«Dovunque tu vada,» canta a Cristo l'inno delle Vergini, «le Vergini ti seguono, li corron dietro acclamandoti…»
Quocumque tendis, Virgines
Sequuntur atque laudibus
Post te canentes cursitant…
Infatti, nel misto coro dei celicoli che
accompagnano dal primo giorno d'Avvento all'ultimo dopo la Pentecoste tutti i misteri
del Signore, le voci bianche suonan frequenti, chiamando Sposo Colui che l'altre
chiamano Signore, Re, Padre. L'Avvento, il tempo dell'Attesa, ne ha cinque.
Cinque vergini, Bibbiana, Barbara, Eulalia, Lucia e Odilia, attendono, con in mano
le loro lampade ben fornite, che s'oda a mezzanotte quel grido: «Ecco lo Sposo
che arriva», Christus natus est nobis, per seguirlo alle nozze. Da tutta
la terra si son mosse — dall'oriente è venuta Barbara, dalla Spagna Eulalia,
da Roma Bibbiana, dalla Sicilia Lucia e dalla Gallia Odilia — perché tutta
la terra aspetta l'arrivo di questo Sposo, che la ricolmerà di letizia riapparentandola
col cielo. Le lampade, tolta solo quella di Odilia, sfavillano di luce rubigna, luce
di sangue. Sangue infatti l'olio che le prudenti vi hanno versato, olio di lor proprietà,
non comprato dai venditori, sangue delle loro vene versato per amor dello Sposo.
Vergini e martiri. Il martirio fu la loro prudenza, fu il mezzo con cui si mantennero
fedeli allo Sposo. Grazia, nobiltà, ricchezza, nulla di ciò che piace
agli uomini mancò a loro, nulla di ciò che hanno gli uomini piacque
a loro.
Desiderate dagli uomini, desiderose di Cristo, lasciaron per Cristo grazia, nobiltà,
ricchezza, lasciaron la vita, ed ebbero da Cristo la vita eterna, le ricchezze inconsutili,
infurabili del paradiso, la nobiltà di spose di Dio, la grazia che piace a
Dio. Ebbero pure sulla terra, in cospetto degli uomini, la gloria della Chiesa bellante,
che le festeggia, ne ripete le gesta, a ogni ripetersi del giorno in cui passarono
da lei alla Chiesa triofante.
Due dicembre: santa Bibbiana: Bibbiana, virgo romana, nobili genere nata, christiana
fide nobilio fuit… Figlia di un martire e di una martire, a questa vera nobiltà
di sangue aggiunse l'onore del sangue proprio, offerto, insieme a una sorella, con
una costanza che stancò lusinghe e tormenti. Il carcere, le verghe, i flagelli,
usati contro il suo fragile corpo per indurla a abbandonar Cristo, furono altrettanto
impotenti a fletterne l'animo, quanto, a vincerne il cuore, rovente delle concupiscenze
celesti, furon le promesse dei frigidi piaceri mondani. In questo solo i supplizi
differirono dagli allettamenti, che se di questi ebbe orrore di quelli ebbe gioia.
Furono infatti i supplizi che la condussero alle gioie eterne, furono le sferze che,
rivestendone le nude membra di sangue, le diedero la porpora conveniente a chi andava
sposa di Cristo.
Quattro dicembre: santa Barbara. Barbara, virgo nicomediensis, Dioscori nobilis
sed superstitiosi hominis filia… Dove Bibbiana aveva un incitamento, nel padre
morto per la fede, Barbara, meno fortunata, ha l'ostacolo. Dioscoro è avversario
della fede, e avversario tale che non gli dorrà di farsi, in odio a lei, carnefice
del suo proprio sangue. Prima dei tormenti adopra anch'egli le lusinghe, ma le lusinghe
sono per Barbara i veri tormenti, mentre i tormenti le son lusinghe. Geloso della
sua bellezza, mediante la quale sogna di aggiungere per via di nozze nuova fama alla
sua famiglia, la rinchiude, perché non vegga nessuno e nessuno la vegga, dentro
una torre: ma la torre non impedisce a Barbara di vedere e udire Quello a cui ha
dato il cuore, o d'essere da lui vista e udita. Non giovando ai fini di Dioscoro
tale mezzo, per la fermezza della fanciulla nel respingere ogni proposta paterna,
Dioscoro trasforma il carcere in luogo di piacere con l'istituirvi un bagno provvisto
d'ogni agio e dando a lei facoltà d'introdurvene a suo capriccio: ma Barbara
non si vale del suo potere se non per chiedere, mentre il padre è assente,
che alle due finestre dell'edifizio se ne aggiunga una terza, in onore della Santissima
Trinità, e che nel bagno venga dipinta una croce. Deluso e sdegnato, Dioscoro
passa allora ai gastighi, superando nello straziare la figlia l'ardore e la costanza
di un tiranno nello straziare un nemico. Vinto tuttavia dall'ardore e dalla costanza
di lei, prende infine la spada e con le sue mani la uccide, mandandola così,
con le sue mani, a quelle nozze per ritrarla dalle quali si era fatto tanto feroce.
Dieci dicembre: santa Eulalia. Germine nobilis Eulalia, mortis et indole nobilior…
Tutte le grazie fanciullesche sono, col lustro del sangue, in questa fanciulla di
dodici anni che, precocemente innamorata, s'è scelto l'amore più alto:
quello di Cristo. Mentre se ne sta, piamente lieta, fra gli agi della sua casa, le
giunge la notizia che Cristo, nei suoi fratelli, è perseguitato. Né
l'affetto né il dolore né la prudenza dei genitori — che, conoscendone
e perciò temendone l'ardore, l'hanno portata e la tengono quasi nascosta lontano
dalla città — riescono allora a impedire l'innamorata fanciulla. Vincendo
anche l'infantile orrore del buio, essa fugge, di nottetempo, né si stanca
di correre, benché sia lunga la strada, finché non si trova, ansante
di fatica e di desiderio, là dove ai fratelli di Cristo vien dato a scelta
di tradir Cristo o morire... I giudici, in principio, sorridono, nel vedere, nel
sentir questa bambina che li rimprovera di rovinare le loro anime facendo il male
ai cristiani, si dichiara anch'essa cristiana, dichiara Iside, Venere, Apollo non
esser altro che sassi lavorati dallo scalpello, e si offre lieta a tutti i loro tormenti
in testimonianza della sua fede. Poi, indulgenti all'età, all'avvenenza, al
cognome, cercano con le parole d'indurla a invertir linguaggio e proposito avendo
riguardo a quelle stesse ragioni che dettano la loro indulgenza. Irritati, infine,
del suo perseverante rifiuto, com'essa del loro indugiare a blandirla, né
l'età né l'avvenenza né il cognome li trattiene dal sevir contro
di lei, o modera, nella specie o nella misura, i loro rigori. Eulalia, superando
all'atto l'intrepidezza delle parole, guarda sorridendo i carnefici che con unghie
di ferro le rigano le tenere membra, quasi ancelle che la vadano pettinando a nozze;
guarda il sangue che le scende a rivoli lungo la persona, e si rallegra ch'esso serva
quasi da inchiostro onde si scriva sul suo corpo il nome di Cristo; guarda finalmente
le torce che si preparano per abbruciarle le ferite, e canta, al colmo della letizia,
quasi vedesse avanzar le fiaccole fra cui scortarsi allo Sposo. Il fuoco, apprendendosi
ai suoi spioventi capelli, l'avvolge tutta di luce, e la luce abbaglia gli astanti,
quasi avessero visto a Eulalia, all'anima di Eulalia, morta, aprirsi la casa dello
Sposo.
Tredici dicembre: santa Lucia. Lucia, virgo syracusana, genere et christiana fide
ab infantia nobilis… Bramosa di maggiormente salire in questa seconda sua nobiltà
quanto di nasconder la prima, Lucia chiede alla madre, quasi in compenso della guarigione
che le ha ottenuta pregando, che la dote a lei stabilita venga divisa tra i poveri,
essendosi già lei promessa a uno Sposo, senza paragone il più glorioso
e il più grande, il quale non vuole dote all'infuori del cuore. La delusione
accende d'ira chi credeva già sua, dietro parola dei genitori, la bella e
ricca fanciulla. Mutato in odio l'amore, egli accusa Lucia al prefetto come cristiana,
e Lucia, chiamata dal prefetto, conferma, con la più lieta confessione, anzi
vantazione, l'accusa. Riuscite vane, anche con lei, le lusinghe, riuscito vano il
disegno di gualcirne la purità (nessuno, infatti, per un prodigio, riesce
a smoverla dal tribunale allorché il prefetto comanda che sia portata in un
luogo di depravazione), il prefetto passa, altrettanto inutilmente, ai supplizi,
e infine, riuscito vano anche il fuoco (che, accesole d'intorno, né l'atterrisce
né la lambisce), comanda che con la spada le sia trafitta la gola. Così
muore Lucia, così, cinto il collo con i rubini del suo sangue, essa si presenta
allo Sposo che non vuole altra dote, altra nobiltà, altra grazia se non quella
del cuore.
Tredici dicembre: santa Odilia. Odilia, suae decus et praesidium patriae, Attici
Alsatiae ducis et Beresinclae primogenita soboles fuit… Lei sola, l'ultima, fra
le Vergini dell'Avvento, alla nobiltà del sangue avuto non aggiunse — non
le fu dato di aggiungere — quella del sangue versato; lei sola, nel suo stemma celeste,
non intreccia al giglio la palma. L'ameremo forse, per questo, meno dell'altre? Le
nozze vennero tardi per lei, perché non ebbe, come l'altre, un tiranno che
le abbreviasse con la spada o il fuoco l'indugio, sebbene avesse come l'altre un
padre e dei pretendenti a cui dovere resistere. Dolente, dunque, di attendere, essa
cercò sulla terra almeno un'immagine dello Sposo, un'immagine la più
somigliante, da amare e servire quasi fosse lo Sposo stesso, finché non fosse
con lo Sposo, e la trovò dove lo Sposo già da sé si era rappresentato
e quasi coimpersonato: la trovò nell'infermo.
I poveri e gl'infermi furono l'amor terreno di Odilia. Per essi impiegò tutta
la sua parte delle opulenze domestiche, per essi raccolse in torno a sé molte
altre vergini, con le quali gareggiò, mai vinta, in ciò che ad altri
sarebbe parso abbassarsi ed era per lei il più alto elevarsi. Lo sapeva per
fede e lo vide manifesto il giorno che un povero lebbroso, evitato da tutti e da
lei raccolto, stretto al seno, rifocillato e medicato, si mutò a un tratto
fra le sue braccia in un essere tutto splendente e aulente, di una luce, di una soavità
senza simile in terra.
Per questo suo amore al povero, all'infermo, all'inope, Odilia è degna d'entrar
quinta nel numero delle Prudenti, di andar con Lucia, con Eulalia, con Barbara, con
Bibbiana incontro al Cristo veniente. Sarà lei, lei che lo vide e lo riconobbe
sotto la forma del lebbroso, sarà proprio lei che ce lo indicherà,
che ce lo farà riconoscere nella povertà di Betlemme, nello squallore
di una greppia — come l'altre, le martiri, ci potranno aiutar, fra breve, a riconoscerlo,
fatto davvero irriconoscibile, nell'obbrobrio d i una croce.
Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2,
pp. 70-78.