S'era ai giorni liturgicamente
più belli (più sconciati, infatti, da voi), quelli della Settimana
Santa, si era al bellissimo, il Sabato Santo, e un contadino va, contento come una
pasqua, alla chiesa a far battezzare il figliolo che la brava moglie gli ha dato.
Sarà lui a rinnovare il fonte, come si dice, ossia a diventare il primo cristiano
mediante l'acqua che si benedirà stamattina (e il felice babbo non si sarà
scordato di prender con se l'agnello o il capretto da regalar, come tradizione vuole,
al priore, per gratitudine del privilegio). La contentezza fa sì che l'uomo
non badi troppo, come gli altri parrocchiani, allo scempio che il celebrante - costretto
a dirle in volgare - fa delle stupende orazioni che accompagnano il sublime rito;
se non che... tutto ha un limite, e anche lui si scuote, e che scossone! allorchè
il rito giunge a quel punto. Traducendo, come tutto il resto, le parole per Deum
vivum, per Deum verum, per Deum sanctum, il celebrante dice infatti, mentre la
sua mano traccia sul fonte la triplice croce: «Per Dio vivo, Per Dio vero,
per Dio san...» E non ha finito ancora di dire, che il contadino trasalta.
Accertatosi, con un'occhiata all'ingiro, di non sognare, e visto che anche gli altri
si chiedono fra loro se sognino, egli si volta alla comare, che non meno sbalordita
se ne sta lì col piccino in braccio, e le fa: «Betta, piglia il mimmo
e scappiamo: il prete bestegna!»
Questo si racconta ancora in Toscana, e può darsi che sia una favola; ma non
è una favola, è quello che io ho visto in una chiesa della mia diocesi,
il riso della gente a sentire il prete che comunicava la colonna marciante brontolando
per la lentezza e dicendo: «Corpo di Cristo... Corpo di Cristo... Corpo di
Cristo...» con l'èmpito di un caporale intento alla distribuzione del
rancio.
Quel prete, voi ci direte, sbagliava: doveva dir «Corpus Christi»; ma
perchè, noi vi domandiamo, se il latino è un «diaframma»,
lasciarlo, questo «diaframma», proprio lì dove maggiormente al
fedele giova saper ciò che gli vien detto, onde sapere Chi gli vien dato?
Perchè, voi ci rispondete, in italiano quelle parole... equivalgono al «per
Dio» di dianzi (senza neanche il correttivo degli aggettivi latreutici), e
non v'accorgete che già con questo voi date ragione all'anatema che vi colpì
nel vescovo giansenista? Era opportuno, secondo il Ricci, che «si togliessero
quei motivi per cui i fedeli» - senza che, neanche loro, se ne fossero accorti
- erano «stati in parte posti in oblio, col richiamare la Liturgia ad una maggiore
semplicità di riti, coll'esporla in lingua volgare, e con proferirla
con voce elevata», e la risposta della Chiesa (quella dei fedeli l'abbiam già
vista) fu la condanna della proposizione come «temeraria, piarum aurium offensiva,
in Ecclesiam contumeliosa, favens Haereticorumi in ea conviciis». Sacrosante
parole - richiamate pur da un recente successore di Pio VI - oggi valide come allora
e ci ripensavo là di dicembre sentendo il celebrante perdere d'improvviso
la voce e proseguir fioco fioco (forse per paura di quella tal macina, nei riguardi
degli innocenti che gli servivano in «tarcisiana» la Messa) queste parole
della «lettura» dei Santi Innocenti: «Questi sono coloro che non
si son macchiati con donne»; come ora qui di febbraio per il postcommunio di
sant'Agata, letterariamente un capolavoro di sintassi riformata: «Chi si degnò
guarirmi da ogni piaga e ridare i seni al mio petto, questi io invoco Dio vivente».
