DICEBAMUS HERI
la "Tunica stracciata" alla sbarra

di Tito Casini


Ricordo di una Messa

Siamo, per ora, solo al processo, e restiamoci, col solito Pietro Mondini del solito Paese-Sera, che impiega i suoi più vistosi caratteri per scrivere su tre colonne: «Il Clero bolognese replica nella polemica anti-Lercaro».
Perchè, fra i tanti, il Paese-Sera? Perchè un giornale di sinistra e un giornale che si è distinto, accanto all'Unità e a tutti gli altri della compagnia comunista, nella guerra al mio libro, nella polemica «pro»-Lercaro? Rispondo: proprio per questo: perchè i giornali di quella parte, della sinistra senz'altro, si sono meritati e si meritano veramente l'onore combattendo a fianco di quelli della sinistra «cattolica» non da ausiliari o come se la causa fosse una sola, ma addirittura come se la causa fosse di loro e ausiliari fossero quelli; e quanto al Paese-Sera, esso rivendica il privilegio richiamandosi al dunque con un «come dicevamo» che riallaccia, appunto, il discorso interrotto a Dante. Scrive infatti Pietro Mondini
(15 aprile): «La conferma di quanto abbiamo scritto due giorni fa... sugli attacchi che da destra vengono mossi all'arcivescovo di Bologna, cardinale Lercaro, è giunta puntualissima ieri mattina, dopo sole ventiquattro ore. Sotto il titolo La Chiesa bolognese testimonia della sua fedeltà al Concilio, l'Avvenire d'Italia pubblica una dichiarazione sottoscritta dal pro-vicario generale, don Giuseppe Dossetti, dal Camerlengo del Capitolo metropolitano... dal presidente della Consulta diocesana... E dal presidente della Giunta diocesana di Azione cattolica... nella quale si esprimono "i sentimenti del clero e dei fedeli di Bologna in seguito ad ingiuste accuse rivolte al cardinale Lercaro" La dichiarazione, che trae spunto dalla "violenta polemica" anti-Lercaro contenuta nel libro dello scrittore cattolico Tito Casini La Tunica stracciata... costituisce un atto pubblico che, a memoria d'uomo, non si ricorda nella storia della Chiesa...». E qui mi pare che quest'uomo, che questo Pietro (Mondini) sia almeno culturalmente, saltem in cultura ecclesiastica, di memoria corta; ma è un fatto che la «dichiarazione» dell'episcopio bolognese, dopo la «deplorazione» della Domus Mariae, venne accolta con un clamore grande di gioia, come un'altra grande battaglia vinta, dagli stracciafogli della mia Tunica, per dirla coi termini del mio
Morgante, il padre Martino, che già aveva presentato illibretto come «una lettera da stracciare».
Ragion per cui io l'ho letta e riletta, questa «dichiarazione», grave soprattutto perchè, velatamente ma non troppo, umilmente ma «con virile fermezza», vi s'invoca, contro il mio libro, testo e prefazione, una decisione«in ultima istanza» che sarebbe quella del Papa, com'è chiaro, come aveva detto L'Espresso e dirà il suo cugin francese, Le Monde («les signataires s'adressent évidemment à Paul VI... C'est sa réponse qu'avec anxiété attendent...»): «Noi, e tutti nella Chiesa, abbiamo bisogno di sapere se...» E, certi che si sarebbe saputo: «In verità», essi aggiungono, «il cuore di tutti noi anticipa la risposta...» Nell'attesa, sicuramente non allegra, io l'ho letta e riletta, come dicevo, questa dichiarazione-appello, e il tu-tu del cuore, il mio, per l'esito ch'essa poteva avere, non mi ha impedito di rilevarvi alcune cose che io, se fossi stato in loro, non ci avrei messo.
Prima di tutto, anche qui, quel «tutti», il quale è un aggettivo o pronome da usare con parsimonia, specie in democrazia: due preti e due secolari, tutti e quattro più o meno di Curia, sono indubbiamente un po' pochi per rappresentare «tutti» i sacerdoti e «tutti» i laici della Chiesa di Bologna (e tanto meno «tutti nella Chiesa», ossia l'universo cattolico). Sarebbe come se io dicessi che tutto il mondo ha approvato il mio libro perché tutta la mia famiglia lo ha approvato; o credessi al cento per cento a ciò che un sacerdote, bolognese, mi disse, mi gridò nel telefono al termine di una funzione lassù in San Luca nella quale si era imposto che tutto (e qui proprio alla lettera, comprese le litanie della Madonna) si facesse in volgare: «Dio la benedica per la sua Tunica: tutta Bologna è con lei!» (almeno il sindaco Fanti posso presumere che non sia), o me ne stessi a certe lettere...!

