«Libello» è
altrettanto naturalmente, il mio libro, per Sandro Maggiolini, dell'Italia (16
aprile), il quale per prima cosa trova da ridire sul sottotitolo, Lettera di un
cattolico eccetera eccetera, che «della lettera non ha» (dice) «nè
l'urbanità nè i convenevoli d'uso», e quanto all'«urbanità»
lo concedo (la parola, se non erro, viene da «urbs», e io sono, l'ho
già ben detto, «un contadino», ossia, come dice di sè il
mio compare della Garonna, «un homme qui met les pieds dans le plat, ou qui
appelle les choses par leur nom») ma quanto ai «convenevoli d'uso»
la «lettera» comincia, prosegue e termina col titolo di «Eminenza»
e se ho sbagliato il mio correttore m'insegni, come don Abbondio fece con Agnese,
il termine giusto.
D'accordo per altro anch'egli, e per la stessa ragione, che non tutto nel mio libro-libello
è sbagliato. È l'unica ma questa, sì, che mi si passa: «Un'utilità,
tuttavia, ne viene da questa lettura» (il mio critico è così
cortese da dir perfino che non ci ha sbadigliato sopra: «dobbiamo confessare
d'aver letto d'un fiato le pagine»): «molti spunti critici nei riguardi
delle traduzioni italiane ci sembrano da condividere: segno che la Riforma deve proseguire
per farci "pregare in bellezza", come si esprimeva Pio X e come Casini
rimpiange (ma anche noi, suvvia)». Non si dice, naturalmente, che per Pio X
«pregare in bellezza» significava anzitutto pregare in latino, «latine
psallitur et litatur», come canta la sua Vehementer sane, col gregoriano
o con la musica sua sorella; e quanto il «popolo», il popolo autentico,
sano, gusti questa bellezza ho veduto co' miei occhi pur ieri assistendo giusto a
una Messa in musica di Domenico Bartolucci eseguita con passione da popolani (il
coro, sia onore al merito, di Tavarnelle in val di Pesa) e con passione ascoltata
dal popolani di quel mio nativo paese di Firenzuola.
Non si dice, e se pur dovessero dirlo sarebbe per loro come non detto, perchè
per Maggiolini, come per tutti quelli che mi hanno attaccato, le parole, gli
ordini, i richiami dei papi - si chiamino Pio o Giovanni o Paolo per la conservazion
del latino sono, nel migliore dei casi, tamquam non essent; e dico nel migliore
dei casi, perché questo volontario ignorare nei riguardi di Atti pontifici
solenni come quelli che ho tante volte gia nommato e che nessuno ha certo abrogato,
è accompagnato dall'ironia per chi li ricorda, i «patiti del latino»,
dalle apologie di Lutero, come s'è visto, e padre Morganti, il nostro liturgo,
oppone a quella dei papi l'autorità dell'Espresso: «Ha ragione
l'Espresso quando ci dice che è l'ora di smetterla di andare alla messa
col vocabolario», avendo forse, quei bacchettoni dell'Espresso, scambiato
per Calepini da tasca i messalini bilingui già in uso, con lode di
Paolo VI, come subsidia populi (e sarebbe l'ora, io direi, per i preti, di
andarci con la grammatica, per non scandalizzare i ragazzini di prima media coi tanti
sacri spropositi da inchiostro rosso).
Ho detto bacchettoni (quelli dell'Espresso) per far contento il Maggiolini,
che trova ridicolo parlare di nemici della Chiesa, ammettere che la Chiesa, oggi,
abbia dei nemici, che ci sia, oggi, nella Chiesa, altro da fare che stracciar l'inurbana
«lettera» causa di tanto subbuglio. «Ha una paura estrema»,
egli scrive, «dei "nemici" della Chiesa, i quali, assicura, si stanno
beffando di noi» e sue sono le virgolette che affiancano come carabinieri quella
parola (da me buttata là a piede libero), per negare, appunto, che la Chiesa,
oggi, ne abbia, o ne abbia avuti in passato, e mi domando come faranno, Maggiolini
e maggioliniani, se i riformatori non provvederanno a riformare, correggere o levar
di mezzo le Litanie come faranno a pregare: Ut inimicos sanctae Ecclesiae,
humiliare digneris, Te rogamus... a meno che, e sarà certo così,
così è di sicuro, di fatto è così, i «nemici della
Chiesa» nella loro mente, non siamo noi: noi che crediamo tuttora nel Catechismo
romano (mentre c'è queIlo olandese, tanto più moderno e più
comodo, grati a Jean Madiran che nei suoi Itinéraires ha ripubblicato
integralmente quello, introvabile, di san Pio X; noi che, in fatto di libri ne ricordiamo
ancora uno intitolato Martirologio, e dei Martiri ci gloriamo discendenti
e coevi, da quelli che moriron nel Circo a quelli che per fedeltà al medesimo
Credo «vivono nelle moderne catacombe» (Paolo VI) forse meno afflitti
di questo che di vedere i loro fratelli amoreggiar coi loro persecutori, aggiungendo
pur questo al peso della loro croce come s'è doluto un di questi, il cardinale
Wyszynski.