Ci ripensavo l'estate scorsa, il 2 luglio, in una chiesa di Riccione, vedendo del
pari il celebrante fermarsi... e proseguir poi, anche lui, sottovoce quella «lettura»
letterariamente un'altra cosa perché non era ancora uscito il vostro messale
quotidiano): «Eccolo il mio diletto venir saltellando per i monti, balzando
per i colli, simile a una gazzella o a un cerbiatto. Eccolo che sta dietro alla nostra
parete, guardando dalla finestra, osservando attraverso le grate. Ecco, il mio diletto
mi parla: "Alzati, fa' presto, amica mia, colomba mia, bella mia, e vieni..."»
Item di lì a poco, il 22 luglio, per santa Maria Maddalena: «M'alzerò
e andrò attorno per la città, per le contrade e per le piazze, in cerca
del mio bene. L'ho cercato e non l'ho trovato. M'hanno trovato le sentinelle che
stanno a guardia della città. "L'avete visto il mio bene?" Le avevo
appena oltrepassate che lo trovai, il mio bene: lo presi e non lo lascerò
fino a quando non lo avrò portato in casa di mia madre, in camera...»
e il mio caro don Mario smise, anche qui, di legger forte, perchè, come poi
mi disse, vedeva davanti a se la gente, ragazze e giovanotti, vedeva i chierichetti
guardarlo «con tanto d'occhi sgranati». Il «diaframma», evidentemente,
qui non ostava ma non credo che i fedeli ne guadagnassero in pietà e in edificazione
più che se avessero seguito la Messa in latino o sulle loro Massime eterne,
o magari «sgranando rosari», per dirlo con le parole della celeberrima
Zarri, la Pasionaria della Riforma.
Ve ne siete purtroppo accorti anche voi, e dico purtroppo perchè invece di
lasciare o rimetter le cose com'erano (quando nessuno, alla Messa, aveva occasione
di sgranar gli occhi, e il latino, velando, rendeva più sacra la Parola)
avete deciso di purgare il Messale, levando, svirilizzando, facendone una cosa ad
usum delphini... È cosi che con buona pace di un papa come Pio XII, che
condannava e tacciava di «temerario ardimento» chi osasse escludere «dai
legittimi libri della preghiera pubblica gli scritti sacri del Vecchio Testamento,
reputandoli poco adatti e opportuni per i nostri tempi» (Mediator Dei,
1947), avete escluso dal Messale, per motivi di... moralità, la casta Susanna...
Tentata, nella sua rara bellezza, e costretta, da chi può iniquamente farlo,
a scegliere tra il peccare e il morire, essa sceglie senza esitazione la morte (da
cui la salverà, col suo intervento, Daniele), fedele al suo sposo e a Dio
in cosi eroica maniera che la Chiesa, tentata, perseguitata e trionfante, si riconoscerà
in essa, la esalterà effigiandola nelle sue catacombe e nelle sue chiese,
dedicandole una delle sue «stazioni», Statio ad Sanctam Susannam,
e l'additerà in perenne esempio ai suoi figli mettendola appunto nel Messale:
in quella stupenda Messa del terzo sabato di Quaresima, tempo di grazia e di redenzione,
dov'essa sta, nella «lettura», figura dell'innocenza glorificata, accosto
all'adultera del Vangelo, la peccatrice perdonata... Quella bella Messa ora è
zoppa, perchè c'è rimasto solo la peccatrice: l'innocente, liberata
per opera del profeta dalle pietre dei suoi concittadini, è stata lapidata
da voi, per i motivi anzidetti, considerata l'imprudenza di pronunziare in volgare,
a voce alta, davanti a tutti, tetti alti e medi e bassi, l'equivalente di «exarserunt
in concupiscentiam eius», «contemplantes eam», «nos in concupiscentia
tui sumus», «assentire nobis et commiscere nobiscum», «concubit
cum ea» eccetera eccetera. Col latino, è vero, certi problemi non esistevano.
Capiva chi doveva capire, e la lucerna - il «cero», per dirlo
con Paolo VI - poteva così star sopra il moggio, come l'antico buono lume
di casa, facendo luce senz'accecare.