LA TUNICA STRACCIATA
Il «senso dei fedeli»

Ci conforta, d'altronde, a farlo l'esempio di un laico che parlò in chiesa, trattando uomini di Chiesa - dall'infimo al massimo grado di dignità ecclesiastica - con una libertà mai prima e mai dopo vistasi, e il Concilio lo ha esaltato, per la sua fede, quale il suo più profondo e sublime apologeta-poeta. Dico di Dante, Eminenza, che i vostri confratelli onorarono venendo in così cospicuo numero da Roma a Firenze; che i papi han gareggiato a onorare, e valga per tutti Paolo VI che gli ha dedicato fra l'altro il suo solenne motu-proprio Altissimi cantus, il quale non ignora ma loda, come segno del suo zelo, del suo forte filiale amore alla Chiesa, le sue invettive contro persone di Chiesa che a suo vedere non la onoravano: «officium iudicis ct correctoris, quod sibi vindicat, ipsi conciliat, praesertim cum lamentabilia vitia carpit...»
Parlando conformemente in un suo articolo - Un grido della coscienza cristiana - circa le cose che mi hanno indotto, Eminenza, a scrivervi questa, un pio e colto teologo, che per amore della sua pace non nomino, dice che dinanzi a certe «deviazioni» dei pastori «il peggiore dei guai sarebbe l'acquiescenza del gregge... e la sequela supina»; cita esempi di laici che si ribellarono, apertamente, clamorosamente, con scandalo, e la Chiesa li ha dichiarati santi; ricorda il «sensus fidelium che metteva in allarme i cristiani contro le novità d'Ario e di Nestorio», e le parole, in proposito, di sant'Ilario: «le orecchie dei fedeli son più cattoliche delle bocche di certi vescovi». Noi crediamo, Eminenza (dico noi, e non io, perchè siamo in molti a pensarlo), che siamo a questo, e ci facciamo perciò un dovere di militanti cattolici di lanciar l'allarme e resistere... Se mi accadesse, con voi, di farlo troppo ruvidamente, se la penna accusasse, come sento, il tremito dell'indignazione, mi valgano da parte vostra il perdono queste parole dette da un papa, Pio XI, a un vostro confratello, monsignor D'Avack, vescovo di Camerino, il quale le riferisce in un suo forte scritto premesso al libro di un vostro e mio amico, il celebre don Milani: «Sant'Ignazio, che di passioni se ne intendeva, ha una magnifica pagina in cui dice che tutte le passioni si devono reprimere, ma dell'irascibile un poco bisogna conservarne»: al che il vescovo aggiunge, e faccio mio il suo augurio: «Voglia il Signore che se pure sarò stato troppo vivace e forte, e perfino duro, ciò sia effetto soltanto della divina carità»: quella carità, mi sia permesso soggiungere, che spinse, più che trattener don Orione dal dire al suo vescovo, che aveva sciolto la sua nascente Congregazione: «Penso che domani Vostra Eccellenza non può, in coscienza, celebrare la santa Messa» (e don Barra, da cui apprendo questo episodio, narrato dal medesimo don Orione, lo commenta, su Il Nostro Tempo, parlando di un «peccato del silenzio», peccatum taciturnitatis, cosi definito dai teologi, «di cui sono colpevoli i cristiani abituati a rimanere indifferenti di fronte ai problemi della Chiesa»).
Non da oggi, ma oggi più chiaramente, le nostre orecchie avvertono la presenza di termiti nelle travature della Chiesa: termiti laicistiche, modernistiche, marxistiche, protestantiche, che allegramente rosicchiano, disintegrano, distruggono, al coperto di una dichiarata intenzione, da parte dei custodi, di non condannare nessuno, o almeno di farlo a bassa voce, riservando le condanne e la voce forte e il disprezzo a chi come noi depreca l'andazzo e lancia, appunto, l'allarme, sia pur in linea col Papa (come posso aggiungere rileggendo oggi queste pagine) che nella sua Lettera per il Congresso teologico dello scorso settembre denunziava i «pericoli delle erronee ideologie moderne, la cui virulenza è tale che minaccia di sovvertire le stesse basi razionali della Fede». Col che faccio ritorno a voi, al vostro «7 marzo»: «vostro», per quanto di «vostro» ci avete messo, a conclusione di un lavoro dichiarato da voi medesimo in atto, nella vostra diocesi, da più di dieci anni, con una giustificazione che giustificherebbe, se accolta, qualunque eresia: «nello spirito e nelle aspirazioni che hanno condotto alla Riforma»: un arbitrio, in fatto di disciplina, un libero esame, in fatto di culto, che licita qualunque «esperienza», da parte di chiunque, e han fatto e fan scuola, come vediamo - in campo liturgico - in tante chiese, dove ogni prete la fa da papa lasciando al Papa i suoi richiami e superando le vostre stesse disposizioni, già tanto al di là e al di fuori delle disposizioni legittime, intendo dir del Concilio.
Vero è che, in quanto al modo, voi avete agito diversamente dagli ortotteri ora nominati.
Sarebbe per vero improprio e ingiusto, Eminenza, parlare per voi di termiti, sebbene io vi ritenga - fatta salva in voi l'intenzione, CHE FU ED È SICURAMENTE L'OPPOSTA - l'insidiatore più temibile, dopo l'uomo di Wittemberg, e saltando quel povero Scipione Ricci il cui campo d'azione fu una piccola diocesi, dell'integrità, della compattezza, dell'UNITÀ della Chiesa, gelosa sempre di questo tanto da farne il suo primo titolo: «Et unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam...» Le termiti, infatti, rodon nascoste, in silenzio, al buio, mentre in voi di meno chiaro, non dico di oscuro, c'è solamente la maniera in cui avete raggiunto il posto, utile e necessario al lavoro: il posto, dico, di Presidente di quel Consiglio istituito per la retta esecuzione di un decreto conciliare in sè buono, che doveva, nelle vostre mani, esser travisato, violato, distrutto, considerato come uno «chiffon de papier». Lì giunto, e scelti da voi i vostri ausiliari, voi avete, dittatoriamente, agito sempre allo scoperto (telecamera, quanto più possibile, accanto) e il «7 marzo», la vostra Vittemberga, la messa in moto della «vostra» Riforma, fu preceduto e accompagnato, non mancando ai riformatori i soldi per farlo, da un tale strepito di propaganda da ricordar necessariamente l'inaugurazione di certe famose «opere del Regime» (e povero san Tommaso d'Aquino
*, se in cielo si potesse soffrire di certe coincidenze terrestri!)
Quel giorno, Eminenza, io benedissi Dio, che con una buona febbre «russa» (era detta cosi: non ne dispiaccia ai vostri Fanti
** e fantaccini di quella parte) mi aveva risparmiato di andare alla chiesa, di assistere, nella mia chiesa cattolica, al primo, come fu subito chiamato, «servizio divino». Effetti della febbre, di certo, ma mi parve proprio, quel giorno, dalla Lutherplatz di Worms, sentire, fra gran cachinni di gioia, esclamar: «Finalmente!»

* Il 7 marzo è la festa di San Tommaso d'Aquino, secondo il calendario romano antico (n. d. r.).
** Guido Fanti era il sindaco comunista di Bologna (n. d. r.).



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