LA TUNICA STRACCIATA
Dalla «Missa Papae Marcelli»

Com'eran belle quelle nostre Messe cantate! E c'era, in quelle parole, tanto rimpianto che m'hanno fatto tornare in mente il Super flumina Babylonis... con la differenza che i «babilonesi», qui, non ci chiedono ma ci vietano di cantare i nostri canti, i «canti di Sion», imponendoci di cantare i loro o tacere.
Babilonia, qui, per traslato, è Bologna, la Bologna liturgica impersonata da vostra Eminenza, la quale, purtroppo, in quanto «diocesi-guida» (Bononia locuta est), docet, fa scuola, anche in questo, a tutte le altre, le quali vi seguono semplici e quete come le pecorelle dantesche e quel che là si fa fanno o faranno, senz'affatto chiedersi «lo 'mperché» o se là si faccia, ciò che si fa, ricordando pur vagamente una certa Constitutio de sacra Liturgia votata dai Vescovi in Concilio e di cui fa parte un capitolo, il VI, dedicato al canto, precisamente intitolato De Musica sacra.

Si tratta di dieci articoli, in forza dei quali... bisogna proprio riconoscere che la sacra Colomba aleggiava in San Pietro, durante i sacri lavori, tenendo a bada l'intruso, scatenato come si disse ad perditionem animarum... Dico bisogna, perché alla Musica sacra, in Concilio, gl'«innovatori» intendevano far subire la sorte già sognata per il Latino. Prova ne sia che della Commissione preparatoria nessun musicista fu chiamato a far parte, vuoi per il suo personale valore vuoi per l'alta carica ricoperta in campo, come se a un convegno per la pubblica sanità fosse superfluo invitare i medici, pur essendocene sul posto e piuttosto di chiara fama. Il che essendo a qualcuno sembrato assurdo, e avendo quel qualcuno chiesto il perchè di tali esclusioni, non è mancato fra gl'«innovatori» chi, senza riguardi, lo ha detto: per le loro idee, che non sono «idee nostre». Come difatti.

Ma nonostante il cattivo inizio, nonostante l'ostracismo dato alla competenza e al talento, nonostante le intenzioni e gli sforzi di far del gregoriano e della polifonia dei «ci-devant», il sovversivismo non l'ebbe vinta, neanche in questo: come già per il latino, per la Musica sacra il Concilio disse: «SERVETUR: si conservi», e il primo dei dieci articoli a lei consacrati la esalta, accogliendola dal passato per il presente e l'avvenire, come un tesoro d'incalcolabile prezzo, indeclinabile e irrinunziabile per la Chiesa: «Musica traditio Ecclesiae universae thesaurum constituit pretii inaestimabilis... : la tradizione musicale della Chiesa costituisce un patrimonio d'inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell'arte...» Elogio che si rinnova passando alla statuizione, chiara e risoluta come s'è detto: «Thesaurus Musicae sacrae SUMMA CURA SERVETUR et foveatur... : si conservi e s'incrementi con somma cura il tesoro della Musica sacra», e a questo scopo «si premevano con impegno le Scholae cantorum... si curi molto la formazione e la pratica musicale, praxis musica, nei seminari, nei noviziati, negli studentati» e via e via.
Fra i generi di Musica sacra, il gregoriano ha logicamente il primo posto: «Ecclesia cantum gregorianum agnoscit ut liturgiae romanae proprium: la Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della Liturgia romana e vuole perciò che nelle azioni liturgiche abbia il posto principale». Accanto, meglio che dopo, la sacra polifonia: «Alia genera Musicae sacrae, praesertim vero polyphonia, in celebrandis divinis Officiis minime excluduntur»; e quanto questa comitanza (ai fini del «pregare in bellezza»: Pio X) stesse a cuore alla Chiesa dirà Paolo VI ai tremila giovani francesi che lo han commosso cantando in San Pietro una Messa pontificale in gregoriano e sacra polifonia latina: «Forse alcuni di voi sono preoccupati per le future applicazioni della Costituzione sulla sacra Liturgia... Rileggano costoro le pagine di questo ammirabile testo riguardante il canto liturgico, e in particolare le parole: " Si conservi e s'incrementi con somma cura il tesoro della Musica sacra e Noi pensiamo ch'essi saranno pienamente rassicurati».
Ne avevamo infatti il diritto; ma che cosa conta il diritto nel tempo di «superbia e sovvertimento» che attraversiamo e che richiama giusto a memoria le tristi parole di Matatia? Sconfitti in San Pietro, gl'«innovatoti» hanno, per rifarsi, San Petronio, e si rifaranno, anche in questo, vietando ciò che là si è ordinato, ordinando ciò che là si è vietato.



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