IL PANE SOTTO LA NEVE
XVII - IL PRIVILEGIO DEL NOCCIÒLO

C'è fra le piante una pianta, non distinta dall'altre per maggior bellezza o grandezza, che ha su tutte l'altre il privilegio di ringiovanire, dico di spargere ìl fiore, quattro volle l'anno, cioè a tutte le stagioni e precisamente a ogni ricorrere di Quattro Tempora. Il perchè di questa sua distinzione lo saprà Chi ha fatto le piante: noialtri si sa soltanto che non c'è nè freddo nè alido che possa impedire al nocciòlo (sbagli magari il lunario) di metter fuori ogni tre mesi quei suoi batacchietti grigi i quali per i cristiani suonan sempre a vigilia. Del resto non è neppur detto che tutti conoscano questa specialità del nocciòlo, e scommetto se la conoscono gli scienziati, quelli che studiano di proposito le piante.
Non la conosceva neppure il diavolo, lui che in tante cose mostra di saperla così lunga, e quest'ignoranza gli volle dire, una volta, una grossa scorbacchiatura, da parte di un eremita ch'egli intendeva per l'appunto di scorbacchiare... È una vecchia storia, vecchia per modo di dire perchè nei libri non si trova, e io stesso, iersera, quando spensi il lume e infilai sotto, non ne sapevo ancora nulla. Aiutatemi un po' voi a riconoscere chi me l'abbia messa nel capo, se stanotte non ho fatto altro che dormire.
C'era dunque una volta, ai tempi di sant'Antonio, un santo eremita il quale viveva... Di che cosa vivono gli eremiti? di che cosa viveva sant'Antonio, il principe degli eremiti? Di preghiere, di meditazioni, di lacrime, di penitenze, di veglie, e, in quanto al corpo - c'è anche quello -, erbe, radici, frutta selvatiche, poche e di rado quanto abbondanti e frequenti le refezioni spirituali. Le preghiere, le meditazioni, le lacrime, le penitenze, le veglie aumentavano, e scemava il lavoro dei denti, nei giorni e tempì di precetto, vigilie, Quattro Tempora, Quaresima, Avvento, quando anche gli altri cristiani cercano alla meglio alla peggio di ricordarsi che non siamo al mondo soltanto per movere in su e in giù le ganasce.
Il diavolo... Il diavolo c'è per tentare, e, naturalmente, per tentar quelli che la pensano differente da lui. Se si provò a tentar perfino nostro Signore, che meraviglia che dia noia anche ai santi? I santi? Avete mai sentito la Chiesa dar questo titolo a un uomo finchè ha l'anima di. qua dai denti? Militia est vita hominis super terram, la vita dell'uomo sulla terra è un combattimento, disse il santo Giobbe, che di tentazioni se n'intendeva, come a significare che finchè c'è fiato c'è pericolo, ossia, nella traduzion del diavolo, finchè c'è fiato c'è speranza. La santità stessa può formare un pericolo per chi l'ha e una speranza per il diavolo, se il diavolo da qualche fessurina riuscisse a infilar nell'anima del santo un tantino mettiamo di compiacenza per la propria virtù. Per questo, per non cader nell'orgoglio, certi santi eremiti, che sarebbero volentieri campati di salmi e di discipline, usavano prender di tanto in tanto (dico magari ogni due o tre giorni) qualche boccon di pane o di radicchio selvatico, e, col capo appoggiato a un sasso, concedersi qualche minuto di sonno.
Eran tre giorni che il nostro santo eremita digiunava e pregava, e il diavolo, invidioso di quel fervore, pensò di andare a tentarlo. Preso l'aspetto di un angelo (vecchia astuzia di quella vecchia volpe), va e si presenta alla bocca della spelonca che al romito serviva da casa e da chiesa, con in mano un grappolo d'uva, di una così bell'uva che avrebbe fatto gola ai morti, e non dico a un uomo il quale da tre giorni non aveva messo in corpo tanto da guastarsi la comunione. Voleva tentarlo nella gola e insieme nello spirito, per lasciarlo infine col danno e le beffe. L'uva infatti era vera com'eran vere le penne: se il romito avesse abboccato all'amo si sarebbe trovato come gli uccelli che s'abbuttarono ai grappoli dipinti sulla tela da quell' antico pittore.
Quanto allo spirito, che cosa avrebbe potuto lusingar maggiormente un uomo del ricevere un elogio e vedersi oggetto di tali riguardi da parte del cielo? Dico che il diavolo si presentò al solitario nè più nè meno che come ambasciatore di Dio:
