C'è fra le piante una pianta,
non distinta dall'altre per maggior bellezza o grandezza, che ha su tutte l'altre
il privilegio di ringiovanire, dico di spargere ìl fiore, quattro volle l'anno,
cioè a tutte le stagioni e precisamente a ogni ricorrere di Quattro Tempora.
Il perchè di questa sua distinzione lo saprà Chi ha fatto le piante:
noialtri si sa soltanto che non c'è nè freddo nè alido che possa
impedire al nocciòlo (sbagli magari il lunario) di metter fuori ogni tre mesi
quei suoi batacchietti grigi i quali per i cristiani suonan sempre a vigilia. Del
resto non è neppur detto che tutti conoscano questa specialità del
nocciòlo, e scommetto se la conoscono gli scienziati, quelli che studiano
di proposito le piante.
Non la conosceva neppure il diavolo, lui che in tante cose mostra di saperla così
lunga, e quest'ignoranza gli volle dire, una volta, una grossa scorbacchiatura, da
parte di un eremita ch'egli intendeva per l'appunto di scorbacchiare... È
una vecchia storia, vecchia per modo di dire perchè nei libri non si trova,
e io stesso, iersera, quando spensi il lume e infilai sotto, non ne sapevo ancora
nulla. Aiutatemi un po' voi a riconoscere chi me l'abbia messa nel capo, se stanotte
non ho fatto altro che dormire.
C'era dunque una volta, ai tempi di sant'Antonio, un santo eremita il quale viveva...
Di che cosa vivono gli eremiti? di che cosa viveva sant'Antonio, il principe degli
eremiti? Di preghiere, di meditazioni, di lacrime, di penitenze, di veglie, e, in
quanto al corpo - c'è anche quello -, erbe, radici, frutta selvatiche, poche
e di rado quanto abbondanti e frequenti le refezioni spirituali. Le preghiere, le
meditazioni, le lacrime, le penitenze, le veglie aumentavano, e scemava il lavoro
dei denti, nei giorni e tempì di precetto, vigilie, Quattro Tempora, Quaresima,
Avvento, quando anche gli altri cristiani cercano alla meglio alla peggio di ricordarsi
che non siamo al mondo soltanto per movere in su e in giù le ganasce.
Il diavolo... Il diavolo c'è per tentare, e, naturalmente, per tentar quelli
che la pensano differente da lui. Se si provò a tentar perfino nostro Signore,
che meraviglia che dia noia anche ai santi? I santi? Avete mai sentito la Chiesa
dar questo titolo a un uomo finchè ha l'anima di. qua dai denti? Militia
est vita hominis super terram, la vita dell'uomo sulla terra è un combattimento,
disse il santo Giobbe, che di tentazioni se n'intendeva, come a significare che finchè
c'è fiato c'è pericolo, ossia, nella traduzion del diavolo, finchè
c'è fiato c'è speranza. La santità stessa può formare
un pericolo per chi l'ha e una speranza per il diavolo, se il diavolo da qualche
fessurina riuscisse a infilar nell'anima del santo un tantino mettiamo di compiacenza
per la propria virtù. Per questo, per non cader nell'orgoglio, certi santi
eremiti, che sarebbero volentieri campati di salmi e di discipline, usavano prender
di tanto in tanto (dico magari ogni due o tre giorni) qualche boccon di pane o di
radicchio selvatico, e, col capo appoggiato a un sasso, concedersi qualche minuto
di sonno.
Eran tre giorni che il nostro santo eremita digiunava e pregava, e il diavolo, invidioso
di quel fervore, pensò di andare a tentarlo. Preso l'aspetto di un angelo
(vecchia astuzia di quella vecchia volpe), va e si presenta alla bocca della spelonca
che al romito serviva da casa e da chiesa, con in mano un grappolo d'uva, di una
così bell'uva che avrebbe fatto gola ai morti, e non dico a un uomo il quale
da tre giorni non aveva messo in corpo tanto da guastarsi la comunione. Voleva tentarlo
nella gola e insieme nello spirito, per lasciarlo infine col danno e le beffe. L'uva
infatti era vera com'eran vere le penne: se il romito avesse abboccato all'amo si
sarebbe trovato come gli uccelli che s'abbuttarono ai grappoli dipinti sulla tela
da quell' antico pittore.
Quanto allo spirito, che cosa avrebbe potuto lusingar maggiormente un uomo del ricevere
un elogio e vedersi oggetto di tali riguardi da parte del cielo? Dico che il diavolo
si presentò al solitario nè più nè meno che come ambasciatore
di Dio:
«Sappi, o santo eremita, che il Signore ha visto e vede tutte le tue penitenze,
che non c'è in tutta la terra uno più santo di te. In segno del bene
ch'egli ti vuole e di quanto la tua salute gli prema, per via che tu ti mantenga
il più a lungo di esempio agli altri, m'ha ordinato di coglierti questo grappolo
d'uva, che tu mangerai in sua lode lasciando andare per un momento il breviario...
»
Il furbo aveva scelto bene il regalo: l'uva, dico quella vera, era di stagione:
l'autunno incominciava quel giorno, e il santo romito trattava con tanto rigore il
suo corpo per ragione appunto delle Quattro Tempora. Non così se invece dell'uva
avesse finto, mettiamo, una bella ciocca di ciliege.
Ma la cornacchia che non si conobbe alle penne si conobbe alla voce. Fosse alla
voce o fosse a qualche altra cosa, il romito capì chi si nascondesse sotto
le apparenze dell' angelo, e gli sarebbe bastato un segno di croce per confonder
l'ingannatore. Per confonderlo meglio, finse invece di credergli. Levàti gli
occhi dal breviario, guardò l'uva, e quando l'ebbe guardata bene... invece
di prenderla fissò gli occhi fuori della spelonca, a una pianta di nocciòlo
di cui soleva a suo tempo cogliere i frutti per cibarsene quando, di tanto in tanto,
faceva un po' di rialto. Il nocciòlo, che fiorisce ogni volta ritornano le
Quattro Tempora, era tutto coperto di fiori.
«Il Signore», dice il romito al falso angelo, «il Signore che
li ha ordinato di cogliere per il suo povero servo un grappolo d'uva non ti avrà
detto però che tu la cogliessi fin ch'era acerba, ch'egli non vuole di certo
che al suo povero servo si alleghiscano i denti. E quando mai s'è visto che
l'uva maturi prima che il nocciòlo abbia fatto le nocciòle? »
Così dicendo gli additò l'alberello dalle quattro primavere, che si
trovava ora nella sua seconda... «Vai dunque, e se il Signore vorrà
esser così misericordioso col suo povero servo, ritorna fra tre mesi, che
sarà il tempo giusto ».
Al diavolo non passò neppur per il capo di proporre al romito che assaggiasse
in ogni modo del grappolo, e, messo in ciampanelle dalla vista di quella pianta inspiegabilmente
fiorita, non notò neppure, o non fece notare, che tutte l'altre o incominciavano
a scolorire o già perdevan la foglia.
Ma tre mesi dopo, novanta giorni contati, sotto le solite vesti e con in mano il
solito inganno, il diavolo era di nuovo alla spelonca del romito, il quale si trovava
parimente digiuno da mezza settimana per ragione delle Quattro Tempora dell'Avvento,
che cadono, come si sa, tra la fine dell'autunno e il principio dell'inverno.
Sicuro questa volta del fatto suo, il diavolo non guardò neppure al nocciòlo,
e, senza neppure stare a ripetere chi lo mandasse e a che fine, si contentò
di ricordare al romito che i tre mesi erano passati, che l'uva, ora, era fatta...
Ma il romito, com'uno che guardi il proprio orologio per assicurarsi dell'ora, fissò,
attraverso la bocca della spelonca, la solita pianta, la quale, non meno precisa
di un calendario, segnava con una terza fiorita il nuovo digiuno trimensile. Il romito
l'additò al tentatore:
«Amico, e non era fiorito il nocciòlo quando tu venisti l'altra volta?
Come si spiega dunque, se son passati tre mesi, ch'io lo vedo ancora fiorito? »
Si spiegava benissimo solo conoscendo il costume particolare di questa pianta, come
il romito lo conosceva; ma il diavolo, che tanto lunga non la sapeva, si trovò
di nuovo in confusione e dovette rassegnarsi a un altro rinvio di tre mesi, e poi
a un altro ancora - per via di quel nocciòlo sempre, sempre, sempre e poi
sempre fiorito -, tutti col medesimo frutto della delusione e delle beffe, finchè,
con un segnettino di croce, il romito non pose termine al gioco levandoselo per sempre
dai piedi.
Anche le civette, si dice, impaniano, e non è nulla a pensar
che una pianticella come il nocciòlo abbia potuto ingannare chi ingannò,
pur con una pianta, tutto il genere umano. Se poi qualcuno volesse dir che il nocciòlo
prendesse da allora - per un miracolo di Dio a favore di un suo servo tentato - questo
suo costume di fiorire a tutte le Quattro Tempora, è padrone di farlo. Documenti
in contrario, io l'assicuro, non ce ne sono.
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 105-112.