A una settimana di distanza
dalla Pentecoste, la Chiesa intona: Benedicta sit sancta Trinitas, atque indivisa
Unitas...: «Benedetta sia la santa Trinità e l'Unità indivisibile:
confessiamola, giacch'ella ha fatto con noi la sua misericordia»: confitebimur
ei, quia fecit nobiscum misericordiam suam! E la confessano nello stesso tempo
il sacerdote, all'altare, leggendo l'introito, formato di tali parole; il coro, dietro
l'altare, cantando ciò che il sacerdote legge, e il popolo, dirimpetto all'altare,
segnandosi insieme al sacerdote e al coro, nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo.
Benedicta sit sancta Trinitas, atque indivisa Unitas... Trinità e Unità,
Tre in Uno, Uno in Tre... Chi ha svelato al sacerdote il gran segreto divino? Chi
l'ha rivelato all'indotto cantore della mia parrocchia? E al popolo, all'illetterato
bifolco, alla semplice massaia, al rozzo guardiano di pecore, chi l'ha rivelato?
Il fanciullo di sette anni pronunzia non meno tranquillo del sacerdote il triplice
nome divino: chi gliel'ha detto? Salomone, il più gran sapiente, lo ignorava.
«Io ,non conosco la vera Sapienza, non ho la scienza di quel che è santo.
Chi è che sia salito al cielo e ne sia disceso? chi tiene nelle sue mani il
vento? qual'è il nome di lui e quale il nome del suo Figliolo, se tu lo sai?»
Il fanciullo di sette anni lo sa e risponde a Salomone che il nome di lui è
Padre, che il suo Figliolo è il Verbo, e il Vento ch'egli tiene nelle sue
mani scuoteva or sono sette giorni il Cenacolo col nome di Spirito. Salomone lo ignorava,
e con lui tutti gli antichi, benchè la voce tricorde dell'unico Dio suonasse
già nel principio sopra la terra.
La terra era nel suo sesto giorno, e dal mattino l'abitavano gli animali privi di
penne, mentre gli uccelli e i pesci movevan già l'aria e l'acqua dal giorno
quinto, e da tre giorni le piante ombreggiavano il suolo, allorchè l'Unico
disse, come chi non unico opera nè a sè solo discorre: «Facciamo
l'uomo a nostra immagine e somiglianza». E il Padre, il Verbo, lo Spirito crearono
con un soffio solo colui che ha, in un essere solo, potenza, intelligenza e volere.
Ma l'uomo, fatto che fu, non conobbe in sè l'orma delle tre Persone unidivine,
non intese come il tre stesse nell'uno o l'uno nel tre - nè l'intese poco
dopo, quando vide dalla sua carne procedere un altro essere, la donna, e poi da sè
e dalla donna un altro essere ancora, il figlio, tanto che in una sola umana natura
eran tre distinte persone. Inabile a dedur da sè, o dalla propria famiglia,
quella divina Aritmetica che a sua immagine e somiglianza lo aveva essenziato, nemmeno
fu valido a dedurla dal proprio regno, da quell'unica creazione che l'Unitrino aveva
fatto in numero, peso e misura, raggiando sempre dall'uno il tre senza dividerli
tra loro. Dal caos, l'aria, il liquido e il solido, ma in modo che ognuno di essi
potesse convertursi e si convertisse continuamente negli altri due; dal solido, il
minerale, il vegetale e la carne; dalla carne, il volante, il nuotante e il camminante.
E nell'unità d'ogni forma, tre dimensioni: unità e trinità così
legate tra loro, così necessarie, che l'uno non può esistere senza
il tre (non può esistere un corpo senz'aver larghezza, lunghezza, profondità)
e parimente il tre senza l'uno, le dimensioni senza la forma, e chi dice uno dice
tre, come chi dice tre dice uno.
Il Numero che Adamo non intese se non come Uno, non intesero diversamente per molti
secoli i suoi figli, neppur chi l'ebbe, come Abramo, in tre persone alla sua mensa
nel maggior caldo del giorno, nè chi scrisse, come Davide, sotto la dettatura
divina: «Dal Verbo del Signore i cieli ebbero sussistenza, e dallo Spirito
della sua bocca tutte le loro virtù»; nè chi sentì, come
Isaia, i serafini cantare alternatamente intorno al trono: «Santo Santo Santo
il Signore Dio degli Eserciti!» e disse, non di sè nè del suo
tempo: «Lo Spirito del Signore sopra di me, perchè il Signore m' ha
unto affinchè recassi ai mansueti la nuova».