«Sappi, o santo eremita, che il Signore ha visto e vede tutte le tue penitenze, che non c'è in tutta la terra uno più santo di te. In segno del bene ch'egli ti vuole e di quanto la tua salute gli prema, per via che tu ti mantenga il più a lungo di esempio agli altri, m'ha ordinato di coglierti questo grappolo d'uva, che tu mangerai in sua lode lasciando andare per un momento il breviario... »
Il furbo aveva scelto bene il regalo: l'uva, dico quella vera, era di stagione: l'autunno incominciava quel giorno, e il santo romito trattava con tanto rigore il suo corpo per ragione appunto delle Quattro Tempora. Non così se invece dell'uva avesse finto, mettiamo, una bella ciocca di ciliege.
Ma la cornacchia che non si conobbe alle penne si conobbe alla voce. Fosse alla voce o fosse a qualche altra cosa, il romito capì chi si nascondesse sotto le apparenze dell' angelo, e gli sarebbe bastato un segno di croce per confonder l'ingannatore. Per confonderlo meglio, finse invece di credergli. Levàti gli occhi dal breviario, guardò l'uva, e quando l'ebbe guardata bene... invece di prenderla fissò gli occhi fuori della spelonca, a una pianta di nocciòlo di cui soleva a suo tempo cogliere i frutti per cibarsene quando, di tanto in tanto, faceva un po' di rialto. Il nocciòlo, che fiorisce ogni volta ritornano le Quattro Tempora, era tutto coperto di fiori.
«Il Signore», dice il romito al falso angelo, «il Signore che li ha ordinato di cogliere per il suo povero servo un grappolo d'uva non ti avrà detto però che tu la cogliessi fin ch'era acerba, ch'egli non vuole di certo che al suo povero servo si alleghiscano i denti. E quando mai s'è visto che l'uva maturi prima che il nocciòlo abbia fatto le nocciòle? » Così dicendo gli additò l'alberello dalle quattro primavere, che si trovava ora nella sua seconda... «Vai dunque, e se il Signore vorrà esser così misericordioso col suo povero servo, ritorna fra tre mesi, che sarà il tempo giusto ».
Al diavolo non passò neppur per il capo di proporre al romito che assaggiasse in ogni modo del grappolo, e, messo in ciampanelle dalla vista di quella pianta inspiegabilmente fiorita, non notò neppure, o non fece notare, che tutte l'altre o incominciavano a scolorire o già perdevan la foglia.
Ma tre mesi dopo, novanta giorni contati, sotto le solite vesti e con in mano il solito inganno, il diavolo era di nuovo alla spelonca del romito, il quale si trovava parimente digiuno da mezza settimana per ragione delle Quattro Tempora dell'Avvento, che cadono, come si sa, tra la fine dell'autunno e il principio dell'inverno.
Sicuro questa volta del fatto suo, il diavolo non guardò neppure al nocciòlo, e, senza neppure stare a ripetere chi lo mandasse e a che fine, si contentò di ricordare al romito che i tre mesi erano passati, che l'uva, ora, era fatta... Ma il romito, com'uno che guardi il proprio orologio per assicurarsi dell'ora, fissò, attraverso la bocca della spelonca, la solita pianta, la quale, non meno precisa di un calendario, segnava con una terza fiorita il nuovo digiuno trimensile. Il romito l'additò al tentatore:
«Amico, e non era fiorito il nocciòlo quando tu venisti l'altra volta? Come si spiega dunque, se son passati tre mesi, ch'io lo vedo ancora fiorito? »
Si spiegava benissimo solo conoscendo il costume particolare di questa pianta, come il romito lo conosceva; ma il diavolo, che tanto lunga non la sapeva, si trovò di nuovo in confusione e dovette rassegnarsi a un altro rinvio di tre mesi, e poi a un altro ancora - per via di quel nocciòlo sempre, sempre, sempre e poi sempre fiorito -, tutti col medesimo frutto della delusione e delle beffe, finchè, con un segnettino di croce, il romito non pose termine al gioco levandoselo per sempre dai piedi.
Anche le civette, si dice, impaniano, e non è nulla a pensar che una pianticella come il nocciòlo abbia potuto ingannare chi ingannò, pur con una pianta, tutto il genere umano. Se poi qualcuno volesse dir che il nocciòlo prendesse da allora - per un miracolo di Dio a favore di un suo servo tentato - questo suo costume di fiorire a tutte le Quattro Tempora, è padrone di farlo. Documenti in contrario, io l'assicuro, non ce ne sono.

Testo tratto da: TITO CASINI, Il Pane sotto la neve, Firenze: LEF, 1935/2, pp. 105-112.


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