Che questi «amici» della Chiesa, per dirli come richiedono le virgolette
di Maggiolini, si stiano poi «beffando di noi» (adottando fra l' altro
il «cane» il latino da noi espulso a pedate), è cosa certa e provata,
com'è certo e provato. che considerano inutili idioti, scoperto com'è
ormai il gioco, quelli che già considerarono idioti ma utili; ma è
cosa che non mi fa «paura», anzi m'induce a sperare, considerate le vie
di Dio le quali non sono le vie degli uomini e possono, al rovescio di queste, condur
la figlia di Stalin a pregare, come «noi», come «noi» a «confidare
nella Madonna» - la quale non gode di buona stampa fra gli stampaioli cattolico-progressisti.
Come la Chiesa non ha nemici, e a chi lo afferma si risponde bonariamente con un
paio di virgolette di qua e di là dalla parola, così, per Maggiolini,
la Riforma non ha scontenti, e il trovar, nel mio libro, scritto il contrario lo
«indispettisce», anzi che moverlo al riso, quasi come se... ci credesse
anche lui. «E una domanda», egli ci chiede concludendo il suo articolo,
in tono veramente seccato e come se l'Italia fosse per lo meno l'Italia: «nella
prefazione si dice che "l'uso totale ed esclusivo del volgare come si fa in
molte parti d'Italia, non solo è contro il Concilio, ma causa anche un'immensa
sofferenza Spirituale per molta parte del popolo". Ci indispettisce, non ci
possono non indispettire queste accuse generiche: quasi caccia alle streghe. Fuori
i nomi».
Fuori i nomi? Eh, mio Dio! ma il Maggiolini cerca maggiolini a maggio, cerca nottole
ad Atene, vasi a Samo, acqua al mare... Fuori i nomi? La sua certezza mi obbliga
a credere (pur se a me risulti il contrario) che lassù, a Milano il tifo per
la Riforma superi quello per l'Inter o per il Milan, che le pareti
del Duomo minaccino di scoppiar, la domenica, per la gran ressa della gente al nuovo
rito non più ambrosiano, con buona pace di sant'Ambrogio, cui non sarà
negato di esprimere, col suo inno, la sua speranza nel dì del giudizio, seppure
nel nuovo testo e ritmo approvato a Bologna: «Tu tornerai, noi lo credia --
amo, + per giudica -- are il mondo». Noi lo crediamo, vogliamo crederlo - dico
che lassù sian contenti - ma Milano, per «grande» che sia, è,
solo Milano, l'Italia, ripeto, non è l'Italia, tanto meno il mondo,
e nell'Italia e nel mondo le cose vanno in tutt'altro modo, e chi lo dice non sono
io, non sono le inchieste, riferite pur da me nella Tunica e in queste pagine,
fra i cattolici di diversi paesi come l'America e la Germama. Chi lo dice, costretto
a dirlo (e figuriamoci di che cuore), è il cardinale Lercaro... sull'organo
della Santa Sede... su quell'Osservatore Romano (21 agosto) che pubblicando,
tempo addietro, gl'indici di gradimento della Riforma nel Nuovo Mondo e riconoscendoli
disastrosi così cercava di consolarne gli spasimanti delusi: «Probabilmente
il tempo riuscirà ad ammorbidire... a guarire...» Il tempo, già,
quel celebre galantuomo, quel gran medico d'ogni male... e il tempo passa ed ecco
il padre della Riforma che scrive: «La situazione, oggi, è ben più
allarmante di due anni fa»; ossia, le cose che andavan male ora vanno a
rotoli, e supplica i vescovi di aiutarlo a salvar la creatura, denunziando fatti
che «minacciano gravemente l'avvenire di tutta la riforma liturgica»,
cose addirittura «pericolose per la pace e l'ordine della Chiesa»: parole,
queste, del Papa, del quale si fa presente «l'amarezza e la preoccupazione»
nei riguardi, appunto, del «culto comunitario ». Riassumendo il non lieto
bollettino, il qui esposto quadro della situazione liturgico-religiosa, in una sola
parola, il Corriere della Sera (per citare un giornale, e il più grosso,
di quella Milano) scrive: «anarchia»; ed è assai per chi non pretendesse
che il cardinale Lercaro ricorresse addirittura all'immagine di una tunica, l'ho
a dire? stracciata.
Il tempo, comunque, è galantuomo, e si spera che alla fine sia anche buon
medico.