Ma quello di cui il profeta parlava venne, nella pienezza dei tempi, e dopo essersi,
nella sinagoga di Nazareth, appropriata la profezia, l'adempì recando la nuova
- quella nuova, del Tre in Uno e dell'Uno in tre, da cui vien che il fanciullo di
pochi anni vinca ormai Salomone, e i rustici cantori della mia parrocchia s'accostino,
cantando oggi il trisagio, agl'incorporei cantori dei «cerchi primi»;
mentre - d'intorno al suo capo, il sacerdote -- un popolo di bifolchi, di guardiani
e di massaie, facendo festa «al Padre, al Figlio, allo Spirito Sante»,
par tragga in terra il Paradiso.
Sorella infatti di quella lassù che già trionfa è questa ancor
guerreggiante Chiesa che oggi celebra, acclamando la Trinità, il suo primo
scendere in campo, il quale fu sotto l'insegna di lei, secondo l'ordine estremo di
chi l'armò e la comanda: «Andate dunque, istruite tutte le genti , battezzandole
nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo».
Benedicta sit sancta Trinitas, atque indivisa Unitas... Così, in tono
marziale, a bandiere spiegate (e nelle bandiere il vento del Cenacolo), incomincia
il tempo della Chiesa. Ultimo dei tempi liturgici - e tempo di raccolta - par che
si voglia, col primo introito, riassumer tutto il trascorso, innanzi di slanciarsi
in battaglia: Confitebimur ei, quia fecit nobiscum misericordiam suam: «Confessiamola,
giacch'ella ha fatto con noi la sua misericordia». Misericordia creatrice del
Padre - e s'esaltò nell'Avvento; misericordia riparatrice del Figlio - e splendette
dal Natale all'Ascensione; misericordia confermatrice dello Spirito - e fiammeggiò
nella Pentecoste. Tutte e tre le Persone eterne si adopraron per noi; di tutte è
opera la Chiesa - e nel nome di tutte, col presidio di tutte, scende oggi in campo
la Chiesa. L'introito, resi gli onori - confitebimur ei - alla Maestà,
ha subito un grido quasi di schiera in atto di rompere all'assalto, vedendo nel proprio
ardor di conquista come raggiunto già e sottoposto, quel che a prezzo di sangue,
a palmo a palmo, con guerra varia e lunghissima si dovrà strappare e tenere:
Domine, Dominus noster, quam admirabile est Nomen tuum in universa terra!
«Signore, Signor nostro, quant'è bello il tuo Nome là per tutta
la terra!»
Voci di lode e voci di battaglia. Così è tutta questa messa, così
tutta questa festa, così tutto questo tempo, secondo il doppio ufficio - esaltare
e combattere - assegnato in terra alla Chiesa. Non ignara dell'asprezza di questa
guerra, della forza nemica e della debolezza dei combattenti, la colletta, dopo le
acclamazioni del Gloria, subito si rivolge all'aiuto: Deus, in te sperantium fortitudo...:
«Dìo, fortezza di chi in te confida, accogli propizio le nostre domande,
e poichè niente può fuor di te l'infermità ci mortale, soccorri
tu con la tua grazia, sì che eseguendo i tuoi comandi possiam piacerti con
l'opera non meno che col volere...» E l'epistola par che m'appoggi le ragioni:
...quoniam ex ipso, et per ipsum, et in ipso sunt omnia; a cui il vangelo,
esaudendo: ...Et ecce ego vobiscum sum, «ed ecco ch' io son con voi
tutti i giorni sino alla fine del mondo».
Usque ad consummationem saeculi. Tanto durerà infatti la guerra, tanto
la Chiesa - e con questa scena della fine termina, dopo ventiquattro settimane, quest'ultimo
tratto dell'annua vicenda liturgica destinato a figurar la vita della Chiesa. Cosicchè
ai combattenti, già nel primo giorno di guerra balena dinanzi il giorno ultimo,
della fine, del giudizio, dell'eternità - nella quale il combattere avrà
ceduto al trionfo, non rimanendo del doppio ufficio terreno che l'inebriante, il
beatificante lodare.
È, quel che chiede, a sera di questo giorno, malinconico e dolce come una
canzone di soldati, l'inno del vespro:
Iam sol recedit igneus:
Tu lux perennis Unitas
Nostris, beata Trinitas,
Infunde amorem cordibus!
Te mane laudum carmine,
Te deprecamur vespere:
Digneris ut te supplices
Laudemus inter caelites
E sarà lode alla Trinità:
Patri simulque Filio,
Tibique, Sancte Spiritus:
«Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo», nel cui nome la Chiesa ecco oggi incomincia.
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