Un altro punto, e assai più importante, è quello, della «dichiarazione», che dice delle «resistenze non piccole che si oppongono alla fedele realizzazione delle decisioni conciliari...» Eh? «Non piccole» è l'equivalente di «grandi», e io dico: ma come! o non si era sempre detto, a Bologna e in tutta la stampa riformaiola, che la Riforma andava a vele gonfie, che tutti, pur non avendola mai chiesta, pur non avendone mai sentito il bisogno, l'avevano accolta esclamando Deo gratias! (mi correggo: «Rendiamo grazie a Dio»), salvo pochi trascurabili casi di «sentimentali a corto metraggio», di «estetisti» che badavano al «bello» come se a Dio e al popolo ne importasse o ne venisse qualcosa? «Delle resistenze non piccole»: lo dite, lo confessate ora voi, e non è che un eufemismo per nasconder le lotte che lacerano - vere «lotte di religione» - la già così bella e invidiata unità dei cattolici, sia nel clero che tra i fedeli, e la più triste delle cose è il sapere, il veder la Messa, segno di quell'unità - signum unitatis, come si diceva, e l'unità della lingua n'era elemento principalissimo - fatta segno di divisione, motivo di diserzione dalle chiese, dove non anche dalla Chiesa.

Non così quella da cui non si è mai distaccata, a cui torna in particolare la mia memoria: una Messa a cui assistevo, fra il popolo, non molti anni addietro, nella nostra chiesa di Badia qui a Firenze: una Messa detta «dei poveri» e detta per i poveri da un sacerdote, di fuori, di cui quei poveri non sapevano, come me e pochi altri, la non povertà di dottrina e di fama che aveva voluto, già ben adulto, nasconder sotto la tonaca. La Messa era in latino, s'intende, e sull'altare (un vero altare: consacrato) non c'era microfono, al posto del Tabernacolo, né il sacerdote guardava il popolo, celebrando (guardava, a quando a quando, la Croce), ne c'era, a fianco, chi regolasse la devozione con alternati comandi d'inginocchiarsi, alzarsi, sedersi, o sorvegliasse a che non uscissero da quelle bocche altre parole che quelle che lui leggeva, che non uscissero da quelle tasche le vecchie corone... E tuttavia, e tuttavia...! Ora anche in quella chiesa la Messanon è più quella, come non è più quello il Vangelo che vi si commenta: «il Vangelo» (vi abbiamo sentito dire, da un altro) «che la Chiesa ha tenuto fin qui nascosto dietro la cortina dei dommi». Quei poveri ci capiscono poco, capiscono solo che ora «è tutto cambiato» e qualcuno, furtivamente, specie fra le donne, tira fuori la corona... Altri, però, hanno cessato di venire alla Messa, mentre noi... noi ricordiamo i discorsi di quei poveri all'uscita di quell'altra Messa, che avevamo tutti capito, che ci aveva tutti edificati o commossi: «O chi sarà egli qui' prete?» «Mah, sia chi sia, si vede che gli è uno che in Dio e' ci crede!»
Per il bene che a me stesso ne venne, ancora io ne sono grato a don Giuseppe Dossetti. E scommetto che, nonostante tutto, egli non mi vuoi male: che in fondo in fondo... No, non penso e non pretendo ch'egli mi approvi) ma la sua intelligenza mi permette di non dubitar ch'egli approvi ciò che leggo su un periodico parigino, Courrier de Rome, giunto ora sul mio tavolo: «La diatribe de Tito Casini (La Tunique déchirée) n'est pas autre chose que la violence de la charité déçue...»


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