L'unità, di fatto, è
cessata, e dietro quella di lingua fra paese e paese è caduta quella dei cuori
fra quelli di uno stesso paese, di una stessa parrocchia, di una stessa comunità
religiosa, di una stessa famiglia... Non oso chiedervi, Eminenza, se fra i vostri
confratelli ci s'ami più come prima, ma voi sapete che non è certo
cosi fra il clero, fra i «preti nuovi» e i preti di sempre; delle aperte
ribellioni di popoli al vostro «cambiamento di religione»; delle risse,
e tumulti scatenati dalla «vostra» messa fra quelli che non «un
muro ed una fossa» ma le pareti di una stessa chiesa serravano: in Belgio,
in Francia, in Alto Adige (per restare da noi) o nell'Istria, dove la Messa, fin
qui, detta «nella lingua di tutti», era la sola cosa che tutti unisse,
e ora, «nazionalizzata», acuisce e invelenisce i nazionalismi in contrasto,
al punto di richiedere la presenza, fra quelle sacre pareti, della pubblica forza,
delle armi, e il vostro «andate in pace» significa, di fatto: «Andate
a dirvele e darvele fuori di chiesa».
Vedete come non s'amano, potrebbero dir di noi gli odierni pagani, ed è
fra i tanti il peggior frutto e il più delusivo di una Riforma lanciata, in
nome del «comunitarismo» (termine assai più prossimo a comunismo
che a comunione, la parola cattolica), all'assalto di «ogni diaframma»
all'abolizion delle «caste».
Forse - il profeta perdoni all'asino anche questa forse a un'intenzione rettissima
sono mancate o non ban soccorso adeguatamente meditazione e preghiera: meditazione,
per intendere quanto fosse «tragicamente ridicolo» (parole di un degnissimo
vescovo che mi ha scritto fra gli altri) «che un secolo sfasato e di poca fede
come il nostro pretenda di fare scuola a diciannove secoli tanto più cristiani»;
preghiera, pietà, che se a tutto è utile, qui esigeva ginocchi in terra
fino al callo. «Io più credo agli orazioni che alle medicine»,
scriveva nella sua umile fede «colui che nuovo Olimpo alzò in Roma a'
Celesti», dico quel buon uomo di Michelangelo: e mi pare che lo stesso si potrebbe
dire, lo diceva già il Bernanos, delle «riforme»: «la Chiesa
ha bisogno di santi più che di riformatori»: ha bisogno di Maria, più
che di Marta, ed è precisamente il contrario di ciò che oggi si pensa
e si predica, come se Gesù avesse detto: «Maria, Maria, tu preghi troppo!»
e lodato l'altra... Caro santo papa Giovanni, che a chi gli vuol dimostrare come
il cresciuto lavoro richieda, oggi, un certo sacrifizio dell'orazione a pro dell'azione,
risponde tirando fuori la corona e dicendo: «A me mi c'entra di dirlo intero
tutti i giorni», e nella «poca voglia di pregare» vede la sola
o la prevalente ragione per cui gli si chiede di abbreviar l'Ufficio divino: cosa
che voi concederete in misura più larga ancora della domanda, riducendo di
tre le sette «ore» davidiche («Septies in die laudem dixi Tibi»),
con l'abbandono di altrettanti bellissimi inni e la mutilazione del Salterio, che
non si dirà più integralmente... salvo da quelli, sacerdoti e laici,
che proprio in vista dell'aumentato lavoro pensano di dover semmai aumentar la preghiera,
e fanno ancora la loro Praeparatio ad Missam, la loro Gratiarum actio post
Missam, sebbene non le trovino più nei vostri riformati messali.
Certo è che i Dodici, quando il lavoro apostolico - riformare il mondo!
- crebbe al di là delle loro forze, non lasciarono o scorciarono il loro «breviario»
ma delegarono ad altri, ai diaconi, istituiti per questo, appunto, l'assistenza
sociale (come oggi si direbbe), o il «ministero della carità»
(com'è detto negli Atti), incaricandoli dei poveri, delle vedove, delle
mense, «mentre noi», dissero, «continueremo ad applicarci alla
preghiera e al ministero della parola». Non a caso, non senza consequenzialità,
gli Atti aggiungono, subito: «E la parola di Dio si diffondeva sempre
più e il numero dei discepoli si moltiplicava grandemente. Noi non vediamo,
non abbiamo in vista alcunchè di simile, in questo clima della Riforma: vediamo
purtroppo il contrario, vediamo i cattolici cessar di crescere e cominciare a diminuire
(è il padre Arrupe, Generale dei Gesuiti, che lancia, cifre alla mano, l'allarme)
e vediamo gli «altri» rallentare e fermarsi, nel loro moto fin qui crescente
verso di noi, nonostante tutti i nostri inviti e carezze, tutto il nostro assolvere
e condannarci, chieder perdono e riabilitarci, se non vogliamo dire proprio per questo:
perchè non abbiam più il coraggio, o la carità, di dir loro
che la loro strada è sbagliata, che la nostra è la retta: perchè
se abbiam sentito le mille volte affermare che bisogna riunirci, non abbiam mai,
esplicitamente, chiaramente sentito aggiungere: «nella Chiesa Cattolica, la
sola vera» (nonostante i ripetuti ammonimenti del Papa contro i pericoli dell'«irenismo»);
e la debolezza, il «rispetto umano», l'opportunismo, le cose a mezzo
non convincono e non attirano, non convertono: respingono, chi in cerca di certezza
si avvicinava. (Mi sia permesso, a questo proposito, di credere a un errore di stampa,
da parte dell'autorevole giornale che la riporta, nella concordata definizione del
«dialogo» intrapreso a Strasburgo tra la Chiesa Cattolica e la Federazione
Luterana Mondiale: «Par dialogue les deux délégations entendent
une commune recherche de la vérité... poursuivie sur pied d'égalité».
La Chiesa Cattolica, la «madre e maestra», che cerca la verità?
che si mette, per questo, sul piede dell'errore, come a significar ciechi guide di
ciechi? La colpa, senza dubbio, qui è del tipografo, che deve aver letto «vérité»
in luogo di «unité» o che so io).
Convertire? Per non offender le loro orecchie voi l'avete eliminata, questa parola,
dal Messale, dalle solenni ecumeniche impetrazioni del Venerdì Santo, pur
versandoci sopra sincere lacrime di coccodrillo: «Rincresce... dover mettere
le mani su venerandi testi, che hanno per secoli alimentato, e con tanta efficacia,
la pietà cristiana, ed hanno ancor oggi il profumo spirituale delle età
eroiche degli alberi della Chiesa» (Bugnini); pur consentendo (sempre il vostro
Bugnini) che «è malagevole ritoccare capolavori letterati di una forza
e concettuosità insuperabili...» Stessa delicatezza con gli atei: «Nessuna
battaglia contro l'ateismo» (Segretariato per i non credenti); identica
cortesia con i comunisti: per dirla in breve, con tutti, e se una cosa essi hanno
da osservare è che noi stiamo esagerando, nell'esibirci, nel darci, e son
loro a dire: un momento! e condizionarci e voler prima fissare il prezzo.
«Prima che il comunismo possa accettare l'incontro e il dialogo» (è
il loro dottore, il Lombardo Radice, che cosi parla nel loro ultimo congresso) «si
dovranno approfondire alcuni temi fondamentali, imprescindibili: la scuola non confessionale,
il divorzio...» E, per tornare ai protestanti, li abbiamo sentiti noi stessi
dire: «S'intende venirci incontro: in questa maniera voi ci schiacciate!»
Così poco premurosi di ricambiarci, che abbiamo potuto udire i già
più inclini, quelli d'Inghilterra, chiedere in una pubblica lettera all'arcivescovo
di Canterbury che si guardasse bene, venendo a Roma, dall'invitare il Papa a Londra,
se gli stava a cuore «l'attuale atmosfera di carità e di tolleranza
fra cristiani di differenti denominazioni», ossia quell'interconfessionalismo
o pancristianesimo in cui dovrebbe risolversi il loro e nostro ecumenismo.
Convertire? È proprio quel che sta accadendo ma all'inverso, come scrisse
già l'arcivescovo di Milano oggi Paolo VI: «Invece di affermare le proprie
idee in faccia a quelle degli altri, si accettano quelle degli altri. Non si converte,
ci si lascia convertire. Non si conquista ma ci si arrende. I vecchi amici che sono
rimasti sulla diritta via sono ritenuti reazionari... Veri cattolici sono
ritenuti soltanto coloro che sono capaci di tutte le debolezze e di tutte le compromissioni».
E che se sia vero e quanto - sia qui detto in parentesi, con riferimento al corsivo
- sappiamo bene noi cattolici di «lingua cattolica», «romani»;
«reazionari», perciò, e come tali disprezzati, odiati, combattuti
dalle vostre milizie, tanto che, se non l'avessimo a onore, dovremmo invidiare gli
atei, i maomettani, gli ebrei, gli eretici, i massoni, i marxisti veri vostri fratelli
mentre noi siamo i fratellastri, i veri fratelli separati, siamo - senza che
ci atteggiamo a martiri, e magari, come facciamo qui, reagendo - la Chiesa del
silenzio, preclusa com'è a ogni voce non conformista la stampa cosiddetta
cattolica, dove il De libertate vige solo, e senza limiti, per chi ci vuol
dare addosso... Ne sentii tutta la tristezza giorni addietro in una nostra grande
chiesa, dove, per poter celebrare in latino, a un sacerdote mio amico e con me in
viaggio fu concesso un altare nel sotterraneo, che nessuno (era di domenica) lo vedesse...
e mi venne di pensare alle catacombe, pur rallegrandomi alla vista dei fedeli che,
sparsasi nondimeno la voce di questa Messa in latino, accorsero numerosi e assisterono
apertamente contenti. (Si sentì fra gli altri una signora che diceva: «Venite,
venite, che ce n'è una di quelle vere!»)