IL PANE SOTTO LA NEVE
IX - UN TUBO DA LUME

A quante cose ci si può affezionare finchè il cuore seguita a batterci dentro la cassa del petto! Io, per esempio, proverò un gran dolore il giorno che andrà in frantumi questo tubo da lume. Seppure non morirò prima io, e il tubo, con tutto il lume, passerà ad altri come da altri è passato a me.
Perchè, insomma, nessuno lo crederebbe ma questo tubo ha non meno di settant'anni, l'età della casa. C'era per l'appunto - mio padre se ne ricordava - quando si benedì la casa, ed eccolo ora qui che m'aiuta, che lavora con me, come il sole col contadino, illuminando il campicello di carta sul quale vo allineando i miei solchi d'inchiostro.
Settant'anni, l'età ordinaria dell'uomo - dies annorum nostrorum in ipsis septuaginta anni -, un tubo da lume! Coetaneo della casa, di questo grande cubo di pietra, questo piccolo cilindro di vetro! Chi avesse detto a un di quelli che lo videro illuminar la nuova sala la sera della benedizione: - Ecco, tu vivrai quanto vivrà questo tubo -! E invece, nessun di quelli è più vivo, e il tubo è vivo. Vivo e sempre lo stesso: sano, lucido e forte come poteva essere in quel primo giorno della casa; mentre la casa non è più quella: sette diecine d'anni e due o tre scosse di terremoto intervenute in questo tempo ne hanno addebolita la compagine e resole necessario il rinforzo di alcune catene di ferro.
Impenetrabilità del futuro, fallacità delle previsioni umane: ecco la prima lezione, la prima luce, che mi dà questo fragile cannelletto (ricordandomi anche l'evangelico nonne duo passeres...) ed ecco una delle ragioni per cui gli sono affezionato. Un'altra: questo tubo, che ancora serve la casa dopo settant'anni di vicende mondane, che non è stato sostituito dalla fredda, impassibile «lampadina», dice in certo modo la fedeltà della casa allo spirito antico, la continuità della famiglia nel variar dei tempi e nel succedersi dei suoi membri.
Quale variare e quale succedersi in settant'anni! E questo lume ha visto tutto, s'è trovato a tutto: se potesse parlare... Ha visto, per esempio, me nascere. Diciamo meglio: la sera ch'io nacqui, quella piovosa buia sera di novembre che fu la prima della mia vita, esso rischiarava la camera dove mia madre diveniva per la quinta volta madre; cosicchè la prima luce ch'io vidi venendo alla luce la vidi attraverso questo tubo. E mi diceva, a suo modo, questo tubo, questa colonnetta di vetro acceso, mentre io, ancora «ebreo», la fissavo come gli Ebrei fissavano la colonna di fuoco che li guidava di notte per il deserto: - Ecco che tu sei un uomo; non ancora un cristiano, ma tra poco (con un po' d'ac.qua e certe parole) sarai anche un cristiano, cioè un uomo perfetto, cioè (non te ne avere a male) un qualche cosa come me: una fiamma che si chiama anima, e un involucro, un tubo, che contiene la fiamma, il quale si chiama corpo. La fiamma non può fare a meno del tubo e il tubo non avrebbe senso senza la fiamma: essi si servono a vicenda e tutto va bene finchè procedono in armonia. Ma se il di fuori s'insudicia il di dentro non fa più lume, e se la fiamma fa fumo anche il tubo s'annerisce, col danno dell'uno e dell'altra. Così è dell'anima e del corpo: il limo dei sensi accieca a poco a poco lo spirito, e il polluir dello spirito travolge a male anche i sensi. Tu, se vuoi aver lume e far lume (doppio compito del cristiano), bada che la fiamma, lo spirito, sia sempre chiara, sempre contenuta; che l'involucro, i sensi, sia sempre netto, sempre trasparente; bada, in breve, di mantenerti, anima e corpo, quale ti restituiranno tra poco l'acqua e le parole battesimali -. Che cosa mi dissero, il giorno dopo, alla chiesa? In altri termini le stesse cose: Accipe vestem candidam... : «Prendi questo bianco vestito e portalo senza macchia al tribunale di Gesù Cristo... » Il vestito - cioè l'involucro, cioè il corpo. E quindi: Accipe lampadam ardentem... : «Prendi questa lampada ardente e custodisci irriprensibile il tuo battesimo... » La lampada - cioè la fiamma, cioè l'anima.
Così mi fu detto, in doppio modo, quando io nacqui e quando rinacqui, ma furon purtroppo parole al vento. Appena fui giunto all'uso di ragione cominciai a non far uso della ragione, e ho seguitato, purtroppo, e seguito tuttavia. Povera fiamma, quanto fumo! e povero vestito, quanto fango!
Anche il lume, è vero, ogni tanto cessa di far lume o lo fa meno lucido: è il tubo che s'è affumicato di dentro o s'è appannato di fuori. Ma esso non ne ha colpa, o lo fa per insegnare a me come si riacquisti la perduta chiarezza. Come? È una cosa vecchia: lavandosi. Un po' d'acqua e uno straccio bastano al tubo per tornar nuovo. Quanto a me, la cosa è un tantin diversa, più semplice e più complicata, ma l'effetto è lo stesso. Più semplice, perchè si tratta, in conclusione, di dire delle parole, e più complicata, perchè queste parole bisogna dirle in ginocchio, dirle a un uomo come noi, e non son parole che ci facciano onore, ma parole... parole da dirsi per l'appunto in ginocchio, cioè peccati. Ma l'effetto, l'effetto è che quando quell'uomo come noi - come noi, magari, anche nei peccati - ha fatto su noi, dopo averci ascoltato, un certo segno di croce, è come se quel segno l'avesse fatto Iddio, chè cì sentiamo puliti, alleggeriti, rinati, spogli di tutte le scorie che ci negavan la luce o negavan noi alla luce.
E non vorrò dunque bene a un oggetto, sia pur comune, sia pur di fragile vetro, che mi rammenta e m'insegna tante e tali cose?
In settant'anni dacchè esiste, questo tubo non ha visto soltanto nascere: ha visto anche morire... E lo ricordo nella camera di mio padre quella mattina di maggio che noi gli chiudemmo gli occhi ormai incapaci di luce. La luce del giorno, precedendo il sole, già invadeva la stanza sostituendo ovunque la notte. Dirimpetto alla finestra, sul marmo di un mobile, il vecchio lume, che aveva vegliato l'agonia di mio padre, aveva ritratto la sua luce tutta fra le pareti del tubo, e il tubo stesso e la stessa fiammella anzichè illuminare parevano, ormai illuminati dalla bianca luce ond'eran sommersi. Lo guardai per caso, e il lume ebbe compassione del mio viso lacrimoso: - Tu piangi morto tuo padre, - mi disse, a suo modo, - tu credi spenti i suoi occhi e con pia mano li hai chiusi. T'inganni: tuo padre è vivo, tuo padre vede... È avvenuto a lui (se non ti paia irriverenza) è avvenuto a lui da parte di Dio quel che da parte del sole ora avviene a me. Tu mi vedevi bene stanotte, mentre m'avvolgevan le tenebre, e ora è per te come se io non ci fossi. Perchè? Perchè una luce maggiore involge ora la mia luce; perchè alla notte è succeduto il mattino: un mattino, che, per me, come per te, volgerà di nuovo alla notte, mentre tuo padre... Sommerso nella luce di Dio, tuo padre non conoscerà più il color della notte. Egli ha vissuto e creduto, ora vive e vede: ora può cantare con Davide: Tu illuminas lucernam meam, Domine...
La morte è una cosa tanto dura, a prima vista, che anche un lume può essere oggetto di gratitudine se anche da lui ci venne un po' di luce a vederla meglio... È un'altra delle ragioni per cui voglio bene a quest'umile compagno e mio collaboratore notturno.
Ah, la morte! e pensare che mi toccherà morire anche a me! Pensare che questo lume, che ora illumina il foglio su cui vado scrivendo, un giorno illuminerà forse le pagine del rituale su cui un prete mi leggerà le parole: Proficiscere, anima christiana, de hoc mundo... E la morte non è nulla appetto a quel che verrà dopo! Il Paradiso, lo so; la vita eterna, lo credo; ma, nell'ordine dei novissimi, c'è, dopo la Morte, il Giudizio, e prima del Paradiso l'Inferno.
L'Inferno! Se un prete si troverà vicino al mio letto prima ch'ío muoia, io spero di poter evitare il fuoco inestinguibile, ma chi mi salverà dal fuoco del secondo regno? - Nessuno ti salverà, perchè tu hai peccato; ma, giacchè tu hai peccato, è misericordia, ora, il fuoco. Senza il fuoco che ti purghi, com'entrerai in Paradiso? Senza il fuoco che ti disgravi, come sarai compagno degli angeli? Senza il fuoco che ti disterri, come penetrerai la luce di Dio? Anch'io (l'accostamento non t'offenda) anch'io vengo dal fuoco. Ero terra, terra come quella che si calpesta, e ora son cristallo, ora sono luce. Il fuoco mi ha fatto questo... - Chi è che parla? È ancora il mio tubo, è ancora il mio vecchio tubo che mi consiglia, mi consola, mi aiuta.
Per quanto ancora? E chi sarà di noi due a romper la dolce società? Chi morirà prima? Mistero. Nè la sua fragilità nè la mia robustezza m'ingannano. Ogni sera, allorchè, dal letto, allungo la mano per spengerlo e addormentarmi, mi vengono in mente certe parole: «Vegliate, perchè non sapete quando verrà il padrone: se a sera, se a mezzanotte, se al canto del gallo, se la mattina; affinchè, arrivando improvviso, non vi trovi addormenti »; e allorchè, per mancanza d'olio, la fiamma smortisce, mi ricordo di cinque vergini, invitate a nozze, che si trovaron senz'olio e furono escluse dalla festa, perchè lo sposo era giunto, a mezzanotte, quand l'esse non lo aspettavano.
Certo mi piacerebbe che a illuminar la mia morte fosse, nella medesima stanza, questo medesimo lume che illuminò la mia nascita, quasi a confondere con le luci dell'alba le luci del tramonto, quasi a dir che il morire, per i figli della speranza, non è che il compimento del nascere; che la vita, allorchè crediamo che cessi, allora, veramente, comincia.

Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2, pp. 59-66.


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