambino non chiede di capire
per credere, tanto meno per pregare.
Capire ... ! E si vuol questo da un popolo reputato cosi a corto d'ingegno da non
capir che cosa significhi in italiano Deo gratias (per dire in una tutte le
parole dell'«ordinario», intelligibili, come può credersi, anche
dalle panche, che son di legno); e si vuol per cose alte e profonde, per un parlare
biblico figurato che nel suo senso letterale, con la peregrinità o l'arditezza
delle sue immagini, genera spesso stupore ben più che fervore in chi dimentichi
che oggetto del culto è Dio, non il popolo, e chi Gli parla cosi, col linguaggio
poetico e misteriose del l'amore, è la Chiesa sua Sposa. «Nell'ora che
la Sposa di Dio surge a mattinar lo Sposo perchè l'ami...» Cosi, appunto,
come un incontro quotidiano d'amore fra Dio e la Chiesa, il poeta-teologo interpreta,
rettamente, il culto liturgico, e così è fuor di luogo chieder che
si capisca (tutto, sempre, da tutti): l'amore è cuore, non cervello, e il
suo linguaggio, quando non è il silenzio, è la lirica.
Cosi inteso, e sotto il velo, quasi nell'ombra, del latino, nessuno stupore per certi
passi dei sacri testi - come l'amante che invita l'amante a levarsi o ne va in cerca,
al buio, per i vicoli della città, e chiede di posar sul suo petto; come il
re che concupisce la bellezza della diletta; come il seno per amore ferito e dall'amore
risarcito, e così altri, tratti dal Cantico dei Cantici - mentre, tolto il
velo, inteso e presentato in quell'altro modo, come cosa del popolo che il popolo
ascoltando dovrebbe intendere e nutrirsene... mi domando se davvero voi crediate,
se qualcuno dei vostri creda a quelle vostre parole dette in quella tal conferenza.
Mi domando, per non far che qualche altro esempio, d'altre genere e a parte la traduzione
(al contrario di ciò che scherzosamente si dice, paragonando le traduzioni
alle donne, che le fedeli sono brutte, le belle sono infedeli, voi siete riusciti
a far che le vostre fossero insieme infedeli e brutte), se chi non è in grado,
ripeto, di capir che cosa significhi in italiano Deo gratias possa davvero,
secondo voi, intendere il senso e farsi cibo spirituale di espressioni come «il
mio unto» (per il Messia), «le corna dei bufali» (per i persecutori
di Gesù e della Chiesa), «l'unguento della barba d'Aronne» (per
la soavità dell'amor fraterno), «il miele della rupe» (per l'Eucarestia),
«le figlie di Giuda che fanno festa» (e si pensa al traditore impiccato);
possa intendere e apprendere, ad amare, a perdonare, sentendo legger di «un
Dio terribile», di un «Dio vendicatore», di un Dio che «crea
le sciagure», sentendo chiedere a Dio «vendetta» o al prossimo
pane per il «nemico» ma perchè «cosi facendo radunerai carboni
di fuoco sulla sua testa»; quando la pietà non vada in ilarità...
com'è accaduto accanto a me ora di corto per l'improvviso soprassalto e la
confusione di un buon vecchietto che nonostante il volgare s'era un po' appisolato,
alle parole dell'introito che un inatteso barrito dell'altoparlante mal regolato
ci fece rintronar nella testa: «Dèstati, perchè dormi, Signore?
Dèstati e...»
Non sono pochi i passi che, tradotti, provocano al riso più che al fervore
(quando non disgustano, e il rispetto per la Madonna ci trattiene dal fare esempi,
così come nei paesi di lingua portoghese ci s'è trovati nell'imbarazzo
a tradur «servus Dei» perchè il termine corrispondente, «servidor»,
s'usa familiarmente per indicare quel certo oggetto che serve in camera di notte)
e non si contano le barzellette fiorite sui nuovi testi, come quella del sacerdote
che finisce, distratto, di celebrare la Messa degli sposi dicendo: «Andate
a messa: la pace è finita». Il latino, provvidenziale anche per questo,
ignorava simili inconvenienti, pur prevedibili e previsti, per il volgare, da quel
buon senso di cui, come del buon gusto, i vostri han detto: «Facciam senza».
Il grande De Maistre ne aveva fatto l'ultimo dei tanti argomenti contro il volgare.
«E infine», egli scriveva in quel suo Du Pape, «una lingua
soggetta a mutare mal si conviene a una Religione immutabile. Il naturale movimento
delle cose altera di continuo le lingue viventi... La corruzione poi del secolo s'impadronisce
ogni giorno di certe parole e si diverte a guastarle. Se la Chiesa parlasse la nostra
lingua, potrebbe dipendere dalla sfrontatezza di un bello spirito rendere la parola
più sacra della liturgia o ridicola o indecente».
Il tempo basterebbe da sè a ridicolizzare, arcaicizzandole ed eliminandole
dall'uso, certe parole. Per giudicare che cosa sarebbero di «moderno»,
di «lingua parlata», di «lingua di popolo» i testi d'oggi
fra qualche tempo, aprire a caso il testi di Pistoia, del Ricci, dove si leggono
a profusione parole di allora, allora «vive», come «imperocché»,
«imperciocchè», «riconoschiamo», «deesi»,
«perlochè», «alloraquando», «venghiamo»,
«debbe», «dessi», «accidente» e simili, di cui
ognun sente la freschezza... Per la medesima legge, e per difficile che paia a credersi,
il vostro volgare sarà fra qualche tempo ancora più brutto d'ora, quando
alla bruttezza nativa si saranno aggiunte le grinze della vecchiaia (necessitando
ogni cinquant'anni di un Woronoff che rigeneri, che ricambi, con logica gioia degli
editori, non so con quanta edificazione dei fedeli, già cosi scossi nella
loro saldezza), e sarà una nuova conferma delle parole con cui De Maistre
chiude la sua digressione: «Per tutti i riguardi immaginabili, la lingua religiosa
deve stare al difuori delle vicissitudini